La città competente: il volontariato come percorso di formazione

Simone Giusti e Andrea Caldelli
In collaborazione
con associazione
LʼAltra Città, Grosseto

Briciole
Trimestrale del Cesvot – Centro Servizi Volontariato Toscana
n. 16, Aprile 2008
Reg. Tribunale di Firenze n. 5355 del 21/07/2004
Direttore responsabile
Cristiana Guccinelli
Redazione
Cristina Galasso

Prodotto realizzato nell’ambito di un sistema di gestione certificato
alle norme Iso 9001:2000 da Cisqcert con certificato n. 04.1035

Briciole è il nome che abbiamo dato alle pubblicazioni dedicate agli Atti dei Corsi di Formazione. I volu-
mi nascono da percorsi formativi svolti per conto del Cesvot dalle associazioni di volontariato della
nostra regione i cui atti sono stati da loro stesse redatti e curati.
Un modo per lasciare memoria delle migliori esperienze e per contribuire alla divulgazione delle temati-
che di maggiore interesse e attualità.
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Premessa
Enzo Capitani, presidente dell’associazione L’Altra Città
Una città competente è una città che conosce le proprie responsabilità. È una città che
conosce le proprie potenzialità e per questo le coltiva. È una città che sa che la sua prima
responsabilità consiste nel condividere e trasferire, a tutti i cittadini, le proprie responsabilità
e potenzialità.

È una città aperta a nuovi mondi possibili, capace d’ascolto e di relazione. Una città che
costruisce ed aggiorna le proprie molteplici identità, senza abbandonarsi alle semplificazioni.
Perché la città è frutto della complessità irriducibile di tutte le storie di tutti i cittadini che
la abitano.
Per questo la città non può permettersi di chiudersi al futuro e deve invece programmare,
progettare, immaginare. Non può permettersi di aggirare il passato per costruire un futuro
impossibile o insostenibile. Non può evitare di aggiornare ogni giorno il proprio passato e il
proprio futuro, perché il presente prende direzioni inattese a cui la città ha il dovere di con-
ferire un senso.
Una città competente sa che, in assenza di fiducia (in se stessi, nella famiglia, nei vicini di
casa, nei commercianti, nelle istituzioni…), non possono esistere responsabilità e potenzialità.
In assenza di fiducia la città stessa entra in crisi.
Per questo la città deve coltivare il senso di comunità. Senza ingenuità e senza astrazioni,
ma attraverso azioni tese a conoscere e rinsaldare le dinamiche di coesione, di inclusione e di
esclusione interne alla città stessa.
Per questo la città deve sapere che le sue potenzialità sono le potenzialità di ciascun cit-
tadino; nessuno escluso. Ciascun cittadino correlato all’altro, corresponsabile.
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IntroduzIone
Simone Giusti e Andrea Caldelli
L’associazione L’Altra Città da anni progetta e organizza, per conto del Cesvot e in col-
laborazione con le associazioni del territorio grossetano, dei corsi di formazione per volon-
tari. Essa, inoltre, realizza specifici percorsi di orientamento per i volontari, circoli di studio,
attività di formazione professionale (come agenzia formativa accreditata presso la Regione
Toscana). Le attività di formazione e di orientamento nascono direttamente dall’esperienza
dei volontari ed hanno la finalità di agire oltre che sull’efficacia dei volontari sulla percezione
stessa del volontariato e del lavoro sociale. Si tratta di un lavoro culturale che ha dato vita ad
uno staff di formatori ed a specifiche metodologie – tutte centrate su approcci narrativi, – a
strumenti didattici e a procedure ormai consolidate.
In questo libro l’associazione si propone di presentare concezioni, metodi e strumenti che
sono stati sviluppati, sperimentati e validati anche nell’ambito dei corsi Cesvot. Il filo condut-
tore del libro è la struttura di un progetto di formazione, dall’individuazione delle finalità e
degli obiettivi alla gestione dell’aula e alla formazione a distanza.
Gli autori dei capitoli e i curatori del volume sono i componenti di una squadra che lavora
da alcuni anni nel settore della formazione e dell’orientamento con l’obiettivo di costruire
dentro e intorno a sé migliori condizioni di vita, per incrementare le proprie e altrui compe-
tenze, per guadagnare il riconoscimento e la stima dei volontari, degli utenti finanziatori, dei
fornitori, dei clienti.
Il libro, che rappresenta un’occasione per riconoscere pubblicamente il ruolo del Cesvot
nel rafforzare le associazioni di volontariato, conferma infine l’utilità della scrittura come
fondamentale strumento di riflessione sui percorsi professionali ed esistenziali dei lavoratori
e dei volontari.
Questo libro è dedicato ai volontari dell’Altra Città.
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CaPItolo I
Empowerment e sviluppo del capitale sociale: finalità e obiettivi
Simone Giusti e Andrea Caldelli
agire insieme agli altri e con gli altri
Uno degli aspetti costitutivi del volontariato consiste nella possibilità di sperimentare da
parte delle persone la propria capacità di instaurare rapporti sociali e formare gruppi, trovan-
do nuove forme di partecipazione da parte della società civile (Francescato, Tomai, Ghirelli,
2002, p. 135). Associarsi significa innanzitutto superare la dimensione privatistica della solida-
rietà (fondata su legami di clan, di parentela, di vicinato ecc.) in vista di un’azione più ampia e
motivata da convincimenti civili o etico-religiosi (Ranci, Ascoli, a cura di, 1997, pp. 13-14).
Il volontario agisce in forma organizzata non tanto e non solo per migliorare la propria
efficacia e quindi per lavorare meglio per gli altri; il volontario lavora all’interno dell’organiz-
zazione con gli altri che stanno fuori:
È proprio questa caratteristica che differenzia l’azione autenticamen-
te volontaria, tipica delle organizzazioni di volontariato, dalla benefi-
cenza privata, tipica della filantropia (Bruni, Zamagni, 2004, p. 180).
Agire insieme ad altri e con gli altri: ecco una chiave di lettura del volontariato che ci
consente di introdurre due temi fondamentali per la comprensione delle potenzialità del
volontariato come strumento di empowerment:
– la condivisione della visione all’interno dell’organizzazione;
– la capacità di fare rete e di promuovere la partecipazione e la cittadinanza.
Potremmo prendere questi due elementi come due degli obiettivi formativi fondamentali
per ciascun corso di formazione di volontari.
la condivisione e la “manutenzione” della visione
Per stipulare patti e stringere relazioni è fondamentale la condivisione di una finalità
comune. Non è sufficiente, quindi, creare aggregazioni sulla base di accordi operativi e di
obiettivi da raggiungere nel breve periodo: occorre semmai partire dalla narrazione di un fu-
turo ancora lontano, da immaginare insieme e da costruire poi attraverso l’azione quotidiana.
Occorrerebbe poi che ogni associazione fosse in grado di riprodurre nel tempo il suo mo-
mento fondativo, solitamente ‘eroico’ o comunque memorabile e motivante, da riproporre
ai nuovi volontari, i quali devono necessariamente essere in grado di ripartire da zero, ovvero
dalla condivisione di una visione, di un determinato sogno. Ciò significa possedere le neces-
sarie capacità narrative e dedicare del tempo a svilupparle in forma partecipata, attraverso
una continua negoziazione dei significati.
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È molto importante a questo proposito dedicare – anche attraverso azioni di formazione –
del tempo e delle specifiche competenze e risorse:
a) all’analisi delle potenzialità e delle criticità interne ed esterne del gruppo dei volontari o < br />dell’intera associazione;
b) alla narrazione reciproca delle esperienze pregresse, da svolgersi attraverso incontri gui-
dati, focus group, ma anche interviste semistrutturate (pubbliche, guidate da un animato-
re, o tenute privatamente e rese pubbliche in seguito), o veri e propri racconti1.
c) alla narrazione reciproca del futuro, da effettuarsi anche attraverso gli strumenti specifici
dell’orientamento narrativo (Batini, Del Sarto, 2005).
dalla partecipazione alla cittadinanza: i nuovi volontari
La psicologia di comunità ha individuato nei gruppi di volontariato di un territorio un’im-
portante risorsa per lo sviluppo di comunità,
una modalità di aggregazione spontanea la cui diffusione e integra-
zione nel territorio è spesso un indicatore del grado di partecipa-
zione e senso di responsabilità della popolazione (Francescato D.,
Tomai M., Ghirelli G., 2002, pp. 135-136).
La crescita dei gruppi di volontariato (associazioni, gruppi di auto e mutuo aiuto) può es-
sere stimolata con specifiche azioni, tra cui la formazione, e quindi collegata a integrata con i
servizi istituzionali allo scopo di migliorare il senso di comunità, ovvero
la percezione della similarità con altri, una riconosciuta interdipen-
denza con altri, una disponibilità a mantenere questa interdipenden-
za offrendo o facendo per altri ciò che ci si aspetta da loro, la sensa-
zione di essere parte di una struttura pienamente affidabile e stabile
(Sarason, 1974, p. 157; Francescato, Tomai, Ghirelli, 2002, p. 118).
Fare corsi di formazione capaci di incoraggiare la partecipazione volontaria, quindi, faci-
lita la promozione del senso di appartenenza e di empowerment sociale, favorendo la cono-
scenza delle proprie risorse e del loro utilizzo da parte di una comunità.
Il capitale sociale: l’interesse per la relazione
Quando l’organizzazione di volontariato non si riduce a un indirizzario cui inviare richie-
ste di quote o donazioni, quando essa è un organismo in cui le persone sono in relazione tra
di loro e con l’esterno attraverso legami di fiducia reciproca, allora si può dire che siamo di
fronte ad un motore di socialità, capace di incrementare il capitale sociale.
1
L’associazione L’Altra Città ha sperimentato queste forme narrative, poi confluite nel volume Giusti S. (2002) e
nel sito www.laltracitta.gr.it
Capitolo I – Empowerment e sviluppo del capitale sociale: finalità e obiettivi
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Il concetto di capitale sociale è molto utilizzato e dibattuto in questi ultimi anni (in Italia:
Bagnasco, 1999; Bagnasco, Piselli, Pizzorno, Trigilia, 2001), e richiede quindi qualche chiarimento
preliminare. Se ragioniamo in termini di risorse di cui dispone l’individuo si distingue il capitale
fisico dal capitale umano e dal capitale sociale. Il capitale fisico è composto dai beni strumentali
posseduti dalla persona (beni materiali o monetari); il capitale umano consiste nelle competen-
ze che le persone hanno acquisito nel corso del tempo; il capitale sociale è formato dall’insieme
delle risorse relazionale che l’individuo in parte eredita e, soprattutto, si costruisce nel corso
della vita. Il capitale sociale a differenza degli altri ha la natura di bene pubblico:
esso non porta benefici solo alle persone i cui sforzi sono stati ne-
cessari per crearlo, ma a tutti gli individui che fanno parte di una
determinata struttura o organizzazione, sia che partecipino o no
(Piselli, in Bagnasco, Piselli, Pizzorno, Trigilia, 2001, pp. 50-51).
Coleman (2005) individua molteplici forme di capitale sociale:
– le obbligazioni e controbbligazioni che legano gli individui;
– il grado di fiducia della struttura, ovvero l’aspettativa che le obbligazioni saranno ripagate;
– il flusso di comunicazione che transita nelle relazioni sociali e facilita l’azione;
– le relazioni di reciprocità che favoriscono la fiducia interpersonale e la disponibilità al
mutualismo e alla cooperazione;
– le norme che definiscono la forma, i contenuti e i confini degli scambi;
– le organizzazioni con fini specifici;
– le associazioni volontarie.
In sintesi,
più gli individui dipendono gli uni dagli altri, maggiore è la dota-
zione di capitale sociale di una determinata struttura. Più alto è il
numero di obbligazioni di cui gli individui dispongono (i debiti cioè
che gli altri attori hanno contratto nei loro confronti), maggiore è il
capitale sociale su cui possono contare) (Piselli, in Bagnasco, Piselli,
Pizzorno, Trigilia, 2001, p. 50).
Il particolare tipo di obbligazione attivato con il rapporto di reciprocità, in cui il ricevente
è libero di restituire e il donatore, che ha dato altrettanto liberamente, non vincola a sé l’altro
con un contratto che costringe a pagare il debito, ha la virtù di accrescere il capitale sociale
degli individui e della società.
In questo senso la formazione dei volontari ha il dovere di scegliere i temi da affrontare e,
soprattutto, le modalità di lavoro e le metodologie di intervento da adottare per fronteggiare
i differenti problemi sociali tenendo conto della loro capacità di incidere sull’incremento di
capitale sociale. Quando progettiamo un corso di formazione, quando individuiamo il soggetto
del corso, quando scegliamo i formatori e i metodi didattici, è opportuno porsi la domanda: “sto
scegliendo una soluzione che effettivamente consente di rafforzare i legami tra le persone?”.
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Indicazioni bibliografiche e sitografiche
Bagnasco A. (1999), Tracce di comunità, Bologna, Il Mulino.
Bagnasco A., Piselli F., Pizzorno A., Trigilia C. (2001), Il capitale sociale. Istruzioni per l’uso, Bologna, Il
Mulino.
Batini F, Capecchi G., a cura di (2005), Strumenti di partecipazione. Metodi, giochi e attività per l’em-
powerment individuale e lo sviluppo locale, Trento, Erickson.
Bruni L., Zamagni S. (2004), Economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica, Bologna, Il Mulino.
Caldelli A., Gentili F., Giusti S. (2005), Oggi vado volontario. Il volontariato come strumento di empo-
werment individuale e sociale, Trento, Erickson.
Coleman J.S. (2005), Fondamenti di teoria sociale, Bologna, Il Mulino (ed. or. 1990).
De Stefanis C. (2002), Formulario degli enti non profit, Milano, Il Sole 24 ore.
Donati P., a cura di (1996), Sociologia del terzo settore, Roma, Nis.
Francescato D., Tomai M., Ghirelli G. (2002), Fondamenti di psicologia di comunità. Principi, strumenti,
ambiti di applicazione, Roma, Carocci.
Giusti S. (2002), Progetto e racconto di un’altra città, Lecce, Pensa Multimedia.
Godbout J. T. (1993), Lo spirito del dono, Torino, Bollati Boringhieri.
Putnam R. D. (2004), Capitale sociale e individualismo. Crisi e rinascita della cultura civica in America,
Bologna, Il Mulino (ed. or. 2000).
Revelli M. (1997), La sinistra sociale. Oltre la civiltà del lavoro, Torino, Bollati Boringhieri.
Revelli M. (2001), Oltre il Novecento. La politica, l’ideologia e le insidie del lavoro, Torino, Einaudi.
Sarason S. B. (1974), The psychological sense of community: prospects for a community psychology,
San Francisco, Jossey-Bass.
Tomai B. (1994), Il volontariato. Istruzioni per l’uso, Milano, Feltrinelli.
Zamagni S. (2002), Del volontariato e della sua identità, in Il futuro del volontariato, supplemento a
«Vita», pp. 30-31.
www.centrovolontariato.it
www.fivol.it
www.vita.it
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CaPItolo II
la figura del volontario: i destinatari diretti
Andrea Caldelli
Chi è il volontario
Pensando alla figura del volontario vengono in mente alcune associazioni di idee; un volon-
tario è una persona impegnata, moralmente riconosciuta, interessata al mondo, partecipativa.
Un volontario è una persona che è e che fa e pertanto si contrappone alla figura dell’os-
servatore, capace di vedere ma con distacco.
Il volontariato risponde ad un bisogno di senso, di impegno, di costruzione.
Secondo il Dizionario della lingua italiana di De Mauro l’aggettivo volontario significa: “che
deriva da un atto di volontà, consapevole e deliberato; spontaneo, senza costrizioni: scelta
volontaria, un’offerta volontaria”, oppure, più specificamente, “che, chi compie un’azione per
propria volontà, per scelta personale”. Il volontariato è invece una
attività volontaria e gratuita a servizio di categorie di persone che
presentano gravi necessità: fare v. nella Croce Rossa (per estensione:
l’insieme delle persone impiegate in tale attività).
Bastano queste due semplici definizioni, che probabilmente corrispondono al senso co-
mune, a mettere in campo una costellazione di parole e significati: libero/libertà, scelta, per-
sona/personale, servizio, gratuito/gratuità. Per completare e precisare la definizione del De
Mauro si potrebbe aggiungere qualcosa sull’aspetto organizzativo – il volontario non è una
persona isolata che agisce per proprio conto – e sul concetto di solidarietà: per cui il volon-
tariato potrebbe essere
una attività prestata in modo personale, gratuito e spontaneo, tra-
mite un’organizzazione che persegue, senza fini di lucro, l’obiettivo
della solidarietà sociale (Legge quadro sul volontariato).
Il volontario, dunque, è:
– una persona che agisce per libera scelta;
– una persona che agisce a servizio di qualcuno che è in stato di necessità;
– una persona che agisce gratuitamente;
– una persona che agisce all’interno di un “gruppo”.
Di questi quattro concetti, quello che maggiormente caratterizza il volontario e il volon-
tariato è la gratuità dell’azione, poiché si tende a dare per scontato che agisca liberamente
per aiutare altre persone o per migliorare le condizioni della società o dell’ambiente. Eppure,
proprio il concetto di gratuità è quello che presenta maggiori problemi, sui quali è il caso di
soffermarsi ulteriormente.
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una critica della gratuità e del dono
Gratuito significa “non remunerato”. Quindi il volontario non percepisce un salario per
il lavoro che svolge di sua spontanea volontà. Eppure si potrebbe contestare facilmente al
volontario che egli può lavorare gratuitamente in cambio della promessa o dell’aspettativa
di un posto di lavoro, oppure in cambio di una buona reputazione da spendere poi in campo
professionale o politico (asset patrimoniale). Inoltre, se si prende come criterio di giudizio
dell’operato di una persona la sola gratuità, più che di volontariato si dovrebbe parlare di
filantropia. Il filantropo, infatti, è colui che dona disinteressatamente qualcosa agli altri senza
chiedere nulla in cambio, gratuitamente.
Il filantropo svolge un ruolo socialmente utile in quanto opera una redistribuzione delle
risorse. Esso risponde ad un principio di equità e di giustizia sociale, secondo il quale è giusto
che tutti usufruiscano di certi beni e servizi, per cui regala una parte del suo reddito, dei suoi
vestiti, dei suoi beni. Il filantropo “fa del bene” in quanto dona, e noi tendiamo a giudicare il
suo operato sulla base del valore della cosa donata. Inoltre, il dono del filantropo – che può
essere anonimo o personalizzato – ha la caratteristica di dare origine ad uno squilibrio, in
quanto il donatore si colloca in una posizione di superiorità rispetto al ricevente. È un dono
che genera dipendenza nei destinatari, i quali non sono messi in condizione di reciprocare, di
porre in essere un contro-dono.
È la tipica visione di chi cerca di “aiutare gli ultimi”, coloro che restano indietro nella gara
del mercato, attraverso un’azione caritatevole collegata al sentimento morale della compas-
sione: in questo senso le organizzazioni non profit della società civile sono dei
oggetti che entrano in azione per alleviare gli effetti negativi dell’in-
terazione sociale e non già per incidere sulle cause che li generano
(Bruni, Zamagni, 2004, p. 23).
Volontariato come reciprocità
Per fare del filantropo un volontario è necessario giungere ad un’altra visione della gratuità
e del dono. Il dono, infatti, porta in sé una grande potenzialità relazionale. Esso provoca sem-
pre l’attivazione del rapporto di collaborazione sociale per eccellenza, quello di reciprocità.
La reciprocità – una delle principali modalità di relazione interpersonale – è un bisogno
primario dell’uomo.
Essa può essere creata in due modi:
– attraverso il contratto (scambio di equivalenti);
– attraverso il dono (scambio in cui il donatore dà senza aspettare nulla in cambio – senza
una garanzia o contratto – ma dando la possibilità all’altro di ricambiare).
Con il contratto si stabilisce in partenza una reciprocità simmetrica. Si tratta di un rappor-
to che genera sicurezza, non cambia l’identità dei due soggetti, i quali sanno perfettamente
cosa danno e cosa ricevono in cambio. Il passaggio di beni o di servizi avviene senza modifi-
care la qualità delle persone.
Il dono è all’origine di un rapporto che genera squilibrio, poiché non dà nessuna garanzia al
Capitolo II – La figura del volontario: i destinatari diretti
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donatore di ricevere qualcosa in cambio. Proprio questa assenza di garanzie, presupponendo
grande fiducia nell’altro, genera legami di fiducia nella società.
Il dono che genera reciprocità è un dono interessato a creare relazioni con gli altri. Il vo-
lontario è colui che ha interesse per l’altro, che ha interesse e desiderio a creare legami attra-
verso il dono. Esso non può essere anonimo, come il filantropo: il volontario deve comparire
per essere protagonista di una relazione.
dalla solidarietà alla fraternità
Il concetto di solidarietà rinvia sia alla capacità dei membri di un determinato gruppo di
prestarsi reciproca assistenza, sia ad una idea più generale di armonia perfetta, concordia con
altri nel modo di pensare, di sentire, di agire o condivisione degli impegni e delle responsa-
bilità assunte insieme ad altri a cui si è legati da rapporti di affinità ideologica o da comuni
interessi. Proprio per questo suo duplice significato, la solidarietà può essere interpretata
anche secondo una prospettiva impersonale, che non implica cioè il coinvolgimento diretto
delle persone impegnate in una relazione. Si può essere solidali con altri popoli, con altre co-
munità. È possibile manifestare la propria solidarietà anche attraverso donazioni o altri gesti
che non comportano il contatto con l’altro. Si può essere solidali anche con qualcuno che
non si conosce. Inoltre, la solidarietà può essere paternalista. Per ovviare a queste ambiguità,
Bruni e Zamagni (2004, p. 22) propongono di utilizzare il concetto di fraternità, il cui specifico
è la differenza di soggetti identici:
essere fratelli vuol dire sottolineare la diversità nell’eguale e non già
l’identità nella differenza, come è il caso della solidarietà.
Il volontariato come educazione alla reciprocità
Il volontario è anche una persona che agisce per interesse. Infatti, proprio attraverso l’in-
teresse a stare in relazione con l’altro cerca di raggiungere, all’interno delle organizzazioni e
attraverso di esse, l’obiettivo della solidarietà sociale.
Un simile ragionamento, che ha il merito di dare una visione chiara e d efinita del volonta-
riato, ci porta ad escludere dal novero dei volontari tutti coloro che agiscono gratuitamente
ma senza un interesse a modificare i rapporti umani. Si tratta di un punto di vista sbilanciato
sulle relazioni tra gli uomini, ovvero su quelle attività che comportano il contatto con gli altri
prima che coni beni culturali o ambientali, ad esempio. Ma una visione del genere ci aiuta a
separare nettamente il valore economico dell’azione volontaria da quello educativo. Il valore
economico consiste nella produzione di servizi (alla persona, ambientali, culturali ecc.) che
potrebbero anche essere retribuiti ma che per scelta non lo sono, e quindi vanno a migliorare
la qualità della vita degli altri senza che ciò abbia un costo per la comunità. Il valore educativo
consiste nel mettere in mostra una modalità di relazione che è intenzionalmente improntata
alla produzione di relazionalità, di socialità. In questo senso il volontario si differenzia dal
militante, con il quale può condividere l’obiettivo di modificare i rapporti sociali e quindi l’as-
setto politico di una società, per raggiungere il quale, tuttavia, egli agisce dal basso, a partire
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dalla gestione dei rapporti con chi è prossimo e mettendo in discussione la propria esistenza
e non a partire dalla conquista del potere per poi procedere, con un movimento che dall’alto
conduce verso il basso, alla riprogettazione e ridefinizione dei rapporti.
Se per essere volontari non occorre saper fare, ma saper essere, l’approccio al servizio del
volontario è un modo di relazionarsi agli altri, un modo biunivoco: io do, ma anche ricevo,
nella stessa maniera, dagli altri, da chi ha bisogno, e questo contribuisce ad abbassare lo sca-
lino che c’è tra chi è volontario e l’altro che ha bisogno, che tende la mano. La realtà ci dice
che, comunque, tra chi offre un servizio e chi lo riceve, c’è sempre uno scalino, per quanto
basso. Qual è l’unica maniera per superarlo? È credere che la persona che ora ha bisogno di
me per una determinata cosa può aiutarmi in un altro ambito. Significa chiamare l’altro ad
una corresponsabilità. Il volontariato è una modalità con cui ciascuno di noi è chiamato a
costruire il mondo in cui è presente, è il modo di appropriarsi fino in fondo della propria
responsabilità di costruttori di pace, di realizzazione, di rispetto.
Italia 2008: uno sguardo critico
Non è certo banale fermarsi a riflettere sulla capacità delle comunità di essere ospitali,
sul ruolo di volontari, cittadini, operatori del sociale, educatori, formatori in questo contesto
culturale che chiamiamo Italia 2008.
I volontari si portano dietro una zaino ingombrante che in parte hanno loro stessi riempi-
to con ideologie, passioni, sentimenti, doveri ed in parte è stato appesantito da chi attribui-
sce loro aspettative ed un ruolo di responsabilità morale (nell’opinione pubblica è più grave
che non si occupino dei poveri il volontariato, piuttosto che i servizi pubblici!).
Un cammino cosparso di trappole, quello dei volontari, stretto tra la voglia di cambiare le
condizioni e la scarsa efficacia sull’opinione pubblica delle loro parole. Contano solo i servizi.
Pare, talvolta, che la più grande delle trappole sia, paradossalmente, la parola solidarietà:
una parola logora, che connota una modalità residuale, sotto traccia di essere in questa real-
tà, in queste comunità, in questi sistemi di cittadinanza. Una parola il cui grande senso si perde
nelle aspettative di risposta operativa piuttosto che in quelle di relazione.
Essere solidali appare sempre più come il dovere di dare una risposta in termini di servizi.
Intervenire per compensare gli squilibri, per restituire un po’ di giustizia sociale, per non lasciare
vuoti laddove nessuno può o sa intervenire. Così la parola solidarietà viene declinata ed assume
connotazioni specifiche, perdendone il senso generale di corresponsabilità e di reciprocità.
Esistono almeno tre declinazioni ricorrenti di questa parola attraverso le quali sono rico-
noscibili tre modalità di impegno nella comunità:
– la solidarietà individuale, una modalità spontanea, puntiforme, destrutturata e legata al
senso di identità di ogni individuo che ragiona in termini di giustizia sociale e corre il ri-
schio di alternare l’attivismo spontaneo ed emotivo e l’intellettualismo velleitario;
– la solidarietà a termine, una modalità movimentista, legata ad iniziative che hanno un ini-
zio ed una fine ravvicinati, che vivono di grandi eventi capaci di mobilitare persone, idee
e energie ma che si esauriscono nel breve spazio di sopravvivenza dell’evento stesso;
Capitolo II – La figura del volontario: i destinatari diretti
15
– la solidarietà professionale, una modalità organizzata ed efficientista, legata allo sviluppo
dei soggetti del terzo settore e alla professionalizzazione dei volontari che si riducono
come numero a favore di coloro che scelgono come forma di volontariato un extra-impe-
gno professionale nel loro lavoro sociale.
Il processo è più importante del risultato
Ma a chi e a cosa parlano, veramente i volontari? Non alla politica, nè alla società ma ai
volontari stessi e alle persone che cercano sostegno dal volontariato. Certo il rischio di auto-
referenzialità è grande, sebbene parlare a milioni di persone che, a vario titolo ed impegno,
sono in relazione tra di loro, rappresenta di per se un obiettivo alto e generalizzato. Il rischio
si riduce ancora se si pensa che i volontari parlino a quella fascia di popolazione la cui voce è
flebile e che le azioni sono quelle dell‘ascolto, dell’attenzione, della cura, della fiducia nelle
loro possibilità.
Parlare alla politica mi sembra poco significativo in questo momento e non tanto e non
solo perché la politica non ascolta, ma perché la politica per la vita delle persone è essen-
zialmente risposta organizzata al disagio una volta che si manifesta, nella logica dei servizi
sociali, logica stretta tra la gestione clientelare delle risorse e la necessità di continuare a
garantire risposte generalizzate e sostanzialmente omogenee in contesti in un l’omogeneità
e l’universalità si scontrano con la semplice osservazione dell’estrema unicità delle persone e
della frammentazione delle forme e dei luoghi in cui si manifesta il disagio.
Un’opera teologica di Von Balthasar di qualche anno fa intitolata Il tutto in un frammento
offre un spunto di riflessione interessante. Osserviamo le persone a pezzi, per parti; osservia-
mo le loro frazioni in difficoltà e le osserviamo con l’occhio e la determinazione di chi cerca
di risolvere il problema. È la logica dei servizi questa, la logica della specializzazione che è
stata trasferita anche al volontariato. Ma ogni frammento contiene il tutto; ogni frammento
di persona contiene tutta la persona e concentrandosi su un unico problema si corre il rischio
di non vedere la persona nel suo insieme, di non vedere, come dicono gli inglesi, “la foresta
per colpa degli alberi”. Non si vede la persona per colpa del disagio che esprime e che spinge
i volontari a concentrarsi proprio su quello. Ciò provoca una sorta di azione compulsiva e
frenetica per risolvere il problema: una visione efficientista, pericolosamente accompagnata
da una visione salvifica che il volontario vorrebbe avere e che crea disaffezione soprattutto
perché i risultati spesso tardono a manifestarsi o magari non si vedranno mai. Magari le perso-
ne si allontanano quando stanno appena un po’ meglio e non saranno mai misurabili gli effetti
del lavoro, della vicinanza, della relazione attivata. Per questo è più importante trasmettere a chi opera il senso che il processo è più impor-
tante del risultato, in particolare il processo educativo e orientativo.
Considerazioni finali
Il Rapporto Biennale sul Volontariato del 2006 suggerisce alcune osservazioni sui fenome-
ni in atto in Italia:
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– polarizzazione delle associazioni (o molto grandi a carattere nazionali o molto piccole
con pochi volontari)
– le associazioni dei “presidenti” con un ruolo forte e carismatico della leadership
– riduzione del turnover, difficoltà nel ricambio generazionale
– riduzione della presenza dei giovani
– nascita di associazioni “dal basso” da gruppi di cittadini, piuttosto che emanazioni di altri
soggetti come i partiti, le Chiese, le istituzioni pubbliche
– tendenza alla costituzione di associazioni di utenti, di tutela dei diritti, di gestione di servizi
– maggiore attenzione all’assetto organizzativo
– maggiore professionalizzazione degli operatori e aumento del personale dipendente ri-
spetto a quello volontario
– marginalità e autoreferenzialità, scarsa propensione al lavoro in rete.
Questi elementi suggeriscono gli strumenti che possono utilmente accompagnare l’evolu-
zione della figura del volontario e che riguardano: il suo percorso di crescita; il suo rapporto
con l’organizzazione di riferimento; il rapporto tra questa e le altre organizzazioni del merca-
to sociale, inteso come il complesso dei soggetti che offrono e chiedono “bene relazionali”.
In pratica si parla di formazione, partecipazione, networking.
La formazione gioca un ruolo centrale nell’accompagnare questo percorso in quanto for-
nisce ai volontari non tanto e non solo strumenti professionalizzanti, ma in quanto capace di
costruire il senso dell’impegno del volontario.
Gli strumenti di partecipazione hanno, viceversa, la funzione di sviluppare il contributo
che i volontari possono dare al rafforzamento delle organizzioni, posto che il volontariato ha
senso in quanto espressione organizzati del contributo dei cittadini.
Gli strumenti di networking, infine, hanno a che fare con la costruzione di comunità soli-
dali, con l’aumento dell’efficienza complessiva degli attori di un territorio nell’offrire oppor-
tunità e risposte. In sintesi nell’aumento del capitale sociale.
riferimenti bibliografici
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«Vita», pp. 30-31.
17
CaPItolo III
da soggetti svantaggiati a nuovi cittadini: i destinatari indiretti
Sara Ciacci
“Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col
cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.
“L’essenziale è invisibile agli occhi” ripeté il piccolo principe, per ri-
cordarselo.
“È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua
rosa così importante”.
“È il tempo che ho perduto per la mia rosa” sussurrò il piccolo prin-
cipe per ricordarselo.
“Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi
dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai
addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…”.
“Io sono responsabile della mia rosa” ripeté il piccolo principe per
ricordarselo.
Antoine de Saint-Exupery, Il Piccolo Principe
Introduzione
I modelli interpretativi appartenenti alla condizione di disagio offrono un ampio venta-
glio di letture e qualunque prospettiva si assuma ci si accorge che tale condizione è caratte-
rizzata dalla complessità, la quale ci propone esperienze sempre più articolate, intrecciate.
Non esiste sempre una sola e precisa causa ad una situazione problematica: è più corretto
dire che esiste una pluralità di cause o di fattori che intervengono in modo contemporaneo
e interrelato.
Spesso si tratta di un processo “oneroso” che la persona svantaggiata affronta senza avere
gli strumenti idonei per farvi fronte, rischiando di non saper gestire le occasioni di crisi e di
permanere nella situazione di disagio. È in questi casi che il volontario, attraverso la relazione,
diventa al tempo stesso supporto e strumento di empowerment, capace di restituire senso e
di attivare un processo di progettazione condivisa in cui entrambi i soggetti coinvolti siano
responsabili di una nuova evoluzione personale, comunitaria e sociale. Si tratta pertanto di
riconoscere e reimpiegare le risorse reperibili in contesti diversi al fine di renderle suscettibili
di produrre il cambiamento desiderato.
Creare un contesto rinnovato di relazioni in cui le persone si sentano al centro dell’inte-
resse, sentano un senso di appartenenza attiva, di opportunità. Fare insieme, per costruire una
storia comune che metta insieme in maniera congrua emozione, pensiero, azione.
L’obiettivo deve essere quello di trasformare la percezione della crisi in opportunità.
In una società multidimensionale (multireligiosa, multilingue, e multietnica) e scarsamen-
te decodificabile, il volontario oggi deve sempre più configurasi come persona capace di so-
stenere i processi interpretativi delle persone che sono temporaneamente inabilitate a farlo
e di renderle autonome mediante lo sviluppo di competenze autorientative (saper analizzare,
saper scegliere, saper progettare, saper ascoltare, ecc.).
18
uno sguardo allo svantaggio
Allo svantaggio sociale sono legati fattori che comportano una scarsa motivazione alla
riuscita e spesso un atteggiamento di sfiducia nei confronti di sé, degli altri e della società in
genere e possono condurre a un comportamento deviante.
La precarietà, caratterizzata spesso dalla povertà di mezzi di sussistenza,  in molte situa-
zioni si è tramutata  in una miseria di valori e di ideali. Si potrebbe dire che lo svantaggio, oggi
si contraddistingue nella carenza di prospettive, nella percezione di essere uno sconfitto a
livello sociale senza speranza di rivalse, nella difficoltà d’integrazione sociale, nel “non senso
di appartenenza”. La situazione di svantaggio può portare all’incapacità di adeguare la propria
visione del mondo alle norme di una realtà diversa, alla facile adesione a modelli di autodi-
struzione (resa, suicidio; fughe, evasioni fittizie dalla realtà – droga; violenza) e spinge verso la
marginalizzazione (povertà, esclusione, ecc). Lo svantaggio riguarda la condizione di un singo-
lo soggetto, a prescindere dalle condizioni materiali favorevoli o meno che lo riguard ano o il
gruppo sociale di appartenenza.
È realmente possibile passare da soggetti svantaggiati a nuovi cittadini? Porsi questa do-
manda significa, prima di tutto, definire quale ambito dello svantaggio stiamo affrontando.
Lo svantaggio che sicuramente prendiamo in considerazione in questo contesto riguarda una
condizione non di tipo psicologico o fisico, ma di tipo sociale come ad esempio:
– povertà
– esclusione sociale
– emarginazione.
Il volontariato tra solidarietà e responsabilità
La solidarietà, molto diffusa nella società odierna, non implica necessariamente un coin-
volgimento di tipo relazionale, ma può limitarsi ad un senso di rispetto per i diritti e la dignità
dei soggetti “svantaggiati” demandando ogni responsabilità a chi poi se ne occupa come gli
operatori sociali o i volontari.
È il senso di volontà e di impegno che ci permettono di entrare in modo operativo e con-
creto in rapporto con l’altro inteso come “persona” e di dare vita all’azione di volontariato. Una
solidarietà partecipata nel sentire e nell’agire, che sa riconoscere i bisogni dell’altro e sa vederlo
come un soggetto da “riabilitare” verso se stesso, il contesto sociale e comunitario, permette al
volontario di lavorare direttamente sul processo di rinforzo delle competenze (empowerment).
La solidarietà costituisce l’assunzione diretta della responsabilità dell’agire sociale: la so-
lidarietà si trasforma attraverso un atto di volontà in azione e non in delega.
Il binomio solidarietà e responsabilità dà vita al senso di appartenenza, dove il sentirsi
direttamente coinvolti e l’obiettivo del superamento degli stati di difficoltà e di disagio, si
trasformano in cittadinanza attiva.
Questo significa costruire una rete solidale al cui centro ruotano i volontari, nella piena
condivisione delle proprie risorse,  dando un forte segnale di senso di appartenenza, di reci-
procità, senso di responsabilità e altruismo.
Capitolo III – Da soggetti svantaggiati a nuovi cittadini: i destinatari indiretti
19
La variabile che richiede una particolare attenzione è il tempo e la gratuità che vanno 
collocati al di là del semplice dovere e potere morale.
Il senso di responsabilità e la spontanea disponibilità vivono e si manifestano al di là del
calcolo e del contraccambio atteso rompendo, così, le regole dell’economia di mercato.
Possiamo, quindi, elencare tre fattori principali dell’agire del volontariato che sono stret-
tamente legati al binomio solidarietà e responsabilità:
– la gratuità, si va contro una logica utilitaristica per favorire la relazione e l’incontro con l’altro.
– Organizzazione, è fondamentale che
l’agire volontario si riconosca in una or-
ganizzazione.
– Scelta, il volontario è “il cittadino che
sceglie liberamente, non in esecuzione
di obblighi morali o doveri giuridici” di
impegnarsi (Tavazza, 1987, p. 86).
Il processo di empowerment tra comunità e persona
Attuare un processo di empowerment dà ai soggetti delle possibilità di cambiamento e
determinazione della propria vita, aiutandoli a conseguire gli obbiettivi prefissati e a promuo-
vere un nuovo concetto di benessere (passaggio da forme di impotenza appresa ad acquisi-
zione di fiducia in sé).
Il concetto di “cambiamento sociale”  è possibile grazie allo sviluppo, da parte degli indi-
vidui, della capacità di controllo attivo sulla propria vita, con una ricaduta evidente nel con-
testo comunitario. Esiste un profonda relazione tra impegno nel volontariato e senso psicolo-
gico di comunità; se una persona conosce le dinamiche di contesto, si sente parte attiva di un
processo evolutivo,  condivide le situazioni, sente di poter “influenzare” i processi decisionali
e di vedere soddisfatti bisogni di coloro che possono diventare i perfetti “estranei”, non può
esimersi dal portare un contributo seppur minimo.
Al processo di empowerment e senso di comunità possiamo legare quattro concetti base:
– l’appartenenza come consapevolezza di far parte di una comunità (stimolando la sicurez-
za emotiva, l’identificazione e l’impegno sociale)
– l’influenza come capacità della comunità stessa di farvi rispecchiare i suoi individui
– l’integrazione/soddisfazione dei bisogni come consapevolezza di ritrovare negli altri l’aiu-
to e la forza
– la connessione emotiva condivisa  come capacità di condivisione e interazione.
Come afferma Batini (Erickson, 2005) ogni strategia che si pone l’obiettivo di sviluppare
una comunità deve poter perseguire due scopi:
– l’empowerment della comunità locale con il conseguente intervento su tutte quelle con-
dizioni legate al conflitto, marginalità, efficienza dei servizi che portano al miglioramento
delle condizioni esistenziali degli individui
Parole ChIaVe
cooperazione
legami forti
relazione
scambio
crescita
promozione
Per abbattere…
competizione
legami deboli
individualismo
emarginazione
indifferenza
20
ProfIlo
Territoriale
Demografico
Delle attività produttive
Occupazionale
Cosa defInIsCe
Considera tutti gli elementi che definiscono la comunità
da punto di vista morfologico.
Aspetti geografico-fisici:
• confini
• superficie
• lineamenti idrografici
• lineamenti orografici
• clima
risorse naturali:
– agroforestali
– minerarie
– idriche
– faunistiche
– paesaggistiche
Aspetti riferiti alla configurazione territoriale a opera dell’uomo:
• Rete della comunicazione
• Infrastrutture tecnologiche
• Degrado ambientale
• degrado edilizio
• struttura urbana
Considera le caratteristiche della popolazione che risiede nella comunità:
• numero di abitanti
• Scolarizzazione
• Incremento e diminuzione della popolazione
• Flusso migratorio ed emigratorio
Considera la base economica che sostiene la comunità:
• settori di attività economica:
– numero di aziende agricole presenti nel territorio
– numero di aziende industriali e commerciali presenti nel territorio
Considera che cosa fanno le persone per vivere:
• le forze di lavoro: occupati e persone in cerca di un’occupazione
(di età non inferiore a 14 anni)
– La disposizione nella professione (lavoro autonomi o lavoro dipendente)
– Pendolarismo
• Le non forze di lavoro: casalinghe, studenti, pensionati, disabili.
• I disoccupati
– l’empowerment individuale dei soggetti che compongono la comunità stessa in modo da
sviluppare capacità progettuali per la propria vita e nel contempo accrescere le proprie
competenze e conoscenze.
Nella condizione di disgregazione ed individualismo che oggi dilaga e si diffonde repenti-
namente il concetto di comunità è il solo che può riportarci ad una condizione di protezione,
fiducia, senso di appartenenza. È nel “sapersi riconoscere” che gli individui possono prendere
coscienza dei propri limiti, bisogni, risorse possibili ed attivarsi al fine di essere o coloro che
agiscono o i “destinatari” indiretti che si lasciano sostenere e guidare.
Saper progettare un processo di empowerment comunitario significa definire il profilo
della comunità stessa secondo i criteri territoriali, demografici, delle attività produttive, oc-
cupazionali, dei servizi, psico-sociale.
Capitolo III – Da soggetti svantaggiati a nuovi cittadini: i destinatari indiretti
21
ProfIlo
Dei servizi
Psicosociale
Istituzi onale
Antropologico culturale
Cosa defInIsCe
Considera la tipologia e l’organizzazione dei servizi:
• Servizi socio-educativi
comprendono tutte le scuole di ordine e grado che vanno dall’asilo nido
all’università, biblioteche, ludoteche, centri di informazione giovanile, associazioni
di volontariato, scout, arci, corsi di formazione professionale, ecc.
• Servizi socio-assistenziali
Comprendono centri per disabili, strutture per malati psichiatrici, comunità
tossicodipendenti, consultori, servizi di assistenza alla famiglia, servizi domiciliari, ecc.
• Servizi ricreativo-culturali
– i luo ghi di ritrovo, gli spazi verdi attrezzati, i campi sportivi pubblici
– le iniziative di tipo ricreativo-culturale e sportivo quali tornei, sagre, feste
paesane, giochi di strada e di quartiere, tombolate, festival musicali promossi da
circoli, associazioni o dal Comune, ecc
Considera gli attori sociali e la qualità delle loro relazioni.
• Gli attori sociali (gruppi) presenti nella comunità:
– gruppi formali
– gruppi informali
– aggregazioni di gruppi che formano delle organizzazioni.
• I processi di comunicazione che avvengono fra gli attori sociali:
– processo di scambio di informazioni
– processo di influenzamento reciproco
• I processi di comunicazione che avvengono fra i membri di uno stesso gruppo:
– in che modo e quanto le informazioni vengono condivise fra i membri e con
l’esterno:
– in che modo e quanto gli individui si influenzano tra di loro
– quanto un individuo viva la propria autonomia decisionale.
• Le relazioni fra i membri all’interno dei diversi gruppi e le relazioni fra i diversi attori
sociali (gruppi), in relazione al livello di:
– coesione
– collaborazione
– competizione
– conflitto
• Il senso di comunità
– il sentimento di appartenenza e di connessione personale
– influenzamento e potere
– integrazione e soddisfazione dei bisogni
– connessione emotiva condivisa
• I processi messi in atto degli attori sociali e dai loro membri:
– processi di creazione del consenso
– processi di conformismo
– processi di devianza
– processi di emarginazione
– processi decisionali
– processi di problem solving
– processi di cambiamento
• la cultura del gruppo, i valori, le norme che si è dato e le strategie per farle
rispettare:
– l’identità della comunità e gli elementi che la compongono
– i processi di identificazione nella comunità
– le rappresentazioni che i membri della comunità hanno della stessa e degli esterni
– la capacità di aiuto reciproco e le espressioni di solidarietà
– il sistema di difese psicologiche e gli alibi
– le paure
– i miti, totem e i tabù
Considera le istituzioni del territori:
• Comune
• Provincia
• Regione
• Comunità montana
• Unità Sanitaria Locale
• Camera di Commercio, dell’Industria e dell’Artigianato
• Organi e uffici di stato decentrati
Considera gli aspetti fondamentali della cultura di riferimento, in particolare
il sistema dei valori e i modelli condivisi dai cittadini.
22
La scheda è tratta da Batini F., Capecchi G. (a cura di) Strumenti di partecipazione: metodi,
giochi e attività per l’empowerment individuale e lo sviluppo locale, Trento, Erickson.
Come è possibile vedere l’analisi di comunità richiede un processo lungo in cui si necessita
investire molte risorse economiche, ma che sicuramente prende in considerazione l’individuo
nella sua globalità. La psicologia di comunità considera il volontariato come una risorsa di cui
la comunità stessa dovrebbe avvalersi.
Sarason (1974, p. 3) offre una riflessione su come lo sviluppo del senso psicologico di co-
munità si manifesta nei momenti in cui
desideriamo più intensamente essere parte di una rete di relazioni
più ampia che ci permetta di esprimere in misura maggiore i nostri
bisogni di intimità, diversità, utilità e appartenenza.
Conclusioni
È necessario che il volontariato si interroghi sempre più sul proprio ruolo, per non rasse-
gnarsi a diventare una sorta di “tappabuchi” del sistema sociale. L’obiettivo dovrebbe essere
quello (insieme ad altre forze culturali, sociali, politiche e sindacali) di togliere o almeno
arginare quelle forme croniche ed acute di svantaggio che ancora insidiano l’attuale società.
Passare da una cultura volontaristica di tipo individuale o piccolo gruppo ad una “cultura
di comunità” dove l’interdipendenza disciplinare e lo scambio diventano reciproco arricchi-
mento per tutti tutti coloro che fanno parte del processo significa promuovere un volonta-
riato “unito” intorno ai diritti fondamentali di ogni essere umano e capace  di:
– affermare,
– promuovere,
– vivere il pluralismo,
– valorizzare le differenze.
Passare da soggetti svantaggiati a nuovi cittadini significa entrare in un processo di tra-
sformazione culturale. Occorre promuovere non solo azioni educative – volontaristiche, ma
anche azioni politiche-territoriali che si pongano l’obiettivo di supportare e intervenire sul
recupero del termine “eguaglianza”  interrompendo quel processo che rallenta o rende me-
nomato lo sviluppo delle potenzialità umane.
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Capitolo III – Da soggetti svantaggiati a nuovi cittadini: i destinatari indiretti
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25
CaPItolo IV
un approccio narrativo: la metodologia
Simone Giusti
Ciascuna identità si configura e riproduce mediante un intreccio
narrativo. Se smarriamo questa originaria condizione interlocuto-
ria, se non ho un “tu” a cui rivolgermi, allora ho perso me stesso.
Nessuno può vivere una vita inenarrabile.
Davide Sparti, Musica in nero, 2007
Introduzione
In quest’ultimo ventennio è cresciuto costantemente l’interesse per l’approccio narrativo
in ambito pedagogico-didattico e nello studio della comunicazione, alla cui origine possiamo
collocare almeno tre fenomeni: 1) il ritorno alla narrazione nelle arti e nei media; 2) l’emergere
progressivo dell’interesse per la narrazione in tutti i settori delle scienze umane; 3) il legame
indissolubile tra costruttivismo cognitivo, ermeneutica e pensiero narrativo.
Genette (1972)
Il ritorno alla narrazione nelle arti e nei media
Sembra che i veri narratori siano scomparsi. Sono difficili da trovare dei narratori in grado
di raccogliere intorno a sé gli ascoltatori, di trasportarli nel tempo e nello spazio di un rac-
conto, coinvolgendoli nelle vicende di una storia, legandoli a sé col suono della voce e la fa-
scinazione del corpo in movimento. Si dice anche, in certi ambien ti della critica e della teoria
letteraria, che la narrazione sia scomparsa perfino dal romanzo, trasformatosi in antiromanzo,
romanzo-saggio, metaromanzo, romanzo sperimentale. Nella letteratura italiana si parla di un
ritorno del romanzo e della narrazione a partire dal 1975, anno di pubblicazione di La storia
di Elsa Morante. Eppure, fuori dall’Europa, nel 1967 Gabriel Garcia Marquez pubblica Cien
anos de soledad, mentre tutta l’America Latina e l’Africa cominciano a riversare sul vecchio
continente i loro grandi racconti.
Oggi, se è vero che certe figure di narratore e molte modalità di narrazione, soprattutto
orale, sono scomparse, è altrettanto vero che la narrazione si impone come situazione co-
municativa e modalità relazionale in gran parte della vita quotidiana, soprattutto in ragione
della pervasività dei media, le nuove potenti “agenzie narrative” del nostro tempo. In parti-
colare, la tv, “probabilmente la principale agenzia di story telling del mondo contemporaneo”
ChIarImentI termInologICI
Narrazione Atto del raccontare. È la situazione comunicativa che prevede la relazione
tra il soggetto che narra e il suo pubblico.
Racconto È il discorso narrativo in sé stesso (orale, scritto o figurato), cioè l’enunciato
attraverso cui un certo insieme di avvenimenti viene comunicato
Storia Gli avvenimenti che sono l’oggetto di un certo discorso.
26
(Jedlowski 2000, p. 57), sembra nata per soddisfare la nostra fame di storie quotidiane e per
fornirci infiniti stimoli a narrare nelle conversazioni di tutti i giorni.
Facciamo degli esempi circostanziati di comunicazione narrativa a cominciare dalla radio,
il medium elettrico orale per eccellenza, che dai primi anni novanta ha conosciuto una pro-
gressiva “narrativizzazione” della sua programmazione, inserendo in palinsesto dei programmi
dove il pubblico è esplicitamente chiamato a farsi esso stesso narratore, ovvero ascoltatore
e inventore di racconti, propagatore consapevole di storie più o meno quotidiane. Penso in
particolare a due trasmissioni assai longeve di Radio Due Rai: Il ruggito del coniglio e Alle otto
della sera: il racconto delle cose e dei fatti. La prima si configura come una serie di giochi nar-
rativi che forniscono degli stimoli agli ascoltatori al fine di farli divenire essi stessi narratori.
Spesso lo stimolo è costituito da una notizia di cronaca riletta in chiave umoristica e narrata
dai conduttori, i quali poi forniscono lo stimolo: “quella volta che è successo anche a te: rac-
conta!”. Gli ascoltatori telefonano e raccontano, mentre tutti gli altri a loro volta, dai propri
punti di ascolto, cercano di costruire storie a partire dalla propria esperienza. La seconda tra-
smissione in questione si rivolge ad un pubblico apparentemente meno “attivo”: uno studioso
viene invitato a divenire narratore e a raccontare in forma narrativa un episodio della storia,
la vita di un personaggio famoso, un fenomeno di costume. La storia si dipana su numerose
puntate, ciascuna delle quali è strutturata su sessioni narrative di pochi minuti alternate a
canzoni adeguatamente selezionate. La presenza della voce del narratore è incombente. Il
narratore non cerca di dimostrare la validità di una tesi, quanto piuttosto di affabulare, di
tenere desta l’attenzione dell’interlocutore.
Alla televisione la narrazione sembra dominare incontrastata, a partire dalle chiacchere
– assai vicine al pettegolezzo (Jedlowski, 2000, pp. 74-80) – degli infiniti talk show in cui si
discutono fatti di cronaca e di vita quotidiana. Tra i fenomeni più interessanti si segnalano
almeno i nuovi telefilm seriali americani, le pubblicità narrative (Testa, 2000, p. 185), i reality
show, e in particolare il Grande fratello e L’isola dei famosi. Questi ultimi possono essere con-
siderati come scuole di lettura creativa, nelle quali gli spettatori/interlocutori sono chiamati
a partecipare alla costruzione dei personaggi, dei loro quadri di valori, la loro identità. Fino al
punto di riuscire ad effettuare delle previsioni sul loro futuro e sul loro passato, mettendone
a fuoco le caratteristiche e le possibilità di scelta. E poi, quindi, sulla base delle storie che
ciascuno si immaginerà di vedere nel prosieguo dello spettacolo della vita, gli interlocutori
possono scegliere, come in un esercizio di scrittura creativa, quali personaggi tenere e quali
allontare. I reality possono essere considerati come delle storie in fieri che si costruiscono di
giorno in giorno, per la noia di coloro che sono abituati a usare storie complesse e lontane
dal proprio asfittico mondo possibile: ma ciascuno costruisce a partire ai materiali che ha a
disposizione; ciascuno conosce sulla base delle proprie preconoscenze.
Al cinema abbiamo assistito al ritorno della figura del narratore – la voce narrante – in film
di grande successo. Ricordiamo almeno Pomodori verdi fritti alla fermata del treno, esempio
straordinario di rovesciamento dell’interpretazione della storia grazie allo svelamento finale
del narratore (artificio narrativo già presente nel libro e già usato da Calvino nel Visconte di-
Capitolo IV – Un approccio narrativo: la metodologia
27
mezzato),  Forrest Gump, tipica narrazione autobiografica nella quale il sé personaggio della
storia alla fine  coincide con il narratore, Million dollar baby, capolavoro di Clint Eastwood.
Quest’ultimo in particolare è significativo del legame stretto tra tradizione orale, rappresen-
tata dalla presenza del narratore nero, tipico della tradizione afroamericana, e dalla scelta di
vincolare la storia al punto di vista del narratore, che essendo interno al racconto è in grado
di riferire solo ciò a cui ha potuto assistere direttamente o che gli è stato riferito da qualcun
altro. Nel cinema italiano si segnala il successo di questa formula narrativa – alla Forrest
Gump – nei film di autori toscani: Leonardo Pieraccioni e Paolo Virzì.
Il teatro di narrazione si è imposto in Italia con il successo dei lavori di Marco Paolini, che
con la sua orazione civile sulla tragedia del Vajont ha fatto scuola e ha contribuito a creare
un pubblico nuovo. A Paolini oggi si affianca – pur con le numerose distinizioni – il lavoro di
Davide Enia e di Ascanio Celestini. Quest’ultimo si sta affermando come uno dei grandi nar-
ratori del nostro tempo, capace di usare al medesimo fine una congerie di strumenti e mezzi.
Questi autori si distinguono per un uso assai complesso della narrazione, a partire dalla fase
di stesura del racconto, frutto a sua volta di sessioni di ascolto e di lettura che comportano
molti atti narrativi e, quindi, relazioni. Per scrivere e narrare Fabbrica. Racconto teatrale in
forma di lettera, Ascanio Celestini ha fatto “due anni di laboratori in giro per l’Italia”, duran-
te i quali ha raccolto “storie isolate, frammenti che ruotano intorno al vissuto fisico della
fabbrica” (Celestini, 2003, p. ix). Autori di questo genere sembrano prendere il ruolo – tra-
sformandolo in mestiere – dei narratori orali che vivevano in ogni comunità, in ogni paese.
La loro scomparsa, cui accennavamo all’inizio del paragrafo, verrebbe così compensata dalla
presenza di professionisti a cui viene delegato il compito di narrare.
Per quel che riguarda la letteratura, il successo commerciale dei generi narrativi un tempo
considerati inferiori o paraletterari è la migliore dimostrazione dell’avanzata della narrativa,
che ormai sta ritrovando un ruolo anche nella ciritica letteraria e nell’accademia. Il fenomeno
delle scuole di narrazione – si vedano almeno la pionieristica Scuola Holden fondata a Tor ino
da Alessandro Baricco e la scuola di narrazioni Arturo Bandini in Toscana – dà ragione di un
bisogno che è delle persone e del mondo del lavoro ad un tempo: per abitare il mondo con-
temporaneo è importante essere dei narratori competenti.
l’emergere progressivo dell’interesse per la narrazione in tutti i settori
delle scienze umane
È stato Smorti (1994) il primo a fare il punto sulle “tendenze che hanno favorito il sorgere
di un orientamento narrativo, sia come modello scientifico che come ambito di studi” (ivi, p.
18). Tra di esse è opportuno tenere presente almeno: 1) il cambio di paradigma verificatosi nel
campo dell’epistemologia della conoscenza scientifica (Smorti, 1994, pp. 24-26), nel quale si
è cominciato ad accettare la natura linguistica delle teorie, quindi la loro interpretabilità e la
necessità di ricorrere a una convalida da parte della comunità scientifica piuttosto che ad una
verifica sperimentale (la scienza diventerebbe così “un’impresa collettiva di attribuzione di
28
significati”, ivi, p. 25); 2) l’imporsi, a partire dal dibattito sul postmoderno (Lyotard, 1979) e sul
pensiero debole (Vattimo e Rovatti, 1983), di una visione depotenziata del ruolo della ragione
e la conseguente apertura verso teorie di stampo costruttivista, per le quali
la realtà è un costrutto, una concezione forgiata dal potere della
mente umana (…), ma anche in conformità con le credenze tra-
smesse storicamente che sono alla base di qualsiasi cultura umana
(Bruner, 2003, p. 13).
In questo quadro, una volta ammessa la possibilità da parte della scienza di individuare
nuove modalità di conoscenza, e, soprattutto, una volta ammesso che l’uomo è comunque
implicato in quanto osservatore all’interno di qualsiasi processo di ricerca, si è cominciato a
parlare della possibilità di fornire una interpretazione narrativa della realtà.
Nell’ambito delle scienze umane Smorti (1994, pp. 30-37) fa risalire a Clifford (1988) e
Geertz (1988) una prima accurata riflessione sul carattere riflessivo e autobiografico dell’an-
tropologia e dell’etnografia. In queste discipline la fine di una netta separazione tra soggetto
e oggetto comporta una refvisione degli stessi prinicipi fondamentali:
avendo rinunciato alla pretesa di descrizione obiettiva di una civil-
tà diversa, l’antropologo deve riconoscere di essere un osservatore
interno al sistema osservato; egli non può dunque che raccontare le
proprie esperienze, ovvero fare un’autobiografia (Smorti, 1994, p. 33).
La stessa storiografia (Smorti, 1994, p. 33; Jedlowski, 2000, pp. 194-195) viene messa in crisi
dagli approcci narrativi, fino ad arrivare alle tesi estreme di White (1980) circa il carattere “im-
maginario” e sostanzialmente retorico degli studi storici, che non possono essere condotto
se non in maniera narrativa. La verità storica, in fondo, non sarebbe che “un prodotto dell’im-
maginazione simile alla fiction letteraria” (Smorti, 1994, p. 33); “le vicende umane – sostiene
inoltre Jedlowski (2000, p. 195) – non sono ‘storia’ in sé stesse: la storia è un ordine artificiale
costruito da colui che le narra”. Il dibattito storiografico ha fatto emergere due aspetti impor-
tanti della narratività nelle scienze sociali:
1) lo statuto scientifico del discorso storico viene ricondotto alla nozione di prova e proce-
dimenti di verifica intersoggettivi (Jedlowski, 2000, p. 197);
2) il discorso storico deve fare i conti con la presenza di un punto di vista e di una voce nar-
rante, ovvero deve assumersi la responsabilità delle proprie scelte e delle decisioni che
condizionano la sua visione storica.
La sociologia – altra forma di discorso narrativo che si fonda su una strategia di ricerca
fondata su prove – dagli anni Novanta e in particolare, in Italia, grazie agli studi di Paolo
Jedlowski (2000), ha colto nel pensiero narrativo un efficae strumento di cognizione dell’agen-
tività umana. Se il campo di studio della sociologia è l’agire sociale, allora la narrazione diven-
ta un strumento di ricerca ideale, il solo in grado di portare alla luce il mondo dei significati
nella sua complessità.
Capitolo IV – Un approccio narrativo: la metodologia
29
Nel campo della psicanalisi si parla di una svolta narrativa a partire dalla fine degli anni 60
del Novecento, quando viene definitivamente superata la fiducia positivistica nella psicoana-
lisi come scienza che ricerca i fatti tipico di Freud, la cui
concezione della memoria come magazzino nel quale i ricordi pos-
sono andare perduti (…) gli impedì di compiere una trasformazione
in senso radicamente ermeneutico e genuinamente costruttivista
della sua teoria: (…) la rinuncia al concetto di causa ed il ricorso
all’ermeneutica contribuirono a costruire una teoria della psicoana-
lisi in senso narrativo (Smorti, 1994, pp. 35-36).
Intanto, nella neurologia Oliver Sacks (1985) porta alla luce il metodo del racconto dei casi
clinici di Alexander Luria (1968). Raccontando le storie cliniche dei suoi pazienti – che spesso
hanno a che fare direttamente con la narrazione, usata dalla mente per supplire alle deficien-
ze delle memoria a lungo termine o per colmare i vuoti del pensiero  logico e astratto – si ha
l’impressione che Sacks (1985) riesca a sintetizzare con straordinaria efficacia e concretezza le
tensioni e i conflitti tra l’approccio paradigmatico di tipo scientifico e l’approccio narrativo.
In psicologia l’emergere di una prospettiva narrativa ha causato una vera e propria rivo-
luzione che, secondo Sarbin (1986), avrebbe portato all’affermarsi di “una nuova visione del
mondo” (Smorti, 1994, p. 41) in cui sono centrali i concetti di interazione e di costruzione.
Bruner (1986) alla metà degli anni Ottanta comincia a parlare esplicitamente di “due tipi di
pensiero”, uno paradigmatico o logico scientifico, che “persegue l’ideale di un sistema de-
scrittivo ed esplicativo formale e matematico” (1986, p. 17), l’altro “narrativo”, il quale “si oc-
cupa delle intenzioni e delle azioni proprie dell’uomo o a lui affini, nonché delle vicissitudini
e dei risultati che ne contrassegnano il corso” (ivi, p. 18).
A Bruner (1990) dobbiamo inoltre la formulazione di una psicologia popolare, tesa a stu-
diare quell’insieme di
descrizioni più o meno interconnesse tra di loro, più o meno norma-
tive, riguardo al ‘funzionamento’ degli esseri umani, ai meccanismi
della nostra e dell’altrui mente, alle aspettative riguardo al manife-
starsi dell’azione in situazione,ai possibili modelli di vita, alla possi-
bilità di ciascuno di rapportarsi ad essi ecc. (ivi, p. 47-48).
La psicologia popolare è di fatto lo strumento attraverso cui la cultura plasma la vita e la
mente dell’uomo e dà significato al suo agire “inserendo gli stati intenzionali profondi in un
sistema intepretativo” (ivi, p. 47). Secondo Bruner (1990) la psicologia popolare è organizzata
su basi narrative, e per questo occorre fondare uno studio della narrazione, della sua natura,
dei suoi aspetti cognitivi: allo scopo di studiare le modalità di costruzione del significato.
Naturalmente le conseguenze in campo pedagogico sono dirompenti. Per lo stesso Bruner
(1996)
se la narrazione deve diventare uno strumento della mente capace
di creare significato, richiede del lavoro da parte nostra: leggerla,
farla, analizzarla, capirne il mestiere, sentirne l’utilità, discuterla.
30
E ancora:
Solo la narrazione consente di costruire un’identità e di trovare un
posto nella propria cultura. Le scuole devono coltivare la capacità
narrativa, svilupparla, smettere di darla per scontata (ivi, pp. 54-55).
Dalla pedagogia all’educazione degli adulti e alla formazione e orientamento scolastici e
professionali, muovendo dalle acquisizioni della psicologia culturale di Bruner, quindi dalla
rivalutazione del pensiero narrativo e, in generale, dall’avanzata delle metodologie qualitati-
ve in ambito educativo, si è cominciato a pensare alla narrazione come ad una fondamentale
risorsa identitaria, capace di facilitare l’apprendimento di strumenti narrativi e di contribu-
ire alla costruzione e alla presa di consapevolezza di un patrimonio culturale condiviso. Da
lunghe sperimentazioni e riflessioni è scaturita la metodologia dell’orientamento narrativo
(Batini e Zaccaria, 2000; 2002; Batini e Del Sarto, 2005), sorta ad opera di pedagogisti e pro-
fessionisti dell’orientamento italiani che hanno affrontato con strumenti narrativi il proble-
ma dell’orientamento scolastico e professionale, ovvero dello sviluppo di competenze pro-
gettuali e di capacità di scelta.
Infine, la letteratura, intesa come disciplina di studio, ovvero come attività di riflessione
critica e teorica sulle opere letterarie, è arrivata per ultima agli approcci narrativi. È un pa-
radosso le cui ragioni sono state rintracciate da Todorov (2007), il quale parla di un vero e
proprio abbandono della dimensione cognitiva dell’opera d’arte (ivi, p. 63) da parte degli stes-
si letterati, che avrebbero perseguito una concezione chiusa, limitativa dell’arte e della sua
interpretazione. Tuttavia, proprio grazie all’azione della pedagogia bruneriana e della rifles-
sione filosofica intorno al postmoderno e all’ermeneutica, ed in ragione delle sopravvenute
necessità di tornare ad un rapporto con un pubblico (composto se non altro dagli allievi delle
Facoltà di Lettere e dai nuovi insegnanti di materie letterarie), l’approccio narrativo si è aper-
to un varco anche nell’accademia. Ceserani (1999) ha messo in luce le nuove “responsabilità”
(ivi, p. 202) che comporta il riconoscimento del
ruolo fondamentale, formativo e conoscitivo, e di forte coinvolgi-
mento etico ed estetico, svolto dal racconto e dalla rappresentazio-
ne immaginaria nelle società umane (ivi, p. 392).
In un quadro di maggiore apertura all’esterno e grazie ad un approccio interdisciplinare
si presenterebbero per la narratologia – che ha contribuito in misura notevole agli studi di
pedagogisti, sociologi e psicologi – nuove prospettive di sviluppo (Todorov, 1997).
Il legame indissolubile tra costruttivismo cognitivo, ermeneutica e pensiero narrativo
Siamo una specie narrante (Jedlowski, 2000, p. 194), perché abbiamo bisogno di assegnare
un senso alla nostra esperienza – un senso che arriva post factum – e il solo modo che ab-
biamo per dare un senso alla complessità delle azioni umane è il racconto, l’atto di narrare.
Siamo esseri desideranti, che una volta esauditi i bisogni di base, legati alla sopravvivenza
Capitolo IV – Un approccio narrativo: la metodologia
31
fisica, sentiamo il bisogno sociale di essere accettati e riconosciuti dagli altri. Solo così – at-
traverso la comunicazione – possiamo riuscire a costruire la nostra identità. In particolare,
“il pensiero narrativo può funzionare come metodo ‘veloce’ di attribuzione dei significati e
come guida nell’azione e nel giudizio sociale” (Smorti, 1994, p. 121): raccontando a noi stessi
e agli altri incrementiamo la nostra comprensione, creiamo le condizioni per continuare a
comprendere, all’interno di un circolo di tipo ermeneutico.
La narrazione è motivata da un profondo bisogno di conferire senso alla realtà, la quale
– secondo il paradigma costruttivista – acquista significato proprio attraverso i racconti di
ciascun narratore.
Tesi del costruttivismo è che gli esseri umani costruiscano inavver-
titamente la realtà nella quale vivono, e che l’ignoranza dei mec-
canismi cognitivi con cui ciò avviene sia superabile. Imparare e
comprendere implicano costruzione e interpretazione da parte del
soggetto che vive questi processi (Scarpa, 2006, p. 30).
La comunicazione, in un’ottica costruttivista, è un’azione creativa, nel senso che è attra-
verso la comunicazione che creiamo la realtà stessa. La narrazione è una modalità del pensie-
ro – il pensiero narrativo descritto da Smorti (1994; 2007) – mossa dalla volontà di conferire
senso alle azioni umane.  
Funzioniamo così: dentro una precisa cornice culturale noi ci muoviamo, incontriamo per-
sone, agiamo, ovvero prendiamo delle decisioni spinti dai bisogni (bisogni fisiologici, bisogni
di sicurezza, e poi, su un altro livello: di appartenenza, di stima, di autorealizzazione e bisogni
spirituali, secondo la piramide di Maslow). Le azioni che compiamo grazie alle decisioni co-
struiscono le situazioni e danno un senso a ciò che facciamo. Costruiamo così i nostri valori,
sulla base dei quali strutturiamo le successive decisioni. Siamo dentro un circolo di tipo er-
meneutico: abbiamo dei pre-giudizi sul mondo, delle immagini del mondo, dei valori che ci
consentono di scegliere, scegliamo dando un significato all’azione e creando i presupposti
per scegliere ancora.
Interpretare il significato delle azioni umane vuol dire mettere le azioni in connessione
con altre azioni. Il che significa propriamente collocare la singola azione dentro una storia.
Siccome le nostre azioni ci sfuggono, abbiamo bisogno di intepretarle, assegnando loro un
senso. Per farlo costruiamo delle storie. Narrando incrementiamo la nostra comprensione,
creiamo le condizioni per continuare a comprendere, ancora all’interno di un circolo erme-
neutico.
la narrazione nella formazione e nell’orientamento: i corsi dell’altra Città finanziati da
Cesvot
Negli ultimi anni mi è capitato di progettare e coordinare corsi di formazione per vo-
lontari finalizzati a sviluppare la capacità di utilizzare strumenti narrativi nei vari settori del
lavoro sociale: l’animazione socioculturale, l’animazione di comunità (per adolescenti, adulti
e anziani), l’educazione degli adulti e l’orientamento dei soggetti svantaggiati.
32
In questi corsi l’approccio narrativo è stato applicato consapevolemente almeno in tre
distinti modi:
1) come corpus di conoscenze e abilità da “trasferire” ai volontari affinché divenissero de-
gli operatori capaci di utilizzare la narrazione come strumento di lavoro (attraverso la
scrittura creativa, il colloquio narrativo, il setting narrativo ecc.). È il caso, ad esempio, del
corso di formazione “Ho così tante storie” (2005);
2) come strumento di lavoro per sviluppare competenze narrative nei volontari, ovvero
come strumento di “orientamento narrativo”. È il caso di quasi tutti i corsi di formazione
gestiti dall’Altra Città, i quali si aprono e chiudono con incontri di orientamento che uti-
lizzano esclusivamente un approccio narrativo;
3) come metodo didattico per costruzione di materiali e per la gestione dell’aula (mi è capi-
tato di utilizzare un approccio narrativo in tutte le docenze che ho svolto in questi anni
per conto del Cesvot).
la narrazione come strumento di lavoro per i volontari
La narrazione prima di essere uno strumento di lavoro per approcciare gli utenti del no-
stro lavoro sociale è uno strumento di gestione della propria identità (dei propri sé). Essa
serve a gestire i significati delle nostre azioni, a dare un senso a ciò che facciamo. Essa, inoltre,
mette a disposizione numerosi strumenti per lavorare con efficacia nei v ari settori del lavoro
sociale. Ci sono ormai numerosi esempi e buone pratiche – già diffuse anche attraverso la
stessa collana “Briciole” del Cesvot – che aiutano i volontari a stimolare la produzione di
narrazioni con i loro compagni di strada. In particolare si segnala l’importanza dell’approccio
narrativo nel lavoro con gli immigrati e con gli adolescenti, con gli anziani e con le donne
casalinghe che cercano un lavoro.
l’orientamento narrativo
L’orientamento narrativo è una metodologia di orientamento formativo che si può col-
locare nell’ambito dei metodi qualitativi, non direttivi, centrati sull’utente. Accogliendo le
sollecitazioni provenienti da numerosi campi disciplinari — pedagogia narrativa, teoria lette-
raria, psicologia costruzionista, sociologia della vita quotidiana, etnoantropologia —, l’orien-
tamento narrativo sposa la logica dell’empowerment. Oggi infatti (Batini e Del Sarto, 2005)
si sottolinea sempre di più la funzione dell’orientamento come snodo per l’empowerment di
un soggetto ovvero di un processo che aumenti il controllo e la percezione di controllo sulla
propria vita e sulle proprie scelte.
Attraverso questa metodologia di orientamento si possono sviluppare le seguenti com-
petenze:
– essere capaci di dare una struttura alla confusa realtà in cui viviamo;
– esercitare un controllo sul reale e agire di conseguenza;
– essere capaci di interpretare, funzionalmente, ciò che ci accade;
– essere capaci di esercitare previsioni sul futuro e di progettare;
Capitolo IV – Un approccio narrativo: la metodologia
33
– essere in grado di attribuire un senso e un significato a ciò che ci accade e a ciò che faccia-
mo;
– essere in grado di tenere insieme i differenti aspetti della nostra identità, anche in modo
progettuale;
– essere in grado di socializzare tutte queste competenze;
– essere in grado di negoziare con gli altri i significati che attribuiamo agli eventi, a noi stessi,
alla realtà che ci circonda;
– essere in grado di organizzare pensiero e azioni.
L’orientamento narrativo sul piano operativo si può tradurre in un continuo processo di
produzione di testi narrativi di vario tipo: racconti, story board, collage, sequenze di fotogra-
fie, disegni o multimedia.
I testi, di qualunque tipo essi siano
[…] hanno una duplice funzione, cioè quella di consentire al sogget-
to un punto di vista particolare sulla realtà e quella di testualizza-
re la realtà così come essi la osservano, senza per questo irrigidire
copioni e interpretazioni. La peculiarità di un soggetto viene intesa
come un corpus significativo che, una volta testualizzato, assume un
rapporto sempre più o meno stabile con un particolare contesto e
rende possibile al soggetto l’autointerpretazione e la lettura di quel
medesimo contesto, ma al contempo apre al possibile delle altre
interpretazioni. (Batini e Del Sarto, 2005, p. 41)
È quindi necessario stimolare la produzione di narrazioni attraverso una pluralità di stimo-
li e di strumenti, quali:
– il fotolinguaggio,
– il racconto orale,
– la scrittura creativa,
– la scrittura cinematografica e l’utilizzo di audiovisivi,
– la canzone e il canto.
la narrazione come metodo didattico
Il formatore o l’orientatore che usano un approccio narrativo si concepiscono come dei
facilitatori dell’apprendimento che, attraverso gli strumenti tipici della relazione d’aiuto e
del lavoro di gruppo, integrate con specifiche competenze narrative — narratologia, scrittura
creativa, pensiero narrativo — innescano e gestiscono situazioni in cui i soggetti sono messi
in condizione di ‘testualizzare’ le proprie costruzioni di significato in racconti, poesie, foto-
grafie, collage, filmati.
In particolare, qualunque sia il livello di competenza dell’esperto, è fondamentale tener
conto delle seguenti regole (Mantegazza, 1999, pp. 7-10):
1. Contaminazione. La narrazione non è riservata a un particolare genere o codice comuni-
cativo: essa è trasversale e coinvolge, oltre alla letteratura e il cinema, la televisione, il
34
fumetto, Internet, i videogiochi, la musica leggera, ecc. Occorre, dunque, avere il coraggio
di contaminarsi, facendo una scelta di umiltà nei confronti di codici e generi di fronte ai
quali dobbiamo ammettere la nostra ignoranza e accettare di apprendere dai ragazzi.
2. Rispetto del pudore. La narrazione non è neutra: una pedagogia fondata sulla narrazione
può creare crisi nei soggetti e nei gruppi, poiché mette in discussione i valori, gli interessi
e, in definitiva, l’identità. È necessario quindi che l’educatore sia in grado di gestire le crisi
e che sappia creare un clima di rispetto del pudore
3. Ascolto. Il senso profondo della narrazione risiede nell’essere ascoltati e nell’ascoltare.
Ciò non significa solo parlare mentre gli altri sono in silenzio: l’ascolto prevede che tutti
siano co-costruttori dei significati attraverso un atteggiamento partecipativo.
4. Avalutatività. In campo narrativo, nessuno possiede verità definitive. In particolare, il
narratore-educatore non è colui che ha l’accesso ai veri significati, bensì un animatore-
facilitatore in grado di stimolare le narrazioni e il loro ascolto.
5. Copresenza. Le attività narrative hanno senso se si svolgono all’interno di un percorso più
ampio della singola lezione o incontro, e devono essere quindi adeguatamente progettate
e inserite nel contesto.
un esempio di percorso: «Il Conte di montecristo»
È la storia del Conte di Montecristo, scritta da Alexandre Dumas e pubblicata tra il 1845 e il
1846. Il cammino di un uomo che sta per raggiungere il successo e coronare i suoi sogni viene
bruscamente interrotto: dei soldati lo arrestano mentre sta per sposarsi e lo rinchiudono in
prigione, privandolo perfino del suo nome. Vi rimane per tredici anni, durante i quali ha modo
di apprendere molte cose e di capire chi è stato a manovrare il destino contro di lui. Riesce a
evadere e a entrare in possesso di un tesoro favoloso, che dà potere a chiunque sia in grado
di utilizzarlo con accortezza e competenza. Viaggia per sei anni in Oriente, dove apprende
l’arte di governare i rapporti umani. Infine, in quattro mesi decisivi per la sua esistenza decide
di portare a termine il suo piano: premiare i suoi benefattori, coloro che hanno aiutato lui e i
suoi parenti, e punire coloro che — per invidia o per gelosia — hanno causato le sue disgrazie.
È così che, attraverso incontri burrascosi, travestimenti e rivelazioni straordinarie, quest’uo-
mo incredibile riesce a riconquistare il suo nome e a riappropriarsi della sua identità: Edmond
Dantès, Conte di Montecristo.
Il percorso narrativo è strutturato in 4 incontri di 4 ore ciascuno. Nel primo incontro — «Il
castello d’If» — si lavora sulle fratture intervenute nel percorso formativo e di vita al fine di
evidenziare gli ostacoli e le capacità necessarie a superarli. Il secondo incontro, denominato
«Il tesoro», è finalizzato alla presa di consapevolezza delle risorse interne e delle opportunità
esterne, mentre nel terzo — «Le maschere, gli incontri» — l’obiettivo è quello di incrementare
le competenze di analisi di situazioni comunicative e relazionali. Nel quarto e ultimo incon-
tro, che abbiamo chiamato «Il riconoscimento», si lavora sulla capacità di decentramento e di
lettura dei giudizi e delle emozioni.
Capitolo IV – Un approccio narrativo: la metodologia
35
Per ciascuna giornata è necessario prevedere un progetto didattico che preveda i l numero
e la durata delle attività, la loro finalità, gli obiettivi didattici e le modalità di somministra-
zione e valutazione. Di seguito si riporta un esempio della microprogettazione della prima
giornata del percorso “Il Conte di Montecristo” (tratto da F. Batini, S. Giusti, L’orientamento
narrativo a scuola. Lavorare sulle competenze orientative dalla scuola dell’infanzia all’educa-
zione degli adulti, Trento, Erickson, 2008).
Ia giornata: Il Castello d’If
Per ciascuna attività possono essere inoltre previste delle schede operative da conse-
gnare agli allievi o da utilizzare in sottogruppi. Si riproduce di seguito, a titolo di esempio, la
scheda di lavoro per la prima giornata del percorso.
Creare il gruppo
di lavoro attraverso
la conoscenza
reciproca.
Lavorare
sulle fratture
intervenute nel
percorso formativo
e di vita al fine
di evidenziare gli
ostacoli e le capacità
necessarie a superarli.
30 min.
1 h e 30
min.
1 h e 30
min.
30
min.
Il Castello d’If
temPI
obiettivi
ad alta voce
l’esperienza
del racconto
Il castello
d’If: prima
dell’arresto
Conclusione
Incontri
attIVItà
Individuare i valori
professionali,
le aspettative e
i vincoli.
Prendere
consapevolezza
delle risorse interne
e esterne.
Lettura dell’incipit del Conte di Montecristo, seguito da un brainstorming
per stimolare il recupero di ricordi utili a motivare l’interesse per la storia guida.
Breve racconto della storia di Edmond Dantès.
Somministrazione della scheda di monitoraggio ex-ante.
Attività dei «Personaggi che nascono» (scheda allegata) con domande stimolo per
esplicitare le competenze narrative.
Lo scopo dell’esercizio è di mettere in evidenza le principali proprietà della
narrazione e il legame tra narrazione e orientamento. In particolare ci si sofferma su:
(a) il fatto che ascoltare è un’azione costruttiva e quindi che si narra e si sviluppano
competenze narrative anche quando si ascolta o si legge una narrazione;
(b) la capacità di immaginazione: immaginare è una competenza fondamentale per
sviluppare la propria percezione di autoefficacia e per programmare/programmarsi;
(c) la capacità di risoluzione creativa dei problemi: partire da un vincolo capace di
stimolare una narrazione rappresenta una risorsa creativa.
Lettura del capitolo XVII, La cella dell’Abate. Discussione e focalizzazione
dell’attenzione sulla frattura che rappresenta la chiusura in carcere per Edmond
Dantès e per la sua storia di vita (il resto del romanzo è il tentativo di riprendere
il filo della storia). Ricerca di analogie nell’esperienza individuale di ciascuno
attraverso l’attività «Prima dell’arresto»: gli ostacoli e le capacità (scheda).
Si può lavorare in piccoli gruppi o individualmente e restituire in plenaria i risultati
(lavagna a fogli mobili).
Obiettivi: esplicitare gli ostacoli incontrati nel proprio percorso formativo e
professionale; ricostruire un primo quadro di competenze sviluppate nel fronteggiare
gli ostacoli e risolvere i problemi.
Feedback sul lavoro svolto e nuova focalizzazione sulle competenze narrative.
Compilazione del diario di bordo.
Il tesoro
obIettIVI dIdattICI e modalItà dI sommInIstrazIone
Lavorare sulla
capacità di ascolto e
di dialogo.
Incrementare le
competenze di
analisi di situazioni
comunicative e
relazionali.
le masChere,
glI InContrI
Lavorare
sulla capacità
di decentramento
e di lettura
dei giudizi e
delle emozioni.
Il
rIConosCImento
36
scheda – Il Conte di montecristo – ostacoli e capacità
PrIma dell’arresto
Edmond  Che cosa non avreste mai fatto se foste stato libero?
AbAtE FAriA  Forse nulla. L’eccezionalità delle mie capacità mentali si sarebbe volatilizzata
in futilità. Occorrono le sventure per scavare certe miniere nascoste nell’intel-
ligenza umana; occorre la pressione per far scoppiare le polveri. La prigionia
concentrò in una sola direzione tutte le mie capacità fluttuanti qua e là; esse si
urtarono in uno spazio ristretto e, come sapete, dall’urto dei nembi nasce l’elet-
tricità dell’aria, dall’elettricità nasce il lampo, dal lampo la luce.
glI ostaColI
Arrestare significa principalmente «fermare», «interrompere», bloccare qualcuno o qual-
cosa durante il suo percorso verso una direzione. Ci si arresta per propria volontà o perché si
incontrano degli ostacoli durante il percorso. Prova a dare un nome agli ostacoli che possono
aver provocato in passato un arresto al tuo cammino.
Capitolo IV – Un approccio narrativo: la metodologia
37
le CaPaCItà
Gli ostacoli esterni possono anche — lo sostiene l’Abate Faria — dare un senso, una dire-
zione a capacità che altrimenti rischiano di essere sprecate. La prigionia, dice l’Abate, «con-
centrò in una sola direzione tutte le mie capacità fluttuanti qua e là; esse si urtarono in uno
spazio ristretto e, come sapete, dall’urto dei nembi nasce l’elettricità dell’aria, dall’elettricità
nasce il lampo, dal lampo la luce».
Prova a dare un nome alle capacità che hai sviluppato a seguito degli ostacoli incontrati.
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Scuola Holden: www.scuolaholden.it
Scuola di competenza sociale di Ludovica Scarpa: www.competenzasociale.it
Convegno biennale sull’orientamento narrativo “Le storie siamo noi”:
www.pratika.net/portal/index.php/convegni-orientamento-narrativo
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CaPItolo V
Che formatore sei? I formatori
Andrea Guarguaglini
formatori ed affini
Alcuni anni fa essere “formatore” indicava spesso il possesso di una competenza, spes-
so tecnica e talvolta poco comprensibile dall’esterno, nell’ambito dell’apprendimento e del
cambiamento. Ancora oggi, ogni tanto, compaiono sulle copertine di libri divulgativi foto di
persone sulla tre quarti, dal sorriso accattivante e sicuro di sé, con la mano destra appoggiata
sul mento nella classica posizione del “pensatore”, che evocano in qualche modo il saggio
risolutore di tutti i problemi, che ciascuno più o meno consapevolmente ricerca con la sua
parte bambina più delirante.
L’immagine, in questo caso, è volutamente costruita per veicolare un’identità, quella del
formatore come un professionista competente con poteri quasi magici, acquisiti attraverso
corsi costosisissimi, che riesce a gestire singoli e gruppi ed a guidarli verso il cambiamento
delle loro vite personali e professionali con un impegno da parte loro inversamente propor-
zionale al prezzo pagato per partecipare al suo seminario.
A fronte di questa immagine, lo sviluppo delle scienze della formazione e la ricerca peda-
gogica, sociale, psicologica e persino neuroscientifica hanno però sfumato negli anni il signifi-
cato del termine “formatore”, che è giunto talvolta ad includere, più o meno esplicitamente,
una serie di professionalità specifiche che, operando nello stesso ambito, utilizzano metodo-
logie diverse per il raggiungimento di obiettivi diversi.
Sebbene non sia ancora semplice reperire definizioni precise rispetto a ciascuna di queste
figure per l’inesistenza di formule condivise, è comunque possibile ad oggi elencare le princi-
pali professionalità, evidenziandone alcuni tratti caratteristici:
Insegnante o docente. Opera generalmente in contesti formali di apprendimento. La sua
funzione è soprattutto quella didattica e di trasmissione di saperi specifici. Ha obiettivi e pro-
grammi predeterminati e più ampio margine di manovra per quello che riguarda le modalità.
Operando in situazioni “obbligatorie” risente delle difficoltà ad esso associabili.
L’orientatore. Sostiene persone e gruppi nel percorso di organizzazione e definizione di
una scelta professionale o scolastica, salvaguardandone l’autonomia. Ha competenze di pro-
gettazione individuale e orientativa, di analisi del contesto e conoscenze del mercato del
lavoro, ed è in possesso anche di forti competenze sociali e relazionali.
L’animatore. Attiva e sostiene i gruppi nella loro attività sociale o ludica attraverso la pro-
posta di attività comuni, non necessariamente svolte dentro ad un’aula. Possiede una forte
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attitudine alle relazioni interpersonali e all’analisi delle situazioni ma soprattutto è in grado
di trascinare e di creare situazioni.
Il facilitatore. Sostiene e facilita i processi dal versante emozionale in momenti particolari
della vita organizzativa di un gruppo. Suo principale obiettivo principale è quello di favorire
la comunicazione vera di tutti i soggetti presenti.
Il tutor. Si rende responsabile di un gruppo, di un aula o di un percorso formativo facili-
tando le relazioni degli allievi tra di loro e con l’organizzazione erogante o comunque con i
singoli operatori di formazione.
Il mentore. Accompagna una persona (più raramente un gruppo) rivestendo un ruolo rico-
nosciuto di consigliere e di guida saggia ed affidabile.
Il counselor. Accompagna singoli e gruppi nel percorso che va dalla consapevolezza dello
stato presente al raggiungimento di uno stato desiderato nell’ambito della vita personale,
relazionale, professionale, sportiva o familiare, utilizzando metodologie ed approcci psicolo-
gici e scientifici diversi che non comportino ristrutturazioni di personalità tipiche del lavoro
psicoterapeutico.
Il formatore (in senso stretto). È uno specialista di contenuti ma soprattutto di metodolo-
gie formative, in grado di organizzare una serie di azioni per facilitare i processi di apprendi-
mento dei soggetti, generalmente adulti, in contesti organizzativi e non. Il suo agire caratte-
ristico è quello di porre attenzione alle persone in formazione mettendole su un livello che
sopravanza i suoi saperi e le sue metodologie.
Se dovessi chiedere ad una persona che opera nell’ambito della formazione “che formato-
re sei?” preferirei dapprima sapere da lui o da lei se si ritiene un formatore in senso stretto o
seppure agisce in una delle modalità sopra accennate, in modo da valorizzare maggiormente
la sua competenza e la sua professionalità in termini di obiettivi, metodi, contenuti.
“saper essere” formatore
Di fronte a tale pluralità di personaggi e ruoli, resta però valida a nostro parere la classica
triplice distinzione dei livelli di competenze relative al sapere, al saper fare ed al saper essere.
E forse, ciò che potrebbe unire tutte le professionalità elencate nel paragrafo precedente,
seppure a livelli diversi di responsabilità, è il piano del saper essere, quello più delicato in ogni
professione del cambiamento. D’altra parte, lo stesso termine “formatore”, in senso etimolo-
gico, richiama ad una responsabilità di costruzione, quasi manuale, della persona affidata. E,
dal nostro punto di vista, non può esserci una costruzione solida se l’operatore di f ormazione,
qualunque sia il suo obiettivo ed il suo metodo, non partecipa alla costruzione dell’umanità
Capitolo V – Che formatore sei? I formatori
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di chi ha di fronte senza costruire la sua stessa umanità. Dal tutor al mentore, dall’insegnante
all’orientatore, la capacità di saper essere si alimenta almeno a due sorgenti:
– primo, un atteggiamento teorico aperto sulla propria capacità di apprendimento, biolo-
gicamente illimitata e resa possibile soltanto attraverso la relazione umana (si vedano a
tale proposito le recenti ricerche sui neuroni specchio, che permettono il formarsi della
distinzione sé/altro e della capacità empatica attraverso la simulazione stimolata dai rap-
porti interpersonali)2;
– secondo, attraverso la scelta di mettersi in discussione, di conoscere e di attraversare le
proprie problematiche, perché, come diceva Jung, non è possibile portare l’altro dove non
siamo stati noi stessi.
“Che tipo di formatore sei?”, la domanda del titolo di questo intervento, può riportare
l’attenzione anzitutto proprio su questa responsabilità nei confronti della propria umanità.
Non si tratta di autovalutarsi come buoni o cattivi. Il saper essere non è questo, è piuttosto
una scelta iniziale, una sorta di decisione esistenziale, per cui l’operatore nella formazione in-
traprende il percorso dell’alterità e della relazione come via al Sé, mettendo in conto le dife-
se e le cadute costruite naturalmente dalla propria storia personale. In questo senso, l’attività
d’aula o l’incontro con il singolo diventano semplicemente ed automaticamente (perché nel-
la nostra biologia stessa così formiamo la nostra identità) atti costruttivi, per sé e per l’altro.
La logica costruttivista, in questo senso, viene incontro al saper essere, perché allontanandoci
da un realismo ingenuo, ci fa stupire di fronte alla percezione di ciò che appare reale ma che è
invece frutto delle nostre scelte, della nostra storia ed in ultima analisi della nostra modalità
costruttiva dell’essere. Se la nostra percezione è un costrutto e se il costrutto dipende anche
dal grado di elasticità, di autoconsapevolezza, di relazione e di empatia, potremmo chiederci
allora non tanto “che formatore sei?” quanto piuttosto “quanto formatore sei?”.
la scelta del personaggio
Se sul piano esistenziale riteniamo che la scelta costruttivista, e l’etica che ne conse-
gue, siano alla base dell’arte della formazione, su un piano più strettamente metodologico
(e quindi del “saper fare”) e su quello della modalità relazionale (che sta sul confine tra il
fare e l’essere), formatori ed affini possono distinguersi attraverso la descrizione di sé stessi,
utilizzando gli strumenti dell’autovalutazione e dell’eterovalutazione. Sebbene tali strumenti
siano inevitabilmente limitati dalla complessità sistemica degli elementi in gioco (chi valuta,
che cosa valuta, come valuta, ecc…) ed all’ineludibile interferenza tra osservatore ed osser-
vato (estensione psicologica del principio di indeterminazione di Heisenberg3, introdotto nel
contesto della fisica quantistica), è possibile comunque al formatore descrivere se stesso
nella preparazione dell’intervento in aula, nella relazione con gli utenti, nelle emozioni che
prova, negli automatismi in cui si scopre, negli errori che costituiscono la sua esperienza.
2
M. Iacoboni (2008), I neuroni specchio, Bollati Boringhieri.
3
“Non è possibile conoscere simultaneamente posizione e quantità di moto di un dato oggetto con precisione
arbitraria”, W. Heisenberg (1927), Fisica e filosofia.
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Per semplificare il processo l’autovalutazione, proponiamo di seguito un modello sim-
patico, che attraverso dei personaggi, dipinti con tratti caratteristici, fornisce una prima gri-
glia per l’operatore di formazione, e specialmente per quello lavora in aula, per iniziare a
rispondersi alla domanda “Che formatore sono?”. Il modello è tratto da una scheda operativa
riportata sul testo Gestire gruppi in formazione4. La scheda descrive sinteticamente i tipi rap-
presentandoli con un tratto caratteristico che spesso s’incontra in aula.
Non possiamo descrivere una persona in maniera oggettiva ma troviamo persone che
possiedono un misto delle caratteristiche precedenti. Allora come possiamo rappresentarci?
Che tipo sono…? I tipi alcuni modelli possibili: L’ingegnere
La buona riuscita degli incontri sta nella minuziosa preparazione della scaletta e dei mate-
riali. Le sue slide sono perfette ed il processo è sotto controllo.
Tutto torna, i tempi sono scanditi alla perfezione. Forse si accorge che in quell’aula con lui
ci sono anche delle persone.
Il politico
L’aula è il luogo dell’emancipazione e della trasformazione della società. Le idee, le sue
idee, sono quelle che servono a tutti, quello che dice è in grado di aprire gli occhi alle perso-
ne. Riesce sempre a trovare una scusa per parlare di politica.
Non lo fa per cattiveria o perché è disinteressato all’aula, solo che per lui nulla può essere
escluso dagli affari pubblici.
L’attore
L’aula intera è una ribalta. Si muove, imposta la voce e, spesso, non sa quello che dice ma
lo conosce a memoria. Conquista il pubblico, lo fa piangere e ridere, poi si acquieta d’improv-
viso. Si chiudono le luci…applausi
Il sergente
Adora le esercitazioni. Ancora un test, ancora una diapositiva, niente pause siamo in aula
per trasformare delle mammolette in uomini. Sei ore di lezione di filata. Vede chi soffre, chi
deve andare in bagno ma capisce che se è li è per imparare qualcosa e allora avanti.
L’istrione
“…io sono un istrione ma la genialità è nata insieme a me…” cantava Aznavour. Tutto gira
intorno a lui che è il motore immobile. Si siede in mezzo all’aula, si sporge in avanti appog-
giando i gomiti sulle ginocchia ed ogni volta che deve rispondere ad una domanda fa un sor-
risetto che dice “…ora ascolta e impara…”.
4
Guarguaglini A., Cini S., Corti F., Lambruschini L. (2007), Gestire gruppi in formazione, Erickson, Trento.
Capitolo V – Che formatore sei? I formatori
45
Il confessore
Non c’è gruppo ma tanti individui che hanno bisogno del suo ascolto. Ne prende uno in
disparte e parla con lui a bassa voce. Assolve l’ignoranza ma soprattutto aiuta con le pene
d’amore ed è impareggiabile nelle relazioni problematiche tra colleghi.
L’ipertecnologico
Entra in aula con l’ultimo modello di computer e conosce in maniera dettagliatissima
tutte le tecnologie multimediali. Trasforma l’aula nella plancia dell’Enterprise e vivrebbe feli-
cemente dentro ad una Fad. Sta in aula soltanto perché, ancora, la gente non conosce o non
si fida della rete.
Il complice
Concepisce l’aula come un luogo quasi superfluo nel quale si fa soltanto quello che vo-
gliono i discenti. Separa nettamente la committenza dall’aula e fa il tifo per quest’ultima:
sono loro che alla fine riempiranno i moduli di valutazione. Concede pause frequentissime e
allora si scatena, diventa sé stesso e tra un cafè ed una sigaretta si riappropria della sua vita.
Il professorino
Sa tutto lui. Non esistono obiezioni, non ci sono dubbi ai quali non abbia risposta.
Rispondere “…non so…” vuol dire fallire. Parla per ore tra sbadigli e occhi languidi. Severo e
vendicativo esce dall’aula solo quando è riuscito a far crollare tutti i partecipanti.
l’efficacia dell’alleato ed il primo incontro
L’efficacia del rapporto con l’aula si gioca tutta sull’alleanza che il formatore riesce ad < br />instaurare con gli allievi: in fondo è semplicemente una questione di fiducia. In effetti, in un
rapporto formativo che funziona un occhio attento può notare uno scambio di messaggi sot-
terranei, non sempre detti ma trasmessi in vari modi, tra l’aula ed il formatore. Sono spesso
messaggi psicologici che rafforzano i ruoli positivi di ciascuno, in modo tale che ognuno si
dia la possibilità (o, come direbbero gli analisti transazionali, il “permesso”) di mettere a di-
sposizione dell’altro il meglio di sé e di ricevere dall’altro quanto gli serve per la sua crescita
umana, culturale o professionale. Guardando ed ascoltando un’aula che funziona è possibile
cogliere dunque uno scambio simile al seguente:
Allievo: “Posso fidarmi di te, mi dò il permesso di ascoltarti e di mettere in discussione ciò
che so per aprirmi a nuovi stimoli”.
Formatore: “Credo che tu possa apprendere come tutti gli altri e mi dò il permesso di
riuscire a trasmetterti ciò che voglio nel modo migliore per te”.
Non a caso nello scambio i verbi sono utilizzati al singolare: l’alleanza con l’aula infatti è
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tanto più consistente quanto più è percepita dal singolo componente. Un’alleanza che non
tenga conto delle diversità degli allievi o che sacrifichi in qualche modo l’attenzione al singo-
lo per un astratto interesse dell’aula non è ancora veramente formativa.
L’alleanza formativa non si crea in un attimo: sarebbe delirante pensarlo. L’alleanza forma-
tiva è un atto costruttivo che permette di poter sperimentare partecipazione, cooperazione,
interattività, progressi nell’apprendimento, e che da tali esperienze si rafforza. All’interno
dell’alleanza formativa, il formatore può muoversi agevolmente tra i ruoli di educatore,
orientatore, facilitatore, mentore.
Il rapporto con l’aula deve anzitutto fondarsi su una pianificazione rigorosa, che prepari
attentamente l’organizzazione dell’evento formativo, evitando dilettantismi gestionali che
possano lasciare sensazioni di poca professionalità e disorganizzazione, a scapito della co-
struzione della necessaria fiducia tra formatore e aula.
Dall’altra parte, se si esclude il caso di un’aula virtuale, esso è e rimane una questione di
relazioni umane e come tale necessita di affetto e creatività. E nelle relazioni umane, soprat-
tutto in aula, il primo incontro è quello più delicato, perchè è in esso che, più o meno consa-
pevolmente, si definiscono i ruoli e le regole del gioco, stipulando il cosiddetto “contratto
formativo”. Stipulare un contratto formativo efficace implica, da parte del formatore, un
grande rispetto per le richieste dell’aula ed una chiarezza su ciò che egli stesso desidera fare
e sulla metodologia che intende utilizzare. Solo in questo modo, il contratto sarà realmente
bilaterale e potrà tenere conto dei bisogni di ciascuno e delle esigenze di programma.
Il primo impatto con il formatore è essenziale alla costruzione della sua immagine nella
rappresentazione che l’aula fa di sé. In altre parole, nei primi minuti l’aula si crea un’idea del
formatore, in sé e nel suo rapporto con essa, sulla quale elaborerà tutte le rappresentazioni
successive. Se la prima idea è quella di un formatore genitoriale e giudicante, incompetente,
noiosissimo, privo di qualsiasi forma di autorevolezza, o peggio ancora tacitamente bendi-
sposto a colludere con le tendenze “distruttive” dell’aula, sarà molto impegnativo per lui (o
lei) riuscire a riacquistare il ruolo che gli (o le) permetterà un’interazione formativa con gli al-
lievi. Viceversa, se la prima idea è quella di un formatore adulto, competente, divertente, ca-
pace di ascolto, propositivo, autorevole, affidabile, umano e attento al rispetto delle regole,
l’aula sarà disposta a mantenere questa immagine anche il giorno in cui il formatore dovesse
risultare meno brillante o autorevole. L’aula, in altre parole, già durante la presentazione si
deve rassicurare riguardo all’operatore che ha di fronte, dandogli la necessaria fiducia, senza
timore di non essere aiutati.
la comunicazione costruttiva ed efficace
La realtà percepita è una costruzione. I concetti ed i collegamenti tra loro non sono realtà
oggettive, presenti nel mondo indipendentemente dal nostro parlarne. Anzi, essi iniziano ad
“esistere” soltanto quando li rappresentiamo nella nostra mente e li comunichiamo agli altri.
La comunicazione ha il potere magico di dar vita alla realtà percepita. Il formatore che voglia
essere un efficace stimolatore di competenze, capacità e conoscenze deve fare i conti con
Capitolo V – Che formatore sei? I formatori
47
questa responsabilità creativa nella costruzione della realtà5.
Una comunicazione efficace e costruttiva è una comunicazione consapevole e variabile.
Con comunicazione consapevole intendiamo che colui che comunica (nel nostro caso,
l’operatore d’aula) conosce gli elementi base della comunicazione interpersonale e, nel tem-
po, si rende sempre più consapevole di come utilizza il proprio linguaggio, il proprio corpo e
la propria voce.
Con comunicazione variabile intendiamo che colui che comunica (nel nostro caso, l’ope-
ratore d’aula) ha diverse opzioni disponibili per comunicare e può scegliere di utilizzarle
quando lo ritiene più opportuno. Secondo Watzlawick la comunicazione ha un aspetto di contenuto ed uno di relazione6.
L’aspetto di contenuto è costituito dall’informazione che viene trasmessa, mentre l’aspet-
to di relazione è l’istruzione su come assumerla. La relazione è generalmente veicolata dal
modo con cui si comunica e quindi dal linguaggio. Vediamo un esempio. In aula, un formatore
che utilizza a lungo un linguaggio genitoriale (ricco cioè di giudizi, comandi, attribuzioni, im-
perativi) si pone in una relazione di superiorità rispetto agli allievi (up-down). La possibilità
che siano raggiunti gli obiettivi formativi viene inevitabilmente inficiata da questa relazione,
perché le istruzioni di assunzione di una qualsiasi informazione x potrebbero giungere agli
allievi con messaggi psicologici simili a questi: “Ricordare x dimostra ciò che sei”, “Sei ok solo
se conosci x”, “Non sei abbastanza intelligente per acquisire la competenza x (e quindi non
l’acquisirai mai)”, “Se non te lo dico io, tu non farai mai o non sarai mai x”, “Il metodo lo deci-
do io, perché tu non sei buono”, ecc… È chiaro che, in quest’esempio, il raggiungimento di una
competenza come imparare a lavorare insieme o a condurre progetti comuni può risultare
assai impegnativo.
L’efficacia della comunicazione è legata più alla relazione che al contenuto. Come cia-
scuno ricorda, i migliori insegnanti del nostro percorso scolastico non sono stati quelli che ci
hanno offerto le migliori informazioni contenutistiche, ma coloro che, entrando in empatia
con l’aula, ci hanno trasmesso il metodo ed il gusto di imparare, assieme alla loro umanità.
riferimenti bibliografici
Guarguaglini A., Cini S., Corti F., Lambruschini L. (2007), Gestire gruppi in formazione, Trento,
Erickson.
Scarpa L. (2005), L’ arte di essere felici e scontenti, Milano, Bruno Mondadori.
Scarpa L. (2008), Registi di se stessi. Idee per manager, insegnanti, genitori, Milano, Bruno Mondadori.
Schmidt E. (1998), Come fare formazione tecnica. Un manuale per i professional e i capi che insegnano,
Milano, Franco Angeli.
Watzlawick P., Beavin J. H. e Jackson D. D. (1971), Pragmatica delle comunicazione umana. Studio dei
modelli interattivi delle patologie e dei paradossi, Roma, Astrolabio.
5
“E il concetto di responsabilità implica l’etica, come quello di costruzione implica l’estetica”, Scarpa L. (2006),
L’arte di essere felici e scontenti, Bruno Mondadori, Milano, p. 40.
6
P. Wazlawick et al. (1971), Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, pp. 43-46.
49
CaPItolo VI
dalla costruzione del gruppo alla costruzione di scenari futuri:
il lavoro in aula
Fabio Sciarretta
Introduzione
Il volontario deve in primo luogo saper essere, ovvero riconoscere e accettare se stesso,
le proprie potenzialità così come i propri limiti, al fine di essere pronto a dare e a ricevere
attraverso un atto biunivoco fondato sul principio della corresponsabilità. Ma al contem-
po, i contesti in cui opera e le organizzazioni di cui fa parte fanno emergere nel volontario
l’esigenza di acquisire conoscenze (sapere) e abilità (saper fare) che gli garantiscano quelle
competenze (conoscenze + abilità) mediante le quali si senta partecipe, in modo congruo
ed efficace, della costruzione del mondo in cui vive. Per sentirsi all’altezza del loro compito
di costruttori di relazioni, di rispetto e di pace – sempre citando don Enzo – i volontari stu-
diano, fanno ricerche, si iscrivono a corsi di formazione oppure si riuniscono per definire un
progetto formativo idoneo a soddisfare le loro attese.
In ogni caso, l’obiettivo finale resta sempre lo stesso: incrementare le proprie competenze
(non solo relazionali) e attenuare il senso di inadeguatezza di fronte a situazioni di disagio.       
la costruzione del gruppo
Chi sono i volontari che prendono parte ad un corso di formazione? Da quali esperienze
sono accomunati? Cosa li ha spinti ad iscriversi? Queste domande, solo all’apparenza sconta-
te, sono estremamente importanti per capire la composizione dell’aula e calibrare l’interven-
to formativo sulla base delle effettive esigenze dei partecipanti (al momento della progetta-
zione non sappiamo con certezza chi ci troveremo di fronte).
In genere, l’aula risulta essere piuttosto eterogenea. Alcuni degli iscritti (non è detto che
siano la maggioranza) provengono dall’associazione che ha promosso il corso o da associa-
zioni con le quali la stessa collabora in una logica di rete (per ambito di riferimento e/o per
struttura organizzativa), altri già operano come volontari, anche se non condividono con l’as-
sociazione proponente il contesto di intervento, altri ancora si avvicinano per la prima volta
al mondo del volontariato perché interessati all’argomento trattato.
Il fatto che i partecipanti presentino un background esperienziale e motivazionale varie-
gato fa emergere la necessità di riservare il primo incontro oppure una parte di esso alla co-
noscenza reciproca al fine di favorire sin da subito delle buone dinamiche interazionali tra gli
apprendenti e garantire così il successo delle attività corsuali. Ad esempio, nei propri corsi
di formazione, L’Altra Città prevede un incontro di orientamento iniziale ed uno finale con
l’obiettivo di accompagnare gli apprendenti per tutto l’arco del processo formativo (dalla pre-
sentazione degli obiettivi e dei partecipanti alla valutazione del corso e degli apprendimenti).
50
L’orientamento iniziale ha pertanto la funzione di:
– introdurre il percorso formativo;
– costruire il gruppo di lavoro (presentare se stessi, le proprie aspettative, i propri desideri);
– definire il ruolo del volontario.
Durante questa prima fase, il formatore (od orientatore che sia) utilizza prevalentemente
attività «rompighiaccio» e di team building volte a mettere a proprio agio i partecipanti e cre-
are le premesse per un clima d’aula adatto alla condivisione. A tal proposito, la metodologia
narrativa fornisce al formatore una serie di strumenti che possono essere utilizzati per dar
voce alle esperienze dei volontari, senza creare eccessivo imbarazzo. Immaginate, per esem-
pio, come ci si debba sentire a presentarsi in due minuti davanti ad un gruppo di “sconosciuti”
nel silenzio più assoluto (ehm… mi chiamo…, vivo a …, lavoro…, sono qui perché…). Senza poi
tener conto che molte delle informazioni che avremmo voluto condividere con i presenti e
che riteniamo importanti per raccontare chi siamo, non l’abbiamo dette perché  non abbia-
mo avuto sufficiente tempo per riflettere. Per ovviare ad inconvenienti di questo genere, di
seguito vengono presentate tre proposte di attività finalizzate alla conoscenza reciproca ed
implicitamente alla esplicitazione delle aspettative attraverso la narrazione di sé:
– riviste di vario genere
(settimanali, mensili,
ecc.);
– cartoncino bristol o
foglio A3 per ciascun
partecipante;
– forbici;
– colla o scotch;
– pennarelli.
max. 2 ore
– sufficiente spazio
perché le coppie
non si disturbino
a vicenda durante
l’esercizio.
max. 40 minuti
materIalI e temPI
Il fotolinguaggio
Narratore/
Ascoltatore
attIVItà
Il formatore prepara il setting formativo, predisponendo i mate-
riali occorrenti (riviste, forbici, colla, ecc.) al centro dell’aula.
Quindi, distribuisce un cartoncino ad ogni partecipante e lo
invita a sfogliare le riviste e ritagliare le immagini, le foto, i
colori, gli oggetti, le scritte che abbiano qualcosa a che fare con
lui e ad attaccarle sul proprio cartoncino.
A turno, il formatore chiama i partecipanti a presentare il
proprio elaborato ed a commentarlo. Durante la presenta-
zione, ogni altro componente del gruppo può fare domande,
chiedere approfondimenti, esprimere le proprie curiosità,
rivolgendosi direttamente all’autore.
Una volta terminato il giro di presentazioni, il gruppo avrà ini-
ziato una prima tappa del suo percorso, nella costruzione della
propria identità, come sommatoria delle singole identità.
Una variante consiste nel predisporre uno spazio dove allestire
una piccola mostra (è possibile creare dei supporti con dello
spago per poi fissarci i fogli/cartelloni, oppure attaccarli con
dello scotch alle finestre) per dar modo agli autori di commen-
tare il proprio lavoro e di chiedere informazioni sugli elaborati
degli altri partecipanti.
Il formatore invita ciascun partecipante a formare una coppia
con il vicino e a presentarsi all’altro fornendo informazioni sui
gusti, la famiglia, il tempo libero ecc. per un tempo di cinque
minuti. Durante i cinque minuti uno ascolta e l’altro sta in
silenzio. Alla fine si invertono le parti e il narratore diventa
ascoltatore.
Alla fine dell’esercizio i partecipanti si rimettono in cerchio e si
presentano. Ciascuno si presenta come se fosse il vicino.
Al termine dell’attività, il formatore inviterà i partecipanti, con
domande stimolo, a valutare la qualità del proprio ascolto.
Oltre ad essere impiegato come attività introduttiva all’inizio
di  un percorso di formazione, questo esercizio si pone come
obiettivo principale di far riflettere i partecipanti sulle loro
abilità di ascolto.
sVolgImento
Capitolo VI – Dalla costruzione del gruppo alla costruzione di scenari futuri: il lavoro in aula
51
– pongo colorato;
– cartoncino bristol o
foglio A3 per ciascun
partecipante;
max. 1 ora
Sculture  Il formatore mette a disposizione del gruppo dei partecipanti
del pongo colorato e chiede a ciascuno di loro di creare nei
venti minuti successivi una scultura che lo rappresenti.
Prima di iniziare l’attività, il formatore spiega ai partecipanti
che non vi sono né regole né canoni e stetici da seguire per la
realizzazione del prodotto. Infatti, al prodotto non viene chie-
sto di essere bello quanto piuttosto di essere vero.
Al termine del tempo previsto, ciascuno condivide il significa-
to del suo manufatto col resto del gruppo.
materIalI e temPI
attIVItà sVolgImento
La scrittura creativa può rappresentare un’eccellente alternativa alla narrazione orale e
artistica (il riferimento è alle attività appena presentati).
«Carte da gioco» è un esercizio che richiede ai partecipanti di associarsi in piccoli gruppi
al fine di scrivere un racconto. Ecco le istruzioni:
Dopo aver preparato le carte, queste vengono consegnate ad ogni parteci-
pante od a gruppi di partecipanti.
Su ciascuna carta sono riportati: un incipit, ovvero la cornice situazionale
entro la quale sviluppare un breve racconto e quattro parole da impiegare 
obbligatoriamente nella costruzione dello stesso.
Una volta ultimati, i racconti verranno letti in plenaria dai partecipanti.
È chiaro che l’obiettivo di questo esercizio non sia tanto quello di scrivere una storia di
ottima fattura (se riusciamo a farlo, tanto meglio) quanto piuttosto di approfondire ulte-
riormente la conoscenza reciproca durante un’attività che per quanto ludica possa apparire
richiede ai partecipanti di organizzarsi, di attribuirsi e riconoscere qualità agli altri membri del
gruppo (continua tu che mi sembri creativo), di mediare (guarda io scriverei così, però se tu …)
ed infine di portare a termine un compito in seno al gruppo.  
Al contrario, «Dopo pochi mesi – Il gioco dell’incipit» è un’attività che intende far visua-
lizzare ai partecipanti un obiettivo personale e far prendere loro consapevolezza del sen-
so dell’intervento formativo, nonché porre l’accento sulla capacità di immaginarsi il futuro.
All’occorrenza, questa attività può essere svolta anche in gruppo (quali obiettivi e scenari
comuni?). Di seguito, viene riportata un estratto della scheda.
Dopo aver scelto se narrare una storia verosimile o inverosimile, continua il racconto iniziato.
n Racconto realistico
n Racconto fantastico o fiabesco
Il primo giorno che sono entrato in aula per il …………………….……………………., mi sembra, il …………………….…………………..
Quello che davvero non avrei immaginato, con tutti i pensieri che mi giravano per la testa, era che poi, dopo
pochi mesi…
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..…
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..…
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..…
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..…
52
È possibile che gli strumenti presentati non incontrino il favore di alcuni tra partecipanti,
in particolare di quelle persone che sono poche disposte a mettersi in gioco e che considera-
no tali attività una perdita di tempo. In questo caso, sarà compito del formatore stesso spie-
gare le proprie scelte metodologie e rassicurare gli apprendenti circa le loro aspettative.    
Al termine del primo incontro, i volontari si saranno conosciuti, avranno verificato se
l’impianto corsuale (argomenti, obiettivi e strumenti) corrisponde a quanto letto in fase di
pubblicizzazione del corso e sono pertanto pronti ad investire le proprie risorse personali.
Il gruppo è finalmente costruito.
un approccio partecipato alla formazione
La parola formazione porta alla mente l’immagine ricorrente di un’aula, di un gruppo di
apprendenti e di un insegnante. Questa immagine peraltro corrisponde in larga misura all’im-
postazione didattica adottata in ogni scuola di qualsiasi ordine e grado.
Tuttavia, se nel corso degli anni nella scuola si è continuato ad utilizzare prevalentemente
una didattica di tipo nozionistico, fondata sulla centralità dell’insegnante e su un atteggia-
mento passivo degli apprendenti (la tradizionale lezione frontale), la formazione ha conosciu-
to una particolare evoluzione dovuta principalmente all’introduzione della storia personale
dell’apprendente (personale, formativa e professionale) nel contesto formativo. In quest’ot-
tica, i partecipanti contribuiscono con le proprie esperienze e conoscenze allo sviluppo della
lezione (centralità del discente) e lo fanno in un modo che percepiscono come significativo
(apprendo sulla base dei materiali di cui sono in possesso) e motivante (so perché appren-
do). La maggiore propositività dei partecipanti comporta la specializzazione della figura del
docente che abbandona il ruolo del cattedratico per diventare il manager del processo di
apprendimento (altrui e personale).
Il docente o formatore pertanto ha la responsabilità di preparare un ambiente di appren-
dimento nel quale le dimensioni del sapere essere, sapere e saper fare degli apprendenti
siano interrelate e producano, al tempo stesso, senso rispetto all’intervento formativo (con-
divisone e ri-negoziazione dei significati in seno al gruppo di lavoro) ed un sostanziale incre-
mento in termini di empowerment individuale (acquisizione di maggior autonomia rispetto
alle decisioni riguardanti la propria vita).
Per fare ciò, il docente ricorre ad un repertorio di strumenti che rientrano nell’ambito del-
le metodologie attive. A seconda dell’attivazione da parte dei partecipanti le metodologie
attive possono essere distinte in metodologie animative e “attive vere e proprie o del tipo
di ricerca” (Bruscaglioni, 1997). Al primo gruppo appartengono quegli strumenti che vanno
dall’attivazione di domande dibattito sulla relazione del docente alle discussioni in sotto-
gruppi sui temi proposti dalla relazione, fino alle esercitazioni (del tipo tecnico applicativo
oppure giochi e simulazioni) e la discussioni di casi pre-studiati; nel secondo gruppo ritro-
viamo quelle metodologie basate sull’esperienza dei partecipanti, quali per esempio l’analisi
degli autocasi, l’analisi dell’esperienza su griglie predisposte dal docente, role playing, lo psi-
codramma, le simulazioni.
Capitolo VI – Dalla costruzione del gruppo alla costruzione di scenari futuri: il lavoro in aula
53
In questo modo, l’apprendente diventa co-autore del proprio processo formativo (inclusa
la fase di valutazione) ed acquisisce una certa autonomia nella futura progettazione del pro-
prio apprendimento (individuale e collettivo).
Un ambiente di apprendimento così definito trova riscontro nella lezione partecipata,
come si evince dalla lettura delle seguenti caratteristiche:
– favorisce l’utilizzo di diversi metodi e mediatori per apprendere;
– cerca di coinvolgere e valorizzare i punti di forza, le esperienze e le conoscenze dei di-
scenti;
– favorisce la comunicazione interattiva tra tutti i membri del gruppo, non rivolta verso
un arbitrario centro (l’insegnante, il formatore) quanto piuttosto impostata secondo un
modello a rete;
– si struttura secondo un modello più vicino alla ricerca-azione che alla lezione frontale, pre-
vede la scoperta accanto alla trasmissione di alcuni dati e informazioni, nozioni e concetti;
– valorizza, incoraggia e gratifica la partecipazione attiva;
– permette di esprimersi senza la costante incombenza della «spada di Damocle» costituita
dalla dimensione valutativa;
– incoraggia la propositiva e l’assunzione di un livello metapprenditivo: sono apprezzati e
valorizzati eventuali suggerimenti dei discenti anche in ordine alla strutturazione della
didattica stessa;
– il docente dedica tempo all’ascolto attivo;
– viene progettata secondo un modello flessibile nel quale vi sia spazio anche per la scelta
di alternative possibili da proporre agli apprendenti;
– stimola l’interesse dei singoli attraverso domande aperte e  richiesta di elaborazione col-
lettiva di un argomento (in assemblea, a piccoli gruppi, a coppie);
– favorisce l’autoconsapevolezza individuale nei discenti, quella del gruppo (o comunità) e
facilita una disposizione metacognitiva;
– il docente attua, insieme all’intero gruppo, il monitoraggio dell’apprendimento e dei pro-
cesi cognitivi messi in campo;
– il docente si mette in gioco, favorisce il confronto positivo e la positiva interdipendenza
all’interno della «comunità di apprendimento» (Batini, Fontana 2003).
Risulta ancor più evidente che un’impostazione metodologica di questo tipo, atta a fa-
vorire lo scambio reale di esperienze e conoscenze fra i discenti (di nuovo i metodi autobio-
grafici e narrativi), rappresenti l’unico strumento (o uno dei pochi) in grado di consentire ai
volontari di aggiornare il senso della loro missione ed interpretare i fenomeni prodotti dalla
società postmoderna per agire di conseguenza.
Costruire scenari futuri
Come accade all’inizio, anche nella parte finale del corso è previsto un momento di condi-
visione teso questa volta a riflettere sull’esperienza formativa realizzata. Per solito, l’orienta-
54
mento finale ha lo scopo di valutare il percorso effettuato (qualità dei docenti e dei materiali,
efficacia delle metodologie utilizzate, organizzazione dei tempi e degli spazi, ecc.) e di lavo-
rare sulla percezione delle competenze acquisite. Anche in questa occasione, l’orientatore
o formatore può affiancare a strumenti quali schede di valutazione e debriefing in plenaria,
attività più narrative incentrate sul riconoscimento del proprio e dell’altrui apprendimento
(sapere, saper essere e saper fare). Ad esempio, un’attività come la seguente, mira a far emer-
gere non solo atteggiamenti e attitudini legati alla capacità di lavorare in gruppo, ma anche a
capacità diagnostiche, relazionali, organizzative, ecc.:
in una prima fase, i partecipanti sono invitati ad individuare ed an-
notare i propri punti di forza (risorse) e punti di debolezza (limiti),
attraverso un’analisi retrospettiva delle proprie esperienze corsua-
li. Nella seconda fase, viene chiesto loro di condividere in plenaria
quanto emerso nella fase precedente e di verificare la loro persona-
le percezione con quella degli altri componenti del gruppo al fine di
prendere coscienza di potenziali risorse e limiti tralasciati.
Al termine del corso, i volontari avranno visto aumentare il loro patrimonio cognitivo,
affettivo, e soprattutto sociale. Infatti, le ore passate insieme hanno dato loro l’opportunità
di conoscere se stessi ed i propri ambiti professionali e di volontariato, di confrontarsi, di
instaurare relazioni e di condividere scenari futuri. In altri termini, i volontari escono dall’aula
potenziati (they got empowered).
Ma perché questo potenziamento possa incidere concretamente sulla comunità è neces-
sario che si passi dalla formazione all’azione e che competenze acquisite e legami stretti, una
volta trasferiti alle proprie organizzazioni di volontariato, contribuiscano alla realizzazione
– mediante la definizione di progetti – degli scenari precedentemente immaginati, come sug-
gerisce don Enzo Capitani:
[…] il volontariato deve pensare la propria azione, riflettendo sulla
propria esperienza e mettendolo a confronto con esperienze altrui.
Per questo dovrebbe investire in ricerca e sviluppo – ovvero nella
comprensione dei fenomeni sociali e nello studio creativo di idee e
soluzioni – per affrontare il presente con grande fiducia nel futuro
e soprattutto con la consapevolezza del valore delle relazioni e dei
legami (Caldelli, Gentili, Giusti, 2005).
esempio di percorso formativo: “on the road”
Finalità e obiettivi
Il corso “On the road” è stato presentato dall’associazione Le Querce di Mamre (socio de
L’Altra Città) e finanziato dal Cesvot attraverso il Bando Formazione 2007. Il progetto aveva
l’obiettivo di formare volontari capaci di leggere i fenomeni della povertà – intesa come
fenomeno che attiene al grado di sviluppo delle capacità individuali (incapacità di scindere
la nozione di necessario da quella di eccedente), ma anche ad una dimensione comunitaria
Capitolo VI – Dalla costruzione del gruppo alla costruzione di scenari futuri: il lavoro in aula
55
rappresentata dalla carenza di reti di supporto e legami di fiducia – attraverso l’analisi della
struttura della città, dei sistemi di convivenza, percorrendo le strade fisiche e metaforiche
dei quartieri urbani. In questo modo si intendeva offrire alle organizzazioni di volontariato
persone capaci di interpretare la città e intervenire, proporre progetti e azioni di animazione
socio-culturale. L’approccio scelto è stato quello dell’empowerment individuale e di comu-
nità. A partire dallo sviluppo di capacità narrative e di scrittura, il racconto della città è uno
strumento di cambiamento che, nel tempo, genera una nuova identità di sé (come volontari)
e della comunità.
Partecipanti
Al percorso formativo hanno preso parte 18 persone, a maggioranza provenienti dal mon-
do del volontariato ed in particolare da organizzazioni che operano sul territorio locale e
provinciale mediante azioni di contrasto alla povertà (Caritas parrocchiali e diocesana, Ceis,
San Vincenzo de’ Paoli, oltre all’associazione proponente).
Articolazione del corso (argomenti, obiettivi e strumenti adottati)
– introdurre il percorso formativo
– costruire il gruppo di lavoro (presentazione
dei partecipanti e rilevazione delle loro
aspettative)
– definire il ruolo dei volontari
– condividere il senso del lavoro dei volontari
– favorire una riflessione sulle diverse “viste”
sulla città (reale, nascosta e virtuale)
– presentare le varie dimensioni della povertà
(oggettiva, soggettiva, comunitaria)
– visitare i centri di assistenza e raccogliere
informazioni su servizi in essere, modalità
di lavoro e utenza
– condividere il senso del lavoro nei contesti
di marginalità estrema, confrontandosi
con gli operatori del sociale
– imparare a leggere una storia (saper decodificare
ed interpretare le informazioni)
– lavorare sugli aspetti emotivi che la riflessione
sui luoghi determina nei volontari
(saper riconoscere le proprie emozioni,
i propri limiti e individuare soluzioni creative
di fronte a situazioni di disagio
– ridefinire il concetto di ascolto (saper
comprendere il messaggio nella sua globalità)
– verificare la percezione che le persone hanno
della povertà in virtù del fatto che si è soliti
pensare che tale percezione sia soprattutto
influenzata dai racconti dei media .
Orientamento
iniziale
La città:
i suoi percorsi,
i suoi significati
Passeggiata
psicogeografica:
lungo le mura
del centro storico,
intorno ai centri
di assistenza
Passeggiata
di quartiere:
dal centro
alla periferia
Passeggiata
di quartiere:
dalla periferia
al centro
– brainstorming
– narrazione di sé
– fotolinguaggio
– brainstorming
– narrazione di sé
– lavoro di gruppo
– lezione seminariale
– dispense e materiali audiovisivi
– passeggiata di quartiere
– lezione seminariale
– passeggiata psicogeografica
– scrittura creativa
– lavoro di gruppo
– narrazione di sé
– esercitazioni su ascolto attivo e
ascolto produttivo
– role-playing
– passeggiata di quartiere
– ricerca sul campo (interviste
strutturate, lettura e analisi
dei dati, redazione di un report)
obIettIVI
argomento strumentI
56
– presentare uno strumento per la rilevazione
delle risorse relazionali e culturali, dei bisogni,
dei principali problemi e della rete sociale
di una determinata comunità
– tracciare il profilo della comunità e i punti
della mappa
– scegliere cosa rappresentare, cosa deve essere
disegnato, comunicato e trasferito
– lavorare sulle capacità di decentramento e
di lettura del proprio vissuto quotidiano;
– incrementare le competenze di lettura di
situazioni comunicative;
– raccontare luoghi, eventi, persone.
– valutare il percorso effettuato e i risultati
raggiunti da parte dei partecipanti;
– auto e mutuo riconoscimento delle competenze
acquisite nel corso degli incontri.
Le mappe
di comunità
Scrivere e
raccontare
se stessi
Orientamento
finale
– lavoro di gruppo
– esercitazioni
– analisi di casi
– lezione frontale
– dispense
– scrittura creativa
– narrazione di sé
– esercitazioni
– narrazione di sé
– analisi dell’esperienza
supportata da griglie
obIettIVI
argomento strumentI
Possibili azioni da realizzare nel concreto a conclusione del percorso formativo:
– creazione di una rete di piccoli centri di accoglienza per persone senza dimora (fissa e
temporanea) sul territorio della provincia di Grosseto.
– Gestione di una boutique di indumenti usati per facilitare il reinserimento di soggetti
svantaggiati nel mondo del lavoro.
– Elaborazione di un progetto di ricerca-azione sulla povertà.
riferimenti bibliografici
Batini F., Del Sarto G. (2005), Narrazioni di narrazioni. Orientamento narrativo e progetto di vita,
Trento, Erickson.
Batini F., Capecchi G. (a cura di, 2005), Strumenti di partecipazione: metodi, giochi e attività per l’em-
powerment individuale e lo sviluppo locale, Trento, Erickson.
Batini F., Fontana A. (2003), Comunità di apprendimento: un altro modo di imparare, Arezzo, Zona.
Bertola R., Linati E. (s.d.), Voler cambiare, poter cambiare. Come tradurre le idee in progetti. Strumenti
e metodi per il volontariato, Lecco, Centro di Servizio  Solidarietà Lecco Volontariato.
Bruscaglioni M. (1997), La gestione dei processi nella formazione degli adulti, Milano, Franco Angeli.
Caldelli A., Gentili F., Giusti S. (2005), Oggi vado volontario. Il volontariato come strumento di empo-
werment individuale e sociale, Trento, Erickson.
Guarguaglini A., Cini S., Corti P. F., Lambruschini L. (a cura di, 2007), Gestire gruppi in formazione.
Teorie e strumenti, Trento, Erickson.
Ranci C., Ascoli U. (a cura di, 1997), La solidarietà organizzata. Il volontariato italiano oggi, Roma,
Fondazione Italiana per il Volontariato.
Capitolo VI – Dalla costruzione del gruppo alla costruzione di scenari futuri: il lavoro in aula
57
sCheda – Carte da gioco
Mi trovai all’improvviso in una
stanza buia…
Specialità
Terra
Responsabilità
Paura
Pensai a come mi sarei sentito io
se un estraneo mi avesse…
Notte
Futuro
Iena
Masticare
Stappai la bottiglia del vino
facendo molta attenzione…
Rifiuto
Cappello
Donna
Maschera
Ero di fronte alla stazione…
Salame
Miscela
Futuro
Scelta
Finalmente avevo raggiunto
il mio obiettivo, dopo tanti anni
di sacrifici…
Noia
Progetto
Sentimento
Gigante
Già mi aspettavano da un’ora…
Sogno
Tempo
Futuro
Ananas
Erano molti anni che non mi
divertivo così tanto,infatti…
Passato
Importanza
Sedia
Avocado
Stavo per raggiungere
finalmente il mio scopo…
Obiettivo
Giostra
Calcio
Silenzio
Credevo di aver cercato
dappertutto quando…
Abilità
Spinaci
Progetto
Chiavi
In giro non c’erano altro
che rifiuti…
Punizione
Sogno
Giaguaro
Motorino
Nessuno era convinto che
ce la facessi ed invece dovettero…
Polvere
Bisturi
Progetto
Susine
Quando la vidi non credevo
ai miei occhi…
Sogno
Oste
Tessera
Ambiente
Nessuno aveva toccato nulla,
controllai due volte
per essere sicuro…
Rabbia
Cocomero
Elettricista
Sensazione
Non avevo mai visto nulla
di quelle dimensioni…
Proposito
Minaccia
Progetto
Albicocca
Stavo cucinando tranquillamente…
Prezzemolo
Allegria
Futuro
Conchiglia
Le carte dicevano che avrei
avuto qualche problema
nei giorni seguenti…
Negare
Carote
Appartenenza
Idea
Ormai da una settimana aspettavo
che arrivasse quel pacco,
suonarono alla porta…
Panico
Mensa
Ghiro
Progetto
Mi trovavo in quel paese di cui
non conoscevo affatto la lingua…
Comando
Morti
Cavolfiore
Montagne
59
CaPItolo VII
le competenze dei volontari: la consulenza di orientamento
Francesca Maiorino
Il concetto di competenza
In generale il termine competenza indica la capacità degli individui di combinare, in modo
autonomo, tacitamente o esplicitamente e in un contesto particolare, i diversi elementi delle
conoscenze e delle abilità che possiedono. D’altra parte una definizione precisa del concetto di
competenza è assai ardua da stabilire, in quanto questa nozione presenta molte sfaccettature, ed
il termine racchiude diversi significati, secondo il contesto e la cultura in cui viene utilizzata.
Non è possibile essere esaustivi rispetto alle diverse definizioni di questo termine (una
ricerca del 2005 ne ha evidenziate almeno una trentina) ma nella maggior parte dei casi è
data grande importanza alla contestualizzazione, ovvero al fatto che una competenza è tale
se attivata in un contesto specifico.
In sintesi potremmo quindi affermare che una persona è in possesso di una competenza
quando dimostra di avere le capacità, abilità e conoscenze che gli permettono di svolgere
una determinata attività, sapendosi districare in quella determinata situazione, attivando e
mobilizzando le proprie risorse.
Categorie di competenze
Nei diversi contesti esistono numerose modalità di classificare le competenze o le risorse
che rendono possibile l’attivazione delle competenze stesse; la classificazione attualmente
piu’ utilizzata in ambito formativo e di orientamento è quella proposta dall’Isfol che racchiu-
de le varie tipologie di competenze in tre macrocategorie:
– le competenz e di base, cioè l’insieme delle conoscenze e delle capacità che costituiscono
sia la base minima per l’accesso al lavoro, sia il requisito per l’accesso a qualsiasi percorso
di formazione ulteriore;
– le competenze tecnico-professionali, che sono costituite dai saperi e dalle tecniche con-
nessi all’esercizio delle attività operative richiesti da funzioni e processi di lavoro (cono-
scenze specifiche o procedurali di un determinato settore lavorativo).
– le  competenze trasversali,  che comprendono l’abilità di diagnosi, di relazione, di problem
solving, di decisione, ecc. e in generale, quelle caratteristiche personali che entrano in
gioco quando un soggetto si attiva a fronte di una richiesta dell’ambiente organizzativo e
che sono ormai ritenute essenziali al fine di produrre la trasformazione di un sapere pro-
fessionale in un comportamento lavorativo efficace.
riconoscersi le competenze acquisite durante le attività di volontariato
Le organizzazioni di volontariato e le associazioni del Terzo Settore al cui interno opera
60
sia personale volontario che retribuito rappresentano uno spazio e un luogo dove il volon-
tario, attraverso le attività svolte verso i destinatari degli interventi e le relazioni di scambio
e collaborazione intrattenute con gli altri operatori, acquisisce nel suo percorso una serie di
competenze sia relative alla particolare attività svolta (competenze tecnico-specifiche), sia e
forse soprattutto, in quanto “produttore di servizi ad alta intensità relazionale” (Donati, 1993) 
di sviluppare ed incrementare competenze trasversali di tipo relazionale e comunicativo:
attitudine al lavoro di gruppo, capacità di problem solving, capacità di ascolto attivo e di
comunicazione empatica, flessibilità e spirito di iniziativa.
Inoltre la persona impegnata in un’attività di volontariato mette al servizio della collet-
tività tutta una serie di nozioni ed esperienze che fanno parte del suo bagaglio formativo
e professionale pregresso, che ha modo di sperimentare, incrementare ed affinare durante
l’esperienza del volontariato.
In definitiva il volontario è depositario di un ventaglio di competenze riconosciute e po-
tenziali il cui riconoscimento e presa di coscienza potrebbe servire allo stesso per avviare una
riflessione sulla loro spendibilità in altri contesti ed aumentare le possibilità di inserimento
professionale, sia nel caso in cui la persona si trovi in una situazione di instabilità (giovani,
soggetti svantaggiati, disoccupati di lungo periodo) ma piu’ in generale possiamo affermare
che la piena consapevolezza del proprio potenziale rapprsenta una tappa imprescindibile per
tutti coloro che desiderano attivare un processo di cambiamento.
L’organizzazione di volontariato può divenire un luogo privilegiato per lo sviluppo di un
processo di empowerment della persona, fornendo alle stesse strumenti per ottenere un con-
trollo sulla loro vita, che favoriscano l’attivazione di processi di consapevolezza, riconosci-
mento ed analisi delle proprie risorse, motivazioni, valori, al fine di prenderne pieno possesso
e favorire uno sviluppo del proprio sé in senso progettuale.
A tal proposito negli ultimi anni in Italia alcune organizzazioni di volontariato ed associazioni
del terzo settore hanno offerto ai volontari l’opportunità di usufruire all’interno della propria
struttura di un set di servizi di orientamento condotti da uno o piu’ esperti del settore: consulen-
za specialistica, moduli formativi su tecniche di ricerca attiva del lavoro, bilanci di competenze.
In particolare quest’ultimo strumento permette al volontario di:
– fare il punto sulle competenze acquisite nel proprio percorso formativo, professionale e
personale
– acquisire consapevolezza del proprio potenziale professionale e personale
– individuare alcune competenze  che potrebbero risultare particolarmente utili nella ricer-
ca di un lavoro
– acquisire una maggiore chiarezza del proprio vissuto professionale attraverso l’analisi di
valori e motivazioni
– elaborare un progetto professionale e un piano di azione.
Nei prossimi due paragrafi descriveremo brevemente lo strumento in questione ed illu-
stremero come può essere strutturato un percorso di bilancio di competenze all’interno di
un’organizzazione di volontariato.
Capitolo VII – Le competenze dei volontari: la consulenza di orientamento
61
Il bilancio di competenze
Il bilancio di competenze è una tecnica strutturata di orientamento che permette all’uten-
te di effettuare scelte e programmare cambiamenti rispetto alla propria vita professionale.
Si svolge con un consulente esperto che supporta la persona nell’effettuare un’analisi delle
competenze maturate, a prendere consapevolezza delle competenze potenziali (ad esempio
quelle acquisite al di fuori dell’ambito scolastico e professionale) ad individuare i propri punti
di forza e le aree di miglioramento, a valutare in modo preciso la propria situazione attuale
rispetto a progetti ed aspirazioni future, ad acquisire autonome capacità di autovalutazione,
di attivazione e di scelta, ad elaborare uno o piu’  obiettivi professionali chiari e realistici su
cui costruire un progetto di sviluppo professionale ed un piano di azione.
Il bilancio di competenze è uno strumento che può essere attivato e modellato rispetto
a target diversificati che comprendono sia tutti coloro che non hanno maturato un obiettivo
professionale definito, sia  chi ha bisogno di verificare ed analizzare una scelta già effettuata
e sente il bisogno di ampliare il proporio ventaglio di possibilità.
Il bilancio può essere svolto sia in modalità individuale che di gruppo condotti da un con-
sulente esperto che durante gli incontri assume un ruolo fondamentalmente di supporto in
quanto il percorso vede necessariamente il soggetto come protagonista delle proprie scelte
e del proprio progetto di vita. Il consulente utilizza un set di tecniche per supportare il clien-
te nel raggiungimento dell’obiettivo concordato: colloquio individuale o di gruppo, schede
di autovalutazione, strumenti narrativi (diari di bordo, record cronologici, learning narrative),
mappe cognitive.
Il bilancio di competenze si articola in tre fasi:
I FASE: ACCOGLIENZA
In questa fase il consulente effettua un’analisi della domanda della persona che richiede il
servizio e fornisce chiare ed esaustive informazioni sul percorso: finalità del bilancio, modali-
tà, metodo, tempi, ruolo del consulente.
II FASE: LA DINAMICA DI BILANCIO
È la fase vera e propria nella quale si sviluppano azioni specifiche volte alla costruzione di
un progetto di inserimento professionale e se ne analizza la fattibilità.
III FASE: RESTITUZIONE E ACCOMPAGNAMENTO
In questa fase si procede ad una operazionalizzazione del proprio progetto mettendone a
punto le modalità di realizzazione attraverso la costruzione di un piano di azione che definisce
modalità, tempi e strategie operative per l’avvio e l’implementazione del progetto stesso.
Durante la fase di accompagnamento il consulente offre inoltre il cliente un supporto
durante lo sviluppo del progetto e ne verifica periodicamente con questo lo stato e la qualità
dell’avanzamento, in modo da poterlo eventualmente rielaborare e ridefinire congiuntamen-
te nel caso emergano ostacoli ed elementi problematici.
62
un percorso di bilancio
Il percorso di bilancio che vi illustriamo in questo paragrafo è stato svolto presso l’asso-
ciazione “L’Altra Città” di Grosseto nei mesi primaverili del 2008.
Attualmente è in corso la terza fase di monitoraggio e accompagnamento al progetto.
Gli incontri relativi alle prime due fasi sono stati svolti a cadenza settimanale, ogni mer-
coledì dalle ore 16 alle 17,30, mentre per la fase di accompagnamento sono previsti degli
incontri di un’ora a cadenza mensile.
Partecipanti: tre donne straniere residenti in Grosseto
Consulente di bilancio: Francesca Maiorino
Modalità: Piccolo gruppo omogeneo
I FASE: ACCOGLIENZA
I incontro: Presentazione partecipanti e consulente, analisi della domanda di intervento
II incontro: Condivisione degli obiettivi del percorso, definizione della scansione temporale.
Strumenti: Colloquio di gruppo
II FASE: LA DINAMICA DI BILANCIO
AREA DEL SÉ
III incontro: Ricostruzione delle esperienze formative e professionali
IV incontro: Traduzione delle esperienze in competenze di base, tecnico professionali e tra-
sversali
V incontro: Interessi e valori
VI incontro: Motivazioni
VII incontro: Punti forti e  aree di miglioramento
VIII incontro: Modalità di fronteggiamento e stile di attribuzione
Strumenti: Record cronologici, mappe cognitive, learning narrative, brainstorming, fotolin-
guaggio, schede di autovalutazione.
AREA DEL LAVORO
XI incontro: Analisi delle rappresentazioni e dei vissuti rispetto al mondo del lavoro (punti di
forza, incertezze, strategie di fronteggiamento)
X incontro: Negoziazione tra piano ideale, obiettivo minimo e piano reale
Strumenti: Colloquio di gruppo, mappe cognitive, learning narrative, brainstorming, fotolin-
guaggio, schede di autovalutazione.
AREA DEL PROGETTO
XI incontro: Definizione di un’ipotesi di progetto di sviluppo, analisi di fattibilità e di con-
gruenza sul piano personale e di contesto
Capitolo VII – Le competenze dei volontari: la consulenza di orientamento
63
XII incontro: Esplorazione area degli ostacoli, dei dubbi, delle incertezze e supporto nell’im-
plementazione di strategie di coping
Strumenti: Colloqui di gruppo,  mappe cognitive, learning narrative, schede di autovaluta-
zione.
III FASE: RESTITUZIONE E ACCOMPAGNAMENTO
XIII incontro: Operazionalizzazione del progetto: costruzione di un piano di azione
Strumenti: Colloquio di gruppo, schede strutturate per inserimento piano di azione.
riferimenti bibliografici e sitografici
Batini F., a cura di (2005), Manuale per orientatori, Trento, Erickson.
Di Fabio A. (2002), Bilancio di competenze e orientamento formativo, Il contributo psicologico, Firenze,
O.S.
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Pombeni M. L. (1990), Orientamento scolastico e professionale, Bologna, Il Mulino.
Pombeni M. L. (1996), Il colloquio di orientamento, Roma, Nis.
Rossi C. (2006), Outplacement, Milano, Franco Angeli.
www.bilanciodicompetenze.it
www.fivol.it
www.isfol.it
www.orientaonline.it
www.psycojob.it
64
sCheda: definizione dell’obiettivo professionale
Sarei davvero felice se
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Potrei avere successo se
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La mia vita sarebbe perfetta se
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La cosa che mi preoccupa di più è
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……………. ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………….
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Ho paura di
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Se commetto un errore mi succede che
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Non riesco a passare sopra al fatto che
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Mi sento a mio agio quando
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Le cose che mi riescono meglio sono
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Le cose che mi danno maggior soddisfazione sono
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Capitolo VII – Le competenze dei volontari: la consulenza di orientamento
65
sCheda: Valori professionali
Assegna una posizione ad ognuno di questi valori, il 1 sarà quello più importante per iden-
tificare le tue attività lavorative e così via… Nella seconda colonna inserirai dopo aver com-
pletato la classifica dei valori una valutazione (moltissimo, molto, abbastanza, poco, pochissi-
mo, affatto) con la quale attribuirai, indipendentemente dalla posizione, quanto la possibilità
di soddisfare quel valore nel tuo lavoro è importante per te. Nell’ultima colonna vi sono i
commenti, sarebbe infatti importante riuscire ad annotare anche le tue impressioni o i colle-
gamenti che ti vengono in mente dopo aver completato la scheda.
Nella colonna dei commenti puoi anche inserire il significato personale che attribuisci a
quel valore.
ValorI PosIzIone ValutazIone CommentI
Cura ed aiuto delle persone
Contribuire al progresso ed
al miglioramento della società
Possibilità di migliorare il luogo,
il paese, la città nella quale vivo
Vicinanza del lavoro a casa
Identificazione con l’azienda
Relazioni significative
ed amicizie
Confort dell’ambiente e
bellezza dello stesso
Indipendenza nella decisione
di ritmi e tempi
Controllo autonomo di ciò che
faccio e di come debbo farlo
Presenza di rischio e
di “avventura”
Possibilità di accesso a posizioni
di responsabilità
Possibilità di competere e
confrontarmi con gli altri
Possibilità di accesso a posizioni
di potere
Possibilità di esercitare
un’influenza sugli altri,
di persuaderli a fare e o pensare
Possibilità di essere esposto
all’attenzione degli altri
Possibilità di accesso a
remunerazione crescente
Possibilità di essere
considerato e stimato
una persona importante
Possibilità di eccellere,
di porsi obiettivi ambiziosi
66
Lavoro di gruppo
Richiesta di competenza
ed efficacia elevata
Richiesta di intelligenza
e cultura
Richiesta di conoscenze e
competenze in continuo
aggiornamento
Possibilità di esercizio
della creatività
Possibilità di avere contatto
con l’utenza
Possibilità di seguire i miei
principi etici, morali o religiosi
Possibilità di essere noto
per molte persone
Possibilità di faticare,
di utilizzare il corpo
Possibilità di occuparsi di cose
divertenti ed allegre
Possibilità di esercitare
il lavoro in solitudine
Possibilità di avere obiettivi
chiari e precisi
Possibilità di esercitare il lavoro
in un posto ordinato e pulito
Richiesta di precisione e
cura dei dettagli
Richiesta di essere posto
di fronte a sfide e risoluzione
di problemi complessi
Possibilità di avere certezza
del mantenimento del lavoro e
della retribuzione
Possibilità di ricevere sostegno
ed aiuto da responsabili e
collaboratori
Possibilità di avere molto tempo
a disposizione per
poter fare altro
Non avere stress e pressioni
eccessive
Non essere sottoposto a
continue modificazioni delle
cose da fare e di come farle
Possibilità di cambiare spesso
luoghi, attività, persone
con le quali collaboro
Ritmo di lavoro veloce
Ritmo di lavoro lento
ValorI PosIzIone ValutazIone CommentI
67
CaPItolo VIII
ambienti di apprendimento: la formazione a distanza
Fabio Corti
Internet ha rivoluzionato la nostra vita e le nostre abitudini. Oggi giorno parole come
blog, chat, forum, podcast, mp3, youtube, ecc. sono sulla bocca anche dei più piccoli. È diffusa
l’opinione che in rete si possa trovare qualsiasi informazione e/o conoscenza. Ciò nonostan-
te, quest’enorme ricchezza culturale è spesso poco gestita o veicolata.
L’ingresso di questi nuovi strumenti ha creato la società della rete. Il concetto di rete non
si scontra con quello di informazione, ma lo arricchisce coniugandosi meglio con l’idea di
conoscenza articolata e connessa ad un gioco dinamico, in cui partecipano tutte le persone
che volontariamente accedono al web.
Si parla quindi di un’intelligenza collettiva, che è distribuita, o per meglio dire disponibile,
online per tutti i navigatori che ne vogliano far uso.
Queste stesse caratteristiche portano cambiamenti significativi in ogni ambito compreso
quello formativo.
e-learning
Il termine e-learning è oggi molto di moda; con quest’espressione ci si riferisce a tutte le
metodologie e tecnologie che consentono di realizzare ed effettuare percorsi di formazione
a distanza attraverso l’utilizzo della rete.
Non esiste uno standard specifico che identifica la struttura tipo di un ambiente e-learing.
Alcuni studiosi hanno provato a classificare varie tipologie di formazione a distanza utilizzan-
do le espressioni riportate nella tabella che segue.
Si possono distinguere diverse tipologie di e-learning, o di fare e-learning, grazie al contri-
buto di Mason (1998, 2002).
Si contraddistingue per la netta suddivisione tra contenuto e supporto online. È basata
sull’erogazione di contenuti attraverso documenti cartacei e/o online e sulla consultazione
minimale di un tutor via email o attraverso strumenti di comunicazio ne asincrona.
Si caratterizza per un contenuto meno strutturato che può essere modificato dalle attività
online che lasciano spazio e libertà allo studente. Il tutor in questo caso è un facilitatore
che può intervenire sia individualmente con ogni studente, sia con il gruppo-classe.
È centrato sulle attività collaborative di piccoli sotto-gruppi classi. Il contenuto di questa
tipologia di corsi nasce dall’interazione e dalla negoziazione tra i partecipanti e il tutor: qui
il tutor (o il docente) è un moderatore che anima, sollecita e guida l’aula virtuale.
Questa tipologia di e-learning è utilizzata soprattutto nella formazione aziendale, si basa
essenzialmente sulla erogazione di contenuti ignorando qualsiasi forma di relazione con
tutor o docente.
Content
and support
Wrap around
Integrated model
Web-based
training
68
Un’ulteriore distinzione è stata elaborata da Bellier (2001).
Si contraddistingue per il lavoro collaborativo, la ricerca di risorse e informazioni online,
il dialogo peer-to-peer (tra pari), la continua interazione con un tutor/moderatore. Molto
spesso, in questo tipo di formazione a distanza, i partecipanti sono stimolati a frequentare
l’aula virtuale  dal tutor/moderatore attraverso:
– una particolareggiata organizzazione di interazioni (anche attraverso incontri di esperti);
– la supervisione online;
– la continua stimolazione di feedback;
– l’utilizzo di servizi e strumenti di supporto.
Sovente sono organizzati periodici incontri face-to-face.
È una tipologia di e-learning che si colloca al di fuori di un percorso standard di
apprendimento. Si basa sullo scambio di informazioni, contenuti ed esperienze
peer-to-peer che di fatto creano un’aula virtuale senza rendersene conto.
Supported online
learning
Informal
e-learning
L’alunno della classe virtuale è completamente libero ed autonomo, decide lui quando iscri-
versi, paga a distanza, consulta le informazioni e scarica i contenuti che desidera. È una tipo-
logia di formazione fondata sull’individuo.
L’apprendimento avviene completamente a distanza, ogni partecipante è però seguito da
un tutor che può decidere di utilizzare sia strumenti di comunicazione sincrona (conferenze
online audio o video, chat o instant messaging) che asincrona (email, forum).
Questa tipologia di e-learning è contraddistinta da un apprendimento completamente a di-
stanza, dove però vengono organizzati degli incontri in presenza, in via modulare secondo
le esigenze dei soggetti:
– all’inizio del percorso formativo, per far conoscere tra loro i discenti e strutturare con gli
stessi quello che sarà il percorso online;
– in itinere, durante il percorso formativo, per monitorare il livello di apprendimento e
l’operatività dei partecipanti;
– alla fine del percorso formativo, per verificare e consolidare le conoscenze apprese e
condivise.
Gli incontri in presenza possono ridurre il rischio di abbandono e isolamento che di solito
si avverte nella formazione a distanza.
In questa tipologia di e-learning il momento dell’apprendimento è concentrato nell’aula,
mentre la formazione a distanza è essenzialmente utilizzata come un momento utile per
approfondimenti o chiarimenti.
È opportuno riuscire a far distinguere tra ciò che costituisce il cuore dell’apprendimento e
ciò che invece è racchiuso in una risorsa utile per l’approfondimento.
Quando si parla di lavoro collaborativo come tipologia di e-learning non si parla più di una
formazione basata sulla trasmissione dei contenuti da apprendere. In questo caso si parla
di un apprendimento che si genera a partire dalla partecipazione e dalla knowledge shared.
La funzione del tutor consiste nell’organizzare e animare lo scambio delle conoscenze, deve
cioè controllare che il lavoro dell’aula virtuale sia di apprendimento per tutti. Il tutor, però,
non deve controllare come o quando vengano scambiati i contenuti, la sua attenzione è
rivolta alla diffusione e alla condivisione della conoscenza.
Completamente
a distanza senza
l’intervento
di un tutor
Completamente
a distanza, ma
con il supporto
di un tutor
Distanza/presenza
con autoformazione
a distanza
Distanza/presenza
con attività
complementari
a distanza
Lavoro
collaborativo
a distanza
Alla luce della classificazione delle diverse tipologie di e-learning, si può meglio compren-
dere come la formazione a distanza sia un momento importante che ha bisogno di un’attenta
gestione per poter essere utilizzato al meglio.
Dalle precedenti classificazioni, inoltre, si possono trarre le seguenti osservazioni:
– l’e-learning, non è uno strumento ben definito, né ancora definibile completamente, ma è
suscettibile di un continuo mutamento ed evoluzione, stante la progressiva innovazione
tecnologica e metodologica.
Capitolo VIII – Ambienti di apprendimento: la formazione a distanza
69
– È necessario riflettere e approfondire ulteriormente la distinzione presente tra formal
e informal e-learning, perché oggi gli ambienti di apprendimento online possono anche
oltrepassare i confini istituzionali di un corso di formazione: le comunità di apprendimen-
to online possono nascere e svilupparsi spontaneamente all’interno del web. Proprio in
considerazione di ciò, si dovranno prevedere percorsi di formazione a distanza on demand
o on the job, ovvero corsi che si incontrino maggiormente con le esigenze e le richieste
dell’utente.
– Non esiste una tipologia di e-learning “pura” poiché per rafforzare, monitorare o valoriz-
zare l’apprendimento a distanza si deve spesso decidere di ricorrere al face-to-face.
– La varietà di tipologie di e-learning possono generare molteplici applicazioni, soprattutto
se si considerano le possibili combinazioni con l’apprendimento in presenza.
Creare ambienti di apprendimento a distanza
Diventare webmaster non è più impossibile, anzi è diventato relativamente semplice e a
portata di un sempre maggior numero di persone di ogni età. È internet  stessa ad offrire ades-
so gli strumenti per la creazione di siti statici o dinamici7. Da qualche anno sono nati i Cms.
Cosa sono i Cms?
Content management system (Cms in acronimo), letteralmente “sistema di gestione dei
contenuti” è una categoria di sistemi software per organizzare e facilitare la creazione colla-
borativa di documenti e altri contenuti.
I Cms consentono di definire utenti, gruppi e diritti, in modo da poter permettere una
distribuzione del lavoro tra più persone. Per esempio, è possibile definire una classe di utenti
abilitati esclusivamente all’inserimento delle novità, mentre si può riservare la scrittura di
articoli ad un altro gruppo, ed infine limitare tutti gli altri alla sola consultazione. Esistono
anche i Lms (Learning Management System) veri e propri Cms creati specificamente per la
creazione di portali e-learning. Il Learning Management System è un insieme di programmi
che gestisce la distribuzione dei corsi on-line, l’iscrizione degli studenti, il tracciamento del-
le attività on-line. Gli Lms spesso operano in associazione con gli Lcms (Learning Content
Management System) che gestiscono direttamente i contenuti, mentre all’Lcms resta la ge-
stione degli utenti e l’analisi delle statistiche.
La maggior parte dei Lms sono strutturati in maniera tale da facilitarne, dovunque e in
qualunque momento, l’accesso e la gestione dei contenuti.
Solitamente, Lms consente la registrazione degli stu denti, la consegna, la frequenza ai
corsi e-learning e una verifica delle conoscenze.
Molto spesso non si fa  distinzione tra Lms and Lcms, poiché entrambi vengono chiama-
7
Con sito dinamico si intende quella categoria di portali che permettono la personalizzazione delle pagine web
da parte degli utenti. I siti che permettono creazione di account (sia di posta elettronica, sia per la gestione di
altri servizi) e che in sostanza inseriscono all’interno della pagina (solitamente nei frame di destra o di sinistra) i
nickname del navigatore.
70
ti con lo stesso termine, Lms, ma esiste una differenza. Lcms, che corrisponde al Learning
Content Management System, facilita l’organizzazione dei contenuti nella progettazione di
siti web e la presentazione, tramite Lms, agli studenti.
Perché usare i Cms?
Un Cms permette di costruire e aggiornare un sito dinamico, anche molto grande, senza
necessità di scrivere una riga di Html e senza conoscere linguaggi di programmazione lato
server (come Php) o progettare un apposito database.
L’aspetto può essere personalizzato scegliendo un foglio di stile Css appositamente pro-
gettato per un determinato Cms e quindi scaricabile dal sito che ha creato il Cms. Esistono
anche comunità e veri e propri siti che gratuitamente o a pagamento permettono di avere
l’aspetto grafico desiderato.
Esistono, ancora, Cms specializzati, cioè appositamente progettati per un tipo preciso
di contenuti (un portale internet, un’enciclopedia on-line, un blog, un forum etc.) e Cms ge-
nerici, che tendono ad essere più flessibili per consentire la pubblicazione di diversi tipi di
contenuti.
esempi di Cms
Segue un breve elenco dei più comuni Cms disponibile in rete.
Joomla! www.joomla.it Un Cms per la creazione di siti web dinamici che consente
di disporre di molteplici strumenti come i forum, il blog, ecc.
mambo www.supportomambo.it Mambo è un content management system, che permette di
scrivere, organizzare, modificare, pubblicare informazioni e
notizie. Si avvale della tecnologia php e di database MySql.
druPal www.drupalitalia.org Gestore di contenuti e di siti web dinamici realizzato in Php. Con
Drupal è possibile realizzare diversi tipi di siti web o intranet,
per pubblicare articoli, insiemi di messaggi/commenti, forum
di discussione, blog, raccolte di immagini etc.
doCebo Cms  www.docebolms.org La suite Docebo è un progetto open source completamente
gratuito che mette a disposizione una suite per l’e-learning e
per la creazione di portali web.
WordPress  www.wordpress-it.it Cms per la creazione di blog.
PhPbb www.phpBB.it phpBb è un Cms per la creazione di forum online, attualmente
è disponibile online la IIIª versione del software.
dokeos www.dokeos.com Lms per la creazione di classi virtuali che dispone di una vasta
gamma di strumenti da mettere a disposizione dei corsisti.
atutor  Lms per la creazione di classi virtuali che dispone di alcuni
funzioni avanzate. Spesso utilizzato per la creazione di ambienti
di formazione a distanza accademici.
moodle www.moodle.org Il più completo Lms per la creazione di classi virtuali con una
vasta gamma di plugin per aggiungere nuove funzionalità al
proprio ambiente di formazione a distanza.
esempio – Installare il Cms di Joomla!
Si fornisce di seguito un esempio di installazione di un Cms, utilizzando uno degli stru-
menti più adatti per creare forum online come Joomla!.
Capitolo VIII – Ambienti di apprendimento: la formazione a distanza
71
Si prendono i dati Ftp del proprio dominio e si imposta il programma client in modo da essere collegati
correttamente al proprio sito.
I dati che servono sono:
– Nome del Server Ftp del proprio dominio (tipo: miosito.it)
– Username: quella scelta nella registrazione del dominio
– Password: assegnata dal provider dove si è registrato il
dominio
– Numero della Porta
– Eventuali altre istruzioni necessarie al provider per il
trasferimento via Ftp.
Si procede al caricamento dei file all’interno del dominio e
si attende che il procedimento termini correttamente.
Premesse fondamentali:
– Installare un Content Management System come Joomla! richiede di possedere un domi-
nio (gratuito o a pagamento) Internet con il supporto per un database.
– Per poter trasferire il Cms all’interno del dominio occorre avere un programma client per
l’Ftp (acronimo di File Transfer Protocol – protocollo di trasferimento di file) come per
esempio Cuteftp, disponibile gratuitamente  all’indirizzo www.download.com
Si scarica il CMS di Joomla! dal sito www.joomla.it nella sezione download.
72
Concluso il caricamento, si chiude il client Ftp e si va alla pagina internet
corrispondente al nostro dominio, nel nostro caso www.miosito.it dove inizierà
la procedura di installazione del Cms che per Joomla! si divide in 7 fasi.
Al termine della procedura il Cms è installato all’interno del nostro sito in qualsiasi momento sarà possibile
modificarlo o eliminarlo, attraverso il client Ftp.
un modello di ambiente e-learning
L’area Fad dell’Associazione l’Altra Città di Grosseto è un esempio di ambiente di forma-
zione a distanza, disponibile all’indirizzo www.laltracitta.it/fad, creato con il Cms di Moodle
e personalizzato secondo le esigenze dell’agenzia formativa e dei propri utenti.
All’interno dell’Area Fad è disponibile una guida per l’installazione e l’utilizzo della piat-
taforma Moodle.
Capitolo VIII – Ambienti di apprendimento: la formazione a distanza
73
I corsi sono stati suddivisi per macrocategorie ed archiviati cronologicamente. I contenuti
di ciascun corso sono accessibili esclusivamente ai corsisti iscritti presso l’agenzia formativa,
o che hanno preventivamente contattato l’amministratore del corso.
Ogni classe virtuale dispone poi di una serie di strumenti attivabili dall’amministratore,
dal docente o dal tutor del corso, come:
– Wiki: per la costruzione di pagine editabili in collaborazione da uno o più studenti/docen-
ti/tutor;
– Forum: per discussioni tematiche;
– Chat: per discussioni in simultanea via web;
– Test: per verificare l’apprendimento a distanza;
– Project Work online: per esercitarsi sulle competenze acquisite.
74
riferimenti bibliografici
Bacon F. (1997), Nuova Atlantide, Milano, Rusconi.
Bellier S. (2001), Le e-learning, Paris, Edition Liaisons.
Bragagnolo L. e Grezzi M. (2002), Dizionario di informatica e telecomunicazioni, Milano, Hoepli.
Calvani A. e Rotta M. (1999), Comunicazione e apprendimento in Internet, Trento, Erickson.
Calvo M., Ciotti F., Roncaglia G. e Zela M.A. (2004), Internet 2004: manuale per l’uso della rete, Roma,
Laterza.
Guarguaglini A., Cini S., Corti F.P., Lambruschini L. (2007), Gestire gruppi in formazione, Trento,
Erickson.
Lévy P. (1996), L’intelligenza collettiva, per un’antropologia del cyberspazio, Milano, Feltrinelli.
Lévy P. e De Kerckhove D. (1998), Due filosofi a confronto. Intelligenza collettiva e intelligenza con-
nettiva: alcune riflessioni. Intervista consultabile nella biblioteca digitale del portale MediaMente, in
italiano: www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/d/dekerc05.htm.
Mason R. (1998), Models of online courses, in “Aln Magazine”, n. 2, consultabile online all’indirizzo:
www.aln.org/publications/magazine/v2n2/mason.asp.
Mason R. (2002), Review of E-learning for Education and Training, paper presentato alla Networked
Learning Conference 2002, consultabile online all’indirizzo: www.shef.ac.uk/nlc2w002/procee- < br />dings/symp/02.htm#02a. 75
CaPItolo IX
I prodotti: narrazioni
Fabio Sciarretta
Questa sezione è dedicata interamente alle narrazioni.
Al suo interno sono contenuti alcuni dei numerosi elaborati realizzati nel corso di attività
formative rivolte a volontari e a partecipanti di percorsi nei quali è stata impiegata la meto-
dologia narrativa (progetti finanziati dal Cesvot mediante il bando “Percorsi di Innovazione”,
ma anche percorsi di orientamento richiesti da scuole della provincia di Grosseto per incre-
mentare l’empowerment degli studenti).
Ogni raccolta di immagini o racconti è preceduta da una schedina sintetica nella quale
vengono riportate le finalità e la descrizione dell’attività utilizzata, nonché il contesto forma-
tivo all’interno del quale sono stati realizzati i prodotti riportati di seguito.
Finalità riflettere sull’immagine di sé, in relazione a:
– come mi vedono gli altri (straniero tra gli estranei);
– come mi vedo (estraneo tra gli stranieri).
Inoltre, questa attività si pone lo scopo di:
– riflettere sugli stili comunicativi (come arrivano i messaggi?);
– considerare le differenze tra i due piani
(straniero tra gli estranei/estraneo tra gli stranieri);
– restituire la visione di sé attraverso gli altri;
– definire, attraverso una modalità autovalutativa, alcuni tratti personali.
Svolgimento Il conduttore invita i partecipanti ad incollare su un lato di un foglio una o più immagini
precedentemente ritagliate da alcune riviste (le riviste possono essere fornite
dal conduttore oppure richiesto ai partecipanti di portarle da casa) che descrivano
per associazione come percepiscono di essere visti dagli altri (straniero tra gli estranei);
mentre sull’altro lato, procedendo alla stessa maniera, i partecipanti andranno a
rappresentare come si vedono (estraneo tra gli stranieri).
lo sguardo dell’altro – teCnICa del fotolInguaggIo
tItolo attIVItà
76
Corso di formazione per volontari “diversità & Integrazione”, orientamento iniziale,
Centro solidarietà di grosseto (Ceis), grosseto.
Capitolo IX – I prodotti: narrazioni
77
78
Corso di formazione per volontari “Volontari in cerca d’autore”, orientamento iniziale,
associazione l’altra Città, grosseto.
Non avevo mai visto nulla di quelle dimensioni… mi avvicinai e vidi quell’enorme albicocca;
mi stupii per la sua grandezza e dopo qualche minuto mi accorsi che era lì di proposito, frutto
del progetto di uno scienziato chiamato Minaccia.
Percorsi a piedi la parte nord dell’isola, dopo circa un’ora di cammino… ero stanca ed iniziai
a credere di essere sola. Mi misi seduta accanto ad una palma ed inizia ad immaginare il mio
futuro su quell’isola. Cosa avrei fatto? Come sarei riuscita a vivere? Quando all’improvviso
vidi all’orizzonte una signora ben vestita. Con il cuore in gola mi avvicinai a lei, ero felice di
non essere sola. Stavo per raggiungerla quando all’improvviso da un cespuglio uscì un leone
e la divorò. Ero di nuovo sola.
Mai prima di allora mi avevano insultato in quel modo… e allora mi irritai così tanto che
sferrai un pugno e gli ruppi la mascella. A quel punto corsi a casa mia e cercai conforto nel
vino. Ma quando pensai che fosse tutto finito, suonò il campanello: la polizia voleva arrestar-
mi. Allora scappai di nuovo e mi nascosi a casa di un amico in cerca di sostegno morale. Di lì
in poi il mio futuro sarebbe stato segnato dalla prigione.
Avevo preparato tutto con cura. Sembrava tutto a posto per quella sera!
Il progetto stava procedendo molto bene. Mentre il professore spiegava, Alexey ed io sta-
vamo tranquillamente parlando della cena a base di pesce della sera precedente e di quei ra-
gazzi che al mattino preferiscono marinare la scuola per andare al fiume a pescare e a fumare
senza correre il rischio di essere scoperti. «Ehi, voi due! Quando avete finito fatemelo sapere,
d’accordo?» incalzò il professore. Per il resto della lezione rimanemmo in religioso silenzio.
Il mattino seguente, come del resto ogni sabato, Alexey ed io andammo al fiume provvisti
di fiocina e sigarette. In un batter d’occhio tirammo su un falò. Alexey disse accendendo una
cicca e aspirando una boccata di fumo azzurrognolo: «Che c’era oggi a scuola?». Al che Joy
prese goffamente una sigaretta anche lui, l’accese con avida timidezza e rispose: «la pesca
di beneficenza con il droghiere McRooney della contea fuori città per raccogliere fondi da
destinare all’apertura di uno ospizio».
Alaster quasi affogava nella tensione mentre noi lo fissavamo: «Ma insomma, porca mi-
Finalità Creare dinamiche relazionali tra i partecipanti mediante attività di coping narrativo.
Svolgimento Dopo aver preparato le carte, queste vengono consegnate ad ogni partecipante od a gruppi
di partecipanti. Su ciascuna carta sono riportati: un incipit, ovvero la cornice situazionale
entro la quale sviluppare un breve racconto (in corsivo negli esempi proposti) e quattro
parole da impiegare  obbligatoriamente nella costruzione dello stesso (sottolineate negli
esempi proposti). Una volta ultimati, i racconti verranno letti in plenaria dai partecipanti.
Carte da gIoCo
tItolo attIVItà
Capitolo IX – I prodotti: narrazioni
79
seria! Cosa devo fare per metterti in testa che tu stasera non ci sarai! » urlò spazientito il
capo della polizia. Ad un tratto una voce lontana esclamò: «I cobra hanno scoperto il piano.
Preparatevi ad essere massacrati».
Finalità Stimolare nei partecipanti la rappresentazione di sé in senso progettuale.
Svolgimento Adesso è giunto il momento di riprendere le fila del discorso e dare un senso all’attività
svolta. Perciò, immaginate di aver tenuto in gran segreto un diario nel quale avete annotato
tutto ciò che vi è successo fino ad oggi (la sfera temporale è contestualizzata alla situazione
professionale individuata ad inizio percorso) ed iniziate a sfogliarlo a ritroso, recuperando
tutti i passaggi che vi hanno permesso di raggiunte l’”attuale” posizione lavorativa (azioni
intraprese, strategie adottate, sensazioni ed emozioni provate, difficoltà incontrate,
competenze impiegate, ecc.).
Il dIarIo dI brIdget Jones
tItolo attIVItà
Percorso di III area professionalizzante, modulo di orientamento, Istituto Professionale
di stato “l. einaudi”, grosseto.
Gennaio 2010 È stato un bellissimo capodanno, un capodanno un po’ folle in una baita
di un nostro amico… avevo di che festeggiare: mi sono laureata alla fa-
coltà di fumettistica a Roma, in arte figurative… ce l’ho fatta! Ora sono
più artista di prima… il mio ragazzo mi porta a cena, almeno così dice…
secondo me nasconde qualcosa.
Luglio 2012 Le mie tele sono piaciute molto a quel critico di Firenze di cui ho parla-
to… Ti ricordi il mio presentimento? Beh, era giusto. Lo conosco troppo
bene, ma è sempre imprevedibile… Ho trovato un anellino dentro la mia
tortina di mele… Nemmeno ho fatto in tempo a vedere cosa fosse che
già sono saltata in piedi urlando SIII!
Settembre 2013 Il mio amore ha un’occasione stupenda, sicuramente darà una svolta
alla nostra vita; lui è un manager e il gruppo che ha sottomano apre una
casa discografica in Norvegia, a Oslo… è una grande opportunità per
tutti e due… ci trasferiamo tra circa un mese.
Novembre 2014 Abbiamo una casa tutta nostra, tirate su con le nostre mani… comunque
da risistemare perché tra un po’ saremo in tre. Sono felice!
Marzo 2015 Sono completamente colorata dalla testa ai piedi. Il mio amore mi pre-
para un caffé nel suo giorno libero. Non ho dormito niente… Vera gat-
tona e rovescia il caffé sulla tela. È tremenda… come me!
09 luglio 2008 Caro diario, oggi sono andata a scuola a vedere l’esito dell’esame di
Stato. Ce l’ho fatta… mi sono diplomata con 93!!
80
27 settembre 2008 Caro diario, oggi sembra che non smetta mai di piovere! L’estate è finita.
Devo iniziare a cercarmi un lavoro. Il solo pensiero di trovare lavoro in
questa città mi intristisce… ma non vedo altre alternative per ora, non
posso continuare a vagabondare per casa.
30-31 gennaio 2009 Finalmente dopo tanti colloqui sono riuscita a trovare lavoro. La mia
richiesta è stata accettata da un negozio del corso… La proprietaria mi
sembrava gentile e disponibile e le altre commesse carine e accoglienti
(sono più grandi di me ma non troppo). Domani inizio a lavorare.
Il mio primo giorno di lavoro è andato. Ero piuttosto imbarazzata ma
me la sono cavata bene. Claudia, una delle commesse, mi  ha seguito
tutto il giorno per insegnarmi le cose. Sono un po’ stanca… però adesso
preparo la borsa e vado agli allenamenti.
10 febbraio 2011 Caro diario, oggi mi sono licenziata. Domani parto con la mia amica per
la Spagna. Andiamo a trovare lavoro là. Sono riuscita a trovare il corag-
gio di cambiare, ma soprattutto di lasciare le mie sicurezze per una vita
all’insegna dell’avventura.
11 luglio 2008 Caro diario, sono le dieci e appena sveglia realizzo che il ieri  è stato
finalmente l’ultimo giorno d’esame. Velocemente mi preparo e vado al
mare a passare probabilmente il resto della mia estate.
09 agosto 2008 La sveglia suona presto e le mie valigie sono già nella macchina. Come
al solito mia mamma sta facendo tardi e già sappiamo che a Ginevra
non arriveremo mai per l’ora prevista. Comunque sono contenta di fare
questo viaggio con i miei. 22 dicembre 2008 Sta piovendo ed io sono all’aeroporto di Galileo Galilei di Pisa che
aspetto i miei genitori. Sono felicissima di rivederli e mi domando se
sono cambiati dall’ultima volta che li ho visti. È stato difficile vivere cin-
que mesi lontana da casa ma sono pronta a ripetere la mia esperienza.
Una parte di me è anche triste perché so già che mi mancheranno le
persone che ho conosciuto durante il soggiorno a Ginevra.
25 aprile 2009 Caro diario, la sveglia è suonata come al solito ed in pochi minuti sono
pronta ad andare a lavoro. A fine giornata sono stanchissima. Per fortuna
in serata, mi arriva una telefonata inaspettata da parte di mia cugina.
Capitolo IX – I prodotti: narrazioni
81
29 aprile 2010 È passato del tempo da quella sera in cui mi chiamò mia cugina. Adesso
sono qui a Londra a lavorare nel pub di mio cugino. Sono sfinita e per-
dipiù mi mancano tantissimo i genitori e gli amici. Nonostante ciò non
ho alcuna intenzione di mollare e tornare a casa senza essermi prima
goduta a piena questa incredibile esperienza.
Luglio 2008 Fa caldo. Sono appena uscita da scuola. Ce l’ho fatta! Ho sostenuto
l’esame orale e ho finalmente finito le scuole superiori. Mi senta più
leggera ma al tempo stesso più impaurita.
Settembre 2008 Ho iniziato a lavorare da qualche giorno: faccio la commessa in un ne-
gozio di abbigliamento sportivo. Non è la mia ambizione, ma sono mo-
mentaneamente soddisfatta e riesco ad essere indipendente. Maggio 2010 Ci siamo quasi, domani sarà il fatidico giorno. Suonerò con il mio grup-
po in un importante locale di Venezia. Se tutto va bene partiremo per
il tour che anticiperà il nostro album di debutto.
Novembre 2012 Il mio lavoro di commessa è ormai lontano. Adesso vivo a Firenze in un
piccolo appartamento con gli altri componenti del gruppo. Siamo in
crisi con la casa discografica e per sbarcare il lunario lavoriamo saltua-
riamente in qualche locale. Quando possiamo suoniamo o organizzia-
mo concerti con altri gruppi locali.
Aprile 2016 Guardo fuori della finestra e di fronte a me vedo il duomo… di Berlino!
Vivo qui da u paio di anni. Abbiamo trovato un’etichetta indipendente
tedesca che ha appena deciso di pubblicare il nostro album. Stasera
suoniamo in un locale di grido: speriamo bene.
Luglio 2008 Sono le sei. Non ho chiuso occhio. Ho fumato un pacchetto di sigarette
ed ingurgitato litri di caffé riducendo in mille pezzi lo stomaco, il fe-
gato ed il povero cervello. Manca sempre meno ed io non mi ricordo
assolutamente niente. Non vedo l’ora che finisca tutto, non ne posso
più. Ho voglia di passare un’intera giornata ad oziare, a non pensare a
divertirmi. Arriverà! Fra poco arriverà!
Sono le otto. Ce l’ho fatta!! È tutto finito, è tutto il giorno che festeggio
e credo che davvero adesso il mio fegato avrà bisogno di cure. 100, non
ci credo ancora.
82
Gennaio 2009 Ho accettato un’offerta di lavoro della Costa Crociere. Parto domani.
Che bello un anno fuori casa, via da tutto e da tutti. Ne ho bisogno. Mi
mancherà un po’ mamma e le mie migliori amiche, ma esistono i telefo-
ni e le lettere. Un anno passa in fretta. Ti lascio adesso, vado a finire di
fare le valigie.
Aprile 2011 Il mio viaggio è durato più del previsto. Mi hanno rinnovato il contratto
e soltanto adesso sto rimettendo piede in Italia a due anni di distan-
za. Mamma è arrabbiatissima perché sono mancata per tutte le feste e
compleanni vari. Ma che ci posso fare? Avevo bisogno di staccare un po’
la spina e di scoprire nuovi occhi, nuovi paesaggi, nuovi venti… Sono fat-
ta così, mi sento in gabbia se rimango troppo a lungo in un posto. Però
quest’anno ho promesso che rimango a Grosseto. Mamma non sa del mio
arrivo. Sarà una bellissima sorpresa per il suo compleanno. Non vedo l’ora
di riabbracciarla. Non mi riconoscerà da come sono cambiata.
Maggio 2013 Anno perfetto… porta anche fortuna! Sentivo la mancanza di Grosseto,
in particolare dei miei amici e della famiglia. Ma non ce la faccio già più.
Ho ricaricato le batterie d’affetto e sono pronta per partire di nuovo.
Lele mi ha chiamato da Londra e vuole che vada a dargli una mano al
bar che ha appena aperto. Non me lo sono fatto dire due volte. Sono
già in viaggio verso l’aeroporto di Fiumicino a bordo della mia macchi-
nina sgangherate. Sono felice, canto come una pazza insieme a Guccini.
Sono felice!
Finalità Incentivare lo sviluppo di competenze memoriali attraverso il lavoro sui ricordi e favorire
la conoscenza reciproca nel gruppo classe; riflettere sul valore dei ricordi come depositari
dell’identità individuale e come basi per progettare il futuro. Gettare nuova luce su di essi
significa tracciare una via privilegiata per ri-comprendere i costrutti della propria identità.
Svolgimento Il conduttore presenta l’esercizio dichiarando che ciascuno degli allievi presenti, a causa di un
naufragio su un’isola, ha perso la memoria. Lentamente cominciano a riaffiorare dei ricordi,
dapprima confusi, poi sempre più nitidi. Ciascun partecipante deve scrivere i primi 5 ricordi che
si offrono alla memoria mentre ne recupera la funzionalità e dare ragione di questa scelta.
l’Isola deI rICordI
tItolo attIVItà
Potere alla Parola, bando Cesvot “Percorsi di Innovazione” anno 2006,
associazione tempo libero ragazzi (tempo.ra.li), Porto santo stefano.
Pensa te…
Mi sono ritrovato in un isola deserta e l’unico accessorio che avevo in mano era un bigliet-
to bianco, vuoto come la mia mente. Ad un certo punto, vedo una tartaruga e incomincio a
ricordare come mai sono finito su questa isola. Era il 25 luglio e dovevo partire per andare in
Capitolo IX – I prodotti: narrazioni
83
vacanza con i miei amici. Arrivati a destinazione, era sabato sera e quindi decidemmo di inau-
gurare la vacanza andando a ballare. Dopo esserci preparati andammo a prendere l’aperitivo
nel bar dell’albergo, avevamo fatto 5 bevute a testa. Quando stavamo uscendo dall’albergo per
andare in discoteca il barista ci fermò e ci disse di andare piano perchè quella strada era molto
pericolosa. Noi non lo ascoltammo, andammo lo stesso molto veloce come di solito. Ad un
certo punto uscimmo fuori di strada, ed è questo il punto dove credo di aver perso la memoria.
La tartaruga mi ricorda la raccomandazione del barista che ci aveva detto di andare piano.
Ho perso la memoria… ma voglio ricordare.
Ormai sono da circa due settimane qua da sola in questa grande isola; intorno ho solo mare. Ho
perso la memoria e non riesco nemmeno a ricordare perché mi trovo proprio qua. Ieri pomeriggio,
prima che il sole calasse sono andata a fare un giro per vedere le poche parti che ancora non avevo
visitato. Mentre stavo ammirando lo splendore del sole che si rifletteva sul mare sono inciampata
in un bastone di legno chiaro, quasi bianco. Dopo aver visto questo bastone mi sono soffermata
molto a guardarlo e a pensare, era qualcosa di familiare come se lo avessi gia visto. Il sole stava
tramontando, e io dovevo tornare sulla spiaggia dove mi ero accampata per poter accendere il
fuoco. Arrivata su questa spiaggia cominciai a sentire come delle urla, ma erano semplicemente
dei gabbiani che stavano volando sopra di me, anche questa cosa mi sembrava di averla già sentita.
Si stava facendo tardi e quindi decisi di andare nella capanna che avevo costruito con rami e fo-
glie. Quella sera non riuscivo ad addormentarmi perchè il vento soffiava forte e filtrava da tutte la
parti della capanna, provocando un rumore assordante. Incominciai a pensare e riaffiorarono alla
mia mente dei ricordi. Ricordavo perchè il bastone bianco, l’urlo dei gabbiani e il forte rumore del
vento mi era familiare. Il bastone bianco mi ricordava le bandiere che sventolano ogni domenica
allo stadio per tenere alti i colori della propria città, l’urlo dei gabbiani l’incitamento dei tifosi
per i propri giocatori e per la propria maglia, e il forte rumore del vento era una città che esulta
perchè la sua squadra ha vinto il campionato. Piano piano incominciai a ricordare sempre più cose,
infine ricordai che quando sono atterrata su quest’isola mancavano solo tre giornata alla fine del
campionato e noi eravamo primi, mi stavo interrogando su cosa aveva potuto fare la mia squadra,
ma ovviamente a queste mie domande non c’era nessuno che mi poteva rispondere quindi mi misi
l’anima in pace e mi addormentai. Sognai la mia città in festa, era bellissimo.
Mancanza di memoria.
SN QUI…….. MI RITROVO IN UN POSTO BUIO SENZA NESSUNO E NN SO COSA FARE ..
PENSO PENSO E RIPENSO MA NN MI VIENE IN MENTE NIENTE.
PRENDO LA STRADA E MI INKAMMINO, DOPO AVER KAMMINATO PER MOLTO TEMPO
ARRIVO DAVANTI A UN LUOGO DOVE C’E’ UN POSTO KN UN INSEGNA” SPAZIO DANZA” E LI
MI VIENE IN MENTE UNA PERSONA A ME MOLTO SPECIALE KE MI RIKORDERò PER SEMPRE.
DOPO AVER PENSATO UN PO’, MI VIENE IN MENTE “LUNA” E PENSO KI è LUNA ? KOSA
E’ X ME?? ENTRANDO DENTRO A QUESTO LUOGO LA VEDO BALLARE E PENSO “EKKOLA,
L’HO RITROVATA”
84
PERKE’ ORA KE LEI NN C’E’ KAPISKO QUANTO SIA IMPORTANTE NELLA MIA VITA E
SPERO KN TT IL CUORE DI NN PERDERLA MAI…….(LUMY TADBXS6U6I6^XM)
DOPO AVERE SUPERATO QUEL POSTO MI SN INKAMMINATA ANKORA + AVANTI E
DOPO UN PO’ DI TEMPO SN ARRIVATA AD UN KAMPO DI KALCIO DOVE C’ERANO TANTI
RAGAZZI KE GIOKAVANO; A QUEL PUNTO MI SN AVVICINATA PERCHE’ MI RIKORDAVA
QUALKUNO A ME IMPORTANTE ……..
DOPO AVER OSSERVATO TT I RAGAZZI E I LORO DISKORSI….. SENTITO LE VOCI E I
DISKORSI MI E’ TORNATO IN MENTE UNA PERSONA KE NN AVEVO MAI TROVATO NELLA
MIA VITA .
MI SN RIVENUTI IN MENTE TUTTI I MOMENTI DI AMICIZIA BELLISSIMI PASSATI KN LUI E
HO L’IMPRESSIONE KE NN ME LI SKORDERO’ MAI!!!!!!!!!!!
DOPO TT QUESTO VUOTO DI MEMORIA SN RITORNATA HA RIKORDARMI DI 2 PERSONE
MOLTO IMPORTANTI A ME E KE SENZA DI LORO MI STO’ RENDENDO KONTO KE NN POSSO
VIVERE E LI RINGRAZIO MOLTISSIMO………….
LUMY E SIMO VADBXSEO SIETE SPECIALI VERAMENTE NN SKORDERO’ MAI QUELLO KE
AVETE FATTO X ME
P.S = LUMY MI MANKI STRA TANTO ZAOOOOOOOOOOO A TT
Una speranza.
Ormai è da tanto tempo che mi trovo su quest’isola quasi deserta, a parte gli indigeni che
mi inseguono dappertutto. Non so bene il motivo per cui mi ritrovi in questo posto tetro.
Non mi ricordo neanche come mi chiami. Alla memoria riesco a strappare pochissime cose
del mio oscuro passato, solo cinque pensieri che si sovrappongono uno sopra l’altro. Poco
cibo si trova in questo inferno tropicale circondato da un oceano immenso. Mangio quasi tut-
to quello che vedo, anche le formiche se non ho nulla da mettere sotto i denti. Solo cinque.
Come al solito: il numero dei miei ricordi che si sovrappongono uno sopra l’altro mischiando-
si tra di loro. Quasi in tutti quei ricordi appare una donna, persona a me cara, forse mia madre
o forse una nemica per il fastidio che mi provoca, ma nello stesso tempo cresce compassione
e amore verso di lei. Ma solo in un ricordo ormai scolpito profondamente nel mio cuore
intravedo ancora il volto di mio padre, le sue parole rassicuranti e le mille promesse che sva-
nivano come fumo nell’aria, diventando solo una dolce bugia. Anzi, solo menzogne uscivano
dalla sua bocca. Allora che fare se non andare via con quella donna che mi voleva salvare da
un futuro oscuro e buio dal quale sarebbe stato difficile uscirne libero. Ora capisco chi era
quella donna, era mia madre, la donna che mi amava a tal punto che solo le sue parole erano
una folle verità e non un sogno come quello del mio padre perso nell’illusione. Sapevo che
l’unica persona della quale mi potessi fidare era proprio mia madre, ma con il tempo quella
verità e libertà incominciavano a stufarmi… ogni giorno che passava volevo di più; forse è per
questo che incominciavo a nutrire disprezzo verso di lei mentre le parole di mio padre mi
trafiggevano ancora il cuore. In questo momento penso ad altro: il motivo per il quale  sono
su quest’isola, il mio nome, la mia identità e la speranza di una promessa del mio padre.
Capitolo IX – I prodotti: narrazioni
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Finalità Attivare capacità relazionali tra pari secondo la metodologia della peer education
(educazione tra pari); educare all’ascolto e alla gestione dei conflitti
Strumenti Web, radio, arte grafica, cartellonistica, ecc.
ParI.mentI
tItolo attIVItà
bando Cesvot “Percorsi di Innovazione” anno 2005, estratti dal blog del sito
www.farestorie.it, associazione Insegnanti solidarietà educativa (aise), grosseto.
Viaggio interrail in Irlanda… l’avventura.
Partenza da casa, ore 7.50, direzione Grosseto. Carica come un somarello e ingenua, ignara
di quello che mi attende la fuori. Incontro la mia compagna di disavventure (Saray) e insie-
me, biglietto interrail alla mano, facciamo biglietto fino a Chiasso (Confine italiano). Il treno
arriva e parte in orario (9.22) da Grosseto, direzione Milano. Le nostre prime 5 ore di viaggio!!
Arrivate a Milano decidiamo di fare subito la prenotazione per il treno notturno (n.b. Con
l’interrail non si pagano altri biglietti ferroviari, ma nel paese di origine paghi il 50% e se sono
treni a prenotazione obbligatoria devi pagare la prenotazione). Lo stupido tizio dello spor-
tello ci dice che:
1) il nostro b iglietto fino a Chiasso non vale;
2) la prenotazione fino a Koblenz costa 54 e;
3) ci può fare un biglietto fino a Lugano (14 e), rimanendo poi seduti fino a Koblenz e speran-
do che non ci dicano nulla.
Accettiamo la proposta e raggiungiamo il nonno di Saray che ci aspetta da tre ore. Ci ac-
cingiamo a fare la spesa e infine raggiungiamo la nostra prima tappa… casa della zia di Saray.
La prima attrazione del viaggio è stata l’ascensore del palazzo della zia, una scatola di 50 cm2
dove siamo volute entrare in due con i nostri enormi zaini (addosso oltretutto); entrare ed
uscire é stata un’impresa… con la zia che si sbellicava dalle risate a vedere la nostra scena.
Due chiacchiere con consigli su cosa fare, vedere, comprare, cena presto, poi di nuovo alla
stazione per prendere la grande incognita di Lugano…
Sul biglietto avevamo carrozza e posti prenotati, ma arrivate al binario scopriamo che la
carrozza prenotata va a München (Monaco) e non a Koblenz (il treno é uno di quelli che a metà
percorso si dividono)!! Maledicendo e imprecando contro l’incapace della stazione (quello di
prima), parliamo con il capotreno che ci fa mettere nella cuccetta accanto a lui… Fiiuuuu.
La cosa che più ci preoccupava era il controllo da parte degli Svizzeri, ma alla fine tutto
bene; anzi ci siamo anche godute la vista di fuochi d’artificio in tutte le città svizzere che abbia-
mo attraversato. Dopo 14 estenuanti ore di treno, non riuscendo nemmeno a dormire decen-
temente (malgrado la cuccetta fosse tutta per noi), arriviamo a Koblenz. Cappuccino e pronte
a ripartire, con il treno successivo, verso la nostra seconda tappa… Luxembourg. Accoglienza
sotto la pioggia! Sistemata la situazione “carta bancomat” mangiamo un paninozzo al fast food
(dove per andare in bagno si doveva anche pagare!!), poi veloci verso casa di Pitti dopo una pic-
cola fermata al Monopol per la spesa. Arrivate a Mertzig, super-scarpinata di 2 km (di cui uno in
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salita con pendenza di 90 gradi) per casa di Pitti (potevamo morire!!). Relax (leggi: coma totale
dovuto alla scarpinata), doccia e cibo… nanna di corsa perché dopo la salitaccia non avevamo
più forze per fare nulla. Giorno dopo, giro a Lux città e, dopo aver ricevuto notizie da Florian
(amico tedesco di Saray), decidiamo di ripartire l’indomani per Münster.
Mattina presto, rifornite di panini, siamo pronte per nuove ore di treno. A Münster di nuovo
decidiamo di prendere subito la prenotazione per il treno notturno della notte successiva (sarà
questo che ci porta sfiga?) e di nuovo (appunto) ci sono problemi… grrrrr. I posti (64 per la pre-
cisione) riservati ai viaggiatori interrail sono già tutti occupati, ma l’omino della station (non lo
scemo di Milano) ci propone una buona soluzione per la mattina del 6 (noi dovevamo parti il 6
all’una di notte), optiamo per quella anche se dobbiamo chiedere a Florian di poter stare da lui
una notte in più. Attiviamo a Rinkerode (vivace villaggio a qualche minuto in treno da Münster)
e veniamo accolte dai genitori di Florian che ci fanno accomodare e ci dicono che non ci sono
problemi per la seconda notte. La mamma fugge a lavoro e ci lascia nelle grinfie dell’incom-
prensibile marito (ha un’accento mooolto difficile da capire il papino di Florian) che, affibbiateci
delle bici (a Saray una mini… hihi), ci conduce alla Sportplatz dove Florian stava organizzando
una serie di giochi per altri club. In pratica ogni anno a Rinkerode i club di giovanili organizzano
una giornata dedicata a giochi piuttosto particolari; l’evento viene organizzato (e non giocato)
ogni anno dal club che ha perso l’anno precedente e quest’anno tocca al club di Florian. I giochi
organizzati sono diversi e, come già detto, mooolto strani, un esempio? Il “mimo disturbato”
che consiste in un gioco di mimo dove la squadra avversaria cerca, con urli, smanettamenti (e
ogni mezzo possibile) di impedire a chi mima di farsi capire dal compagno di squadra. E il mio
preferito… la “palla-birra” che é una specie di bandierina che viene giocata lanciando una palla
contro una bottiglia piena d’acqua; la squadra che ha lanciato la palla, se prende la bottiglia e la
rovescia, deve cominciare a bere birra e deve smettere quando la squadra avversaria ha raddriz-
zato la bottiglia ed é tornata alla linea di partenza… indovinate chi vince?? Ma certo! Chi finisce
prima la birra… Oltre ai giochi organizzati si beve tanta birra (mah vah… non s’era capito vero?!) e
vengono fatti un sacco di gavettoni (non sempre con acqua) senza distinzioni: in pratica nessuno
esce da questa festa asciutto e sobrio. Ci siamo divertite un sacco!! Ma non finisce qui…la sera
Florian ci ha imbucate in un party (che poi abbiamo scoperto essere il comply di tre persone)
dove, per 10 e a testa potevamo bere (alcool) e mangiare (hot-dog e torta alle mele) a sazietà.
Eravamo un botto di gente in una saletta piccola piccola con un banco dove davano gli alcolici
e (cosa molto più importante) dj e musica disco super-figa!!! Io e Saray ci siamo divertite un
mondo e abbiamo dato lezioni di ballo ai Tedeschi (sembravano dei pali della luce! Persone più
rigide a ballare non le ho mai viste!). Ah… la festa era in onore di “American Pie” il film, non so se
vi ricordate la scena della torta di mele… Florian è stato molto gentile, ci ha sempre portato da
bere (facendo a gomitate nella ressa davanti al bancone) e quando siamo tornati a casa alle 2 di
notte ci ha portato in camera due cioccolatini. Il secondo giorno a Rinkerode abbiamo dormito
fino a mezzogiorno (e abbiamo fatto colazione a mezzogiorno), poi siamo andate, con Florian,
a fare un giro in bici di un paio d’ore, mooolto bello e interessante. Poi pranzo e giro a Münster
con Saray (Florian lavorava), la città é carina. Di nuovo a casa, cena, letto. La mattina sveglia
Capitolo IX – I prodotti: narrazioni
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all’alba, abbiamo salutato tutti la sera e siamo sgattaiolate fuori senza far rumore nella fresca
giornata del 6 Agosto. La nostra direzione? Parigi (anche se non è stata una delle nostre tappe).
Il treno tra Köln e Bruxelles era talmente bello ed elegante che ci sembrava impossibile
non ci fosse da pagare un supplemento (c’era del parquet, era super-pulito, con poltrone re-
clinabili, tavolini di vetro…)!!! Bruxelles, per quel poco che abbiamo visto passandoci in mezzo
col treno, non ci é piaciuta e men che meno il treno Bruxelles-Parigi, ma é stato veloce, quindi
ci siamo accontentate. Parigi Nord (la stazione) era brutta brutta, quindi abbiamo deciso di
abbandonarla il prima possibile. Abbiamo preso il biglietto per una specie di metrò (la RER) e
siamo arrivati a Parigi St. Lazare. Scoperto che il treno che ci interessava partiva nel giro di 40
minuti, abbiamo pranzato (con un paninozzo super-caro) e poi di nuovo sul treno…
Cherbourg… quarta tappa. Scarpinata con gli zainoni fino al terminal del treghetto (saranno stati
2 km?? boh… cmq eravamo distrutte) per prenotare, ma arrivate scopriamo che il terminal dell’Irish
ferries (quello che ci interessava) era l’unico chiuso!! Cazzo! Ma potevano aspettare ancora una
mezz’oretta?? No, ovviamente chiudeva alle 19, e noi indovinate a che ore siamo arrivate? Ma certo!
Alle 19,20! Comunque, arrese, ci occupiamo dell’alloggio… dopo qualche ricerca (leggi: dopo aver
girovagato come delle pazze) troviamo un hotel (Napoleone) a 2 stelle a 20 e a testa per notte per
una doppia. Carino, pulito. Dopo aver cenato con un mega kebab, e rischiato una congestione per
averlo mangiato fuori al gelo, abbiamo fatto una doccia, poi nanna. La mattina corsa al terminal a
prenotare il traghetto, con la paura che non ci fossero più posti (vista la nostra fortuna nelle preno-
tazioni, vedi Milano e Parigi), ma fortunatamente c’erano… ri-fiiuuuu. Sollevate dal fatto che nel po-
meriggio saremmo partite per l’Irlanda ci siamo dedicate a fare colazione… buonissima, con 2 pain
au chocolat a testa. Poi, sotto la pioggia (povero sacco a pelo! Non aveva protezioni anti-pioggia e
si é fradiciato tutto!! Sigh…), abbiamo cercato un supermercato per prendere provviste per le 18 ore
di traghetto. Abbiamo passato mezzo pomeriggio nella sala d’attesa del terminal, sonnecchiando e
giocando a carte (uno, briscola e scopa), e alle 17, finalmente, l’imbarco! Gruppo di raga carini (fran-
cesi? boh… forse) con zainoni sul traghetto. Il viaggio in traghetto è stato bello, ma freeeddooo!! Poi
il traghetto era enorme e ci si perdeva (letteralmente) dentro! La sera siamo state fuori fino all’ora
di pranzo, poi abbiamo dormicchiato (male) sui sedili con i sacchi a pelo perchè si gelava! La mattina
alle 5 siamo salite (sempre con i sacchi a pelo) sul ponte per vedere l’alba… abbiamo visto l’alba e
l’aurora, ma non siamo riuscite a resistere al freddo fino a vedere il sole sorgere (eravamo due ghiac-
cioli)… siamo tornate in coperta e abbiamo riposato ancora qualche ora. Verso le otto, nove, siamo
andate a prenderci un cappuccino caldo e siamo tornate sul ponte… una giornata stupenda e siamo
anche riuscite a vedere dei delfini (stenelle? secondo Saray sì)… carini! Arrivate, in ritardo, a Rosslare
Europort (porto a sud di Dublino), che tra l’altro é desolato, ci siamo informate sugli orari dei treni e
ci viene detto che ce n’era uno che partiva alle 13.30… noi guardiamo l’orologio e vediamo che sono
le 13, quindi andiamo al binario. Al binario non ci sono indicazioni, ma siccome c’è un treno solo,
con un solo binario, deduciamo che debba essere quello, indipercui saliamo, ci mettiamo comode
e cominciamo a mangiare, intanto notiamo alcune cose:
1) gli omini della stazione ci guardano in modo strano e quasi divertito (noi pensiamo che sia
perchè stiamo mangiando sul treno e ci chiediamo se tante volte fosse vietato);
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2) non ci sono persone che salgono sul nostro treno (pensiamo sia perchè, non avendo l’in-
terrail come noi, gli conviene muoversi in bus);
3) il treno é in ritardo… prima di un quarto d’ora, poi di mezz’ora, poi di tre quarti d’ora, alla fine
di un’ora (prima cosa che pensiamo è: “Le ferrovie irlandesi sono proprio scadenti! Ci avevano
detto che non erano molto buone, ma così!!”. Poi pensiamo che, essendoci solo quel treno, stia
aspettando le persone che stanno ancora scendendo dal traghetto, tesi avvalorata dal fatto
che dopo 45 min comincia a salire della gente. Oppure, ci chiediamo se non abbiamo capito
male noi l’ora del treno, ma respingiamo questa tesi perchè avevamo anche letto un cartello
con gli orari e l’ora era proprio le 13.30). Infine il treno parte (un’ora esatta dopo l’orario indi-
cato… N.B.: ricordate bene questo dettaglio) con noi che ancora nel dubbio malediciamo e
imprechiamo contro le povere ferrovie irlandesi. Ora, sono costretta a fare un salto avanti per
svelare il mistero del treno… dunque, la mattina dopo (siamo ormai arrivate a Dublino) deci-
diamo di prendere il DART per andare a Greystones, mentre siamo sul binario che aspettiamo
il treno, mi cade l’occhio sull’orologio della stazione che segna le 9.40, interdetta guardo il mio
orologio che invece segna le 10.40… stupita chiedo a Saray che ore faccia il suo orologio (con-
vinta che il mio fosse rotto), mi dice “le 10.40”… le indico l’orologio della stazione guardandola
di traverso… poi ci guardiamo e… illuminazione!! Cazzo in Irlanda sono un’ora indietro!!! Quindi
ecco svelato il segreto del treno… non era in ritardo e non aspettava nessun traghetto, sempli-
cemente era in perfetto orario, solo noi non eravamo sincronizzate con l’ora irlandese!! Che
teste!! E la cosa più bella è che ci siamo accorte di questo un giorno dopo essere a Dublino!!
Non ci é caduto l’occhio su nessun orologio… vabbè… torniamo al racconto cronologico. A
Dublino (scese a Tara Station) abbiamo avuto un super-culo con l’ostello, abbiamo trovato
posto in un ostello carino, pulito e vicinissimo a temple bar (centro di Dublino) e decidiamo di
rimanerci fino a domenica (ah… il nome dell’ostello è “Abbey Court”).
Giorno 9… sole splendente (sembra strano, ma i miracoli esistono anche in Irlanda) quindi
non ci siamo fatte sfuggire l’occasione e siamo andate al mare a Greystones (un villaggio di mare
a sud di Dublino). Niente bagno perché faceva freddo e tirava un vento gelido allucinante… (è
sempre l’Irlanda e non le Hawai), ma la vista era molto bella e la gente del posto era incredibile!!
Facevano il bagno tutti tranquilli… swimm swimm… senza problemi e uscivano a stendersi sui teli
da mare senza sentire il vento… mah… beati loro!! La sera, tornate a Dublino, abbiamo fatto un
giretto a Temple Bar e abbiamo preso una mezza pinta di Guinness ad un pub che faceva musica
irlandese…che però è finita quasi subito… sigh.
Mattina dopo super-giro a Dublino… Visita al castello, la guida era simpatica e competente, ma
ci ha fatto prendere un colpo all’inizio della visita!!! Appena cominciata la visita, questo giovane ra-
gazzo, ha cominciato a parlare in un idioma a noi sconosciuto, tanto che io e Saray ci siamo guardate
e ci siamo chieste se non avessimo sbagliato gruppo… ma dopo 5 o 6 minuti (durante i quali il panico
si dipingeva un po’ su tutte le facce dei presenti) un’inglese fluente esce dalle labbra della giovane
guida, le facce si stendono in evidente sollievo quando il giovane spiega, nella magnifica lingua che
l’inglese ci sembrava allora, che aveva solo fatto un’introduzione in irlandese (che non é l’inglese, ma
Capitolo IX – I prodotti: narrazioni
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piuttosto il gaelico) e avrebbe proseguito in inglese. Grazie al cielo!! La cosa più carina della visita è
stata la sua particolarità… oltre a date e informazioni sulla storia dell’Irlanda e di Dublino, la guida ci
ha istruito su divertenti aneddoti della vita del castello… qualche esempio?? Ma certo!! Innanzitutto
nella sala da ballo si trova uno specchio con una cornice d’oro, lavorato in modo finissimo, che si
trova (identico) solo in altre due regge del mondo, uno a Versailles e l’altro a Monaco… ora, capirete
che l’oggetto in questione ha un valore inestimabile; ecco, questo specchio sparì durante un incen-
dio e fu ritrovato, diversi anni dopo, in casa di un contadino che, avendolo dipinto di nero, lo usava
come spalliera del letto!! La sala del trono vanta, invece, ben tre aneddoti… il primo riguarda un re
al quale fu annunciato che il suo più acerrimo nemico era morto, e lui rispose alzandosi dal trono:
“Quando è morta mia moglie??”… il secondo riguarda Queen Victoria. Dovete sapere che nella sala
del trono si trova un poggiapiedi, la guida ci ha spiegato che non si usava normalmente, ma che quel
poggiapiedi era stato messo li per la regina Victoria perché, essendo sua altezza tutt’altro che alta, i
suoi piedi non arrivavano a terra quando si sedeva sul trono e non era molto elegante o regale come
atteggiamento, quindi le diedero il poggiapiedi. Il terzo riguarda le due figure che ornano il trono,
un leone e un unicorno con l’arpa (che simboleggiano l’Inghilterra e la Scozia). Normalmente queste
due figure si guardano l’un l’altra, ma sul trono nel castello di Dublino, si danno le spalle… questo è
dovuto a un semplice errore di chi ha rimontato le figure dopo l’ultimo restauro. Nella sala delle
cerimonie la guida ci ha spiegato il significato della bandiera Irlandese (verde, bianco e arancione)…
il verde sta per quella parte degli irlandesi che vogliono un’Irlanda libera e indipendente, l’arancio-
ne sta per quella parte di irlandesi che volevano l’Irlanda unita all’Inghilterra, e il bianco (simbolo
internazionale di pace) simboleggia la pace tra le due fazioni. L’ultimo aneddoto riguarda la statua
della giustizia che si trova sull’entrata del castello. Questa statua è poco giusta anche se simboleg-
gia la Giustizia… per prima cosa perché dà le spalle al popolo irlandese, secondariamente perché
un piatto della bilancia pende di più dell’altro e per un altro paio di ragioni che non ricordo. Dopo
il castello abbiamo visitato, da fuori, la chiesa di S. Patrizio, molto bella e semplice, ma soprattutto
il giardino adiacente é degno di nota. Poi siamo state a Sephens Green, che è un bellissimo giardino
pubblico con un sacco di gente che ci va a fare una passeggiata o anche a studiare. Abbiamo fatto
un salto al National Museum, ma purtroppo il secondo piano (quello più interessante, ovviamente)
era chiuso, quindi abbiamo visto solo l’Irlanda preistorica… sigh. E ancora, la National Gallery con
i dipinti di artisti irlandesi e inglesi, mooolto interessanti, suggestivi… Yeats è piuttosto strano. Ci
siamo quasi perse nella Gallery, ma abbiamo fatto in tempo anche a fare un salto al Trinity College.
Poi un po’ bagnate e infreddolite abbiamo deciso di fare uno stop allo Starbucks per una cioccolata
calda…buona buona. Infine, veloce spesa e poi in ostello.
Mamma che sonnoooooo!!! Saray è andata a chiamare con il telefono stronzo, funzionerà o
no? (Apro una parentesi un po’ lunga… dovete sapere che in Irlanda ci sono i telefoni pubblici di
tre compagnie, una è la Eirann, o qualcosa di simile, fatto sta che i telefoni di questa compagnia mi
odiano, non mi riesce mai chiamare con questi… una volta mi hanno pure fregato 50 cent! E quando
mi va bene non mi prendono i soldi, o non mi fanno il numero… grrr… ecco perché i telefoni stron-
zi…). Bah… intanto siamo a Portarlington e aspettiamo il treno per Galway. Speravamo di poter fare
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cena qui visto che sono le 7.30 p.m. e arriveremo a Galway attorno alle 10 p.m., ma la stazione è
talmente piccola che a malapena c’è una sala d’aspetto! ‘Naggia… Con il telefono tutto ok (a Saray
non la odiano i telefoni stronzi). Speriamo bene a Galway…mi manca il mio cucciolo…sigh.
E fin qui è stato solo l’inizio della fine… che giornata ieri!! Arrivate a Galway alle 22 andiamo
subito a vedere uno dei tre ostelli vicini alla stazione… un gruppo di ragazzi di colore ci dice che è
al completo (ed effettivamente c’era un cartello che sembrava dire la stessa cosa), gli chiediamo
di quello accanto e pure quello si rivela essere pieno… gli chiediamo un consiglio per trovarne
un altro vicino, ce ne indicano uno, andiamo lì e… indovinate? Pieno anche quello…cominciamo a
disperare, ma a quest’ultimo ostello ce ne indicano uno che dovrebbe avere dei posti. Ma siccome
già la donnina dell’ostello ci aveva detto che non era granché quest’altro ostello, a metà strada
troviamo un telefono e chiamiamo uno degli ostelli della mia guida e… wow… ci dicono che ci
sono giusto giusto due posti liberi. Super-contente di aver trovato infine un posto dove dormire,
guardiamo la cartina per arrivare a questo ostello e… orrore… scopriamo che è dall’altra parte
della città! Argh… Con pazienza (leggi: distrutte e in preda alla disperazione) ci dirigiamo nella
giusta direzione grazie all’aiuto di tre ragazze italiane. Finalmente arrivate (dopo aver vagato un
po’ perché a Galway non si usa mettere i nomi delle vie sulle strade) ci accoglie una sottospecie
di Caparezza in preda a un super-raffreddore (leggi: peste e broncopolmonite). Costui ci mostra la
camera, un 14 mixed dorm e ci spiega i tasti che dobbiamo premere per poter andare al bagno (ti
pare che ci vuole la combinazione per anda’ al cesso!!). Ci dà le lenzuola e poi se ne va. Io non sono
contenta dell’ostello, non è pulitissimo e dormire in un mixed dorm così pigiati non è esattamente
il mio sogno, ma come si suol dire, meglio così che dormire sotto i ponti, no? Risultato: c’è voluta
la laurea per mette il copri-piumone in quella mini saletta con 14 letti pigiati a forza e il passaggio
pieno dei bagagli di 14 persone!! Siamo andate a nanna digiune perché esauste e oltretutto io ho
dormito di merda… evviva!!
Bene bene… scappiamo a gambe levate dall’ostello di “Caparezza-moribondo”, anche per pau-
ra di essere contagiate, e ci dirigiamo ad un’altro ostello (consigliato dalla guida), indovina indo-
vinello?? Pieno, ma certo! C’era da chiederlo?! Qui però una ragazza molto gentile ci ha fatto il
favore di chiamare gli ostelli e di segnarci su una cartina quelli con posti liberi. Intanto meraviglia
delle meraviglie (e ciliegina sulla torta) comincia il diluvio universale! Grrr… Vabbé… camminia-
mo velocemente verso l’ostello più vicino, lo stesso con più posti liberi, e arrivate davanti alla
porta suoniamo, ma nulla accade. Dopo qualche minuto cominciavamo ad attirare lo sguardo
della gente, ed effettivamente dovevamo essere una vista assai buffa… sotto la pioggia battente,
con due enormi zaini (che tra l’altro sono pure diventati più grossi di prima, lievitando non si sa
come in questi 13 giorni), ferme davanti una porta chiusa che non accenna ad aprirsi. Sentendoci
troppo osservate decidiamo di entrare nel bar accanto all’ostello per chiedere come cavolo si fa
ad entrare nell’ostello. Miracolo! (Il primo dopo tante ore) Vedendoci con gli zainoni ci chiedono
subito: “Are you here for the hostel?”. Miii e c’è da chiederlo?! No ci piace fare due passi, sotto
il diluvio universale, con due specie di case sulle spalle e oltretutto a stomaco vuoto! Insomma…
ci mostrano una camerata (10 mixed)…noooo, manco morte! É troppo piccirilla!! Poi una 6 mi-
xed…yeah, meglio, molto meglio. Di legno, con anche assegnato il letto numero 6 (mio numero
Capitolo IX – I prodotti: narrazioni
91
fortunato). Ok ninna! Va bene il 6 mixed! Paghiamo per due notti e ce ne andiamo a mangiare
qualcosa, finalmente, visto che era da ieri alle 14 che non avevamo toccato niente di comme-
stibile. Dove andiamo a finire per colazione? Alle 11.30 sottolineerei! In un fast food ovvio! E a
mangiare cosa? Colazione all’irlandese: uova (x2), bacon (x2), würstel (x2, troppo grassi), toast (x3),
porridge (2×2, buonissimo), orange juice (x1), burro (x2), ketchup (x2), sale (x2), zucchero (x3), caffé
(x1, amaroooo). Che mangiata!! Poi giretto in centro, impossibile dato che il diluvio non accenna
a smettere, quindi di corsa all’ostello per una doccia e un po’ di riposo. Leggiamo (io con il mio
nuovo libro) e ci godiamo la nostra tranquillità. L’ostello è ok e la ragazza che se ne occupa é
molto carina e gentile, ma ci sono tre spagnoli pazzi! Help! (Pazzi nel senso che sono strani). A
parte questo, mente siamo nelle poltrone della cucina a leggere (non c’é una sala comune,ma
viene usata la cucina come sala), comincia ad arrivare una brancata di gente per prenotare…a que-
sto punto per paura di non trovare più posto ci sbrighiamo a prenotare anche per il 16 notte.
Bien bien… ora proviamo ad andare a fare la spesa per cucinare qualcosa in questa mini-cucina.
Tornate ora da una spesa sotto l’acqua (come esse andate in piscina in pratica), dove siamo subito
state riconosciute per italiane per aver comprato l a pasta… eh, eh. Ci hanno accompagnate gli spa-
gnoli che, a parte il fatto che sembra prendano un po’ per i fondelli quando parlano tra loro, sono
gente a posto. Arrivate all’ostello ci siamo rese conto di aver dimenticato che ci serviva l’acqua
anche per cucinare la pasta (perchè a Galway l’acqua è stata contaminata e non è più potabile fin-
ché non rimetteranno apposto l’acquedotto), quindi ora Saray è a caccia di altra acqua…ce la farà
la nostra eroina?? Naturalmente! Anche se poi abbiamo dovuto aspettare le 9 per cucinare perchè
c’era la fila. Con lo stomaco che brontolava abbiamo aspettato che 1/2 kilo di pasta cuocesse per
poi divorarlo… gnam gnam. Dopo ciò ci siamo avviate in camera per leggere un po’ e poi nannare…
ah, ho scoperto una presa di corrente proprio dietro il mio letto… yesss.
Ah, una cosa che mi sono dimenticata di annotare è quanto sono minuscoli i bagni (nel senso
cessi) di questo ostello. Dunque…un paragone potrebbe essere con una scatola di sardine, ma non
rende abbastanza, quindi passo alla descrizione. Un cubo con la base di 30 cm2 con il cesso stesso
che ne occupa 29 e il “porta-carta” che occupa il restante centimetro quadrato. Ora immaginate
una persona di dimensioni normali che deve riuscire nell’impresa (mission impossible?? Proprio!!)
di entrare lì dentro, accovacciarsi sulla tavoletta e fare quello che deve fare…per non parlare dei
problemi che avrebbe una persona un po’ più in carne!! La cosa per cui viene da ridere (leggi:
piangere) è che una volta dentro (sempre se riesci ad entrare) e chiusa la porta (perché di certo
non mi voglio mica mostrare al mondo in momenti mooolto intimi, no?! E sempre ammesso che
riesci a chiuderla ’sta porta) cerchi di abbassarti abbastanza per mirare dentro il cesso (anche se
poi, riflettendoci, farla fuori è impossibile visto che il bagno è grande come il cesso) e succede che
ti battono inevitabilmente le ginocchia alla porta, e non importa quanta scienza o buona volontà
ci metti, più giù di lì non vai!! Prega piuttosto di riuscire ad uscire da lì. Un bagno uguale l’abbiamo
sperimentato all’Hotel Napoleone (due stelle) a Cherbourg. Sarà la moda da queste parti? Un cor-
so intensivo di yoga? O un allenamento per un corso di sopravvivenza??
Chiuso il lungo aggiornamento “bagnifero” riprendo cronologicamente il racconto. Insomma,
dopo aver scoperto la fatidica spina leggiamo (con sottofondo di urla e grida dei maledetti fioren-
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tini…) e quando infine (innumerevoli ore dopo) si crea un momento di calma, decidiamo di provare
a dormire. Sì…sì…proprio provare a dormire!! Abbiamo passato una nottata!! Perfino Saray ha dor-
mito male (ed è un gran bel dire, ve lo assicuro). A parte che nella strada sotto alla nostra finestra
non abbiamo ancora capito se fanno le corse di auto o semplicemente si divertono a sgommare
proprio davanti alla nostra stanza. Poi c’é il camion dell’immondizia, poi quello per pulire le strade
e non so quali altri ancora…ma la strada é un dolce sottofondo di ruscello in confronto a quello
che succede nell’ostello. Per prima cosa il campanello suona ogni 5 secondi (e non ha esattamente
un suono dolce e leggero, ma un bel driiiin forte e chiaro, che anche un sordo lo sentirebbe), ora…ci
sta che ci siano tanti erranti in cerca di alloggio, ma perché il guardiano (del faro? No, dell’ostello)
si ostina a non voler aprire? E poi é normale che la gente ci si appenda al campanello!! Nessuno
viene? Io continuo a suonare, prima o poi qualcuno arriverà…Propongo l’impiccagione per il guar-
diano. Ma la cosa più incredibile è che quell’incapace (che dopo la storia del campanello abbiamo
pensato fosse affetto da “pigrite acuta”) si é messo ad aggiustare non-voglio-nemmeno-sapere-
cosa alle 7 (dico 7) del mattino, ma allora lo fai apposta!! Arrese all’idea di non riuscire a dormire
più a lungo (leggi: per niente), ci siamo alzate e tra poco colazione.
La colazione a base di toast e cookies comprati da noi (figuriamoci se negli ostelli ti offrono delle
leccornie simili!!), poi in strada. Abbiamo trovato una sistemazione per quando torniamo dalle Aran
Islands, un ostello chiamato tale Barnacle’s (super!!), e ovviamente (non proprio ovviamente, ma
diciamo così) non abbiamo trovato problemi per andare alle Aran e trovare alloggio per una notte,
anche se la prima intenzione era di restarci due notti, ma vabbé… Poi abbiamo passato la giornata
in giro assistendo ad una vera e propria giornata yo-yo (cioè…10 min sole splendente, poi pioggia a
dirotto per 10 min, e di nuovo sole splendente…poi pioggia, reso l’idea?? Insomma non sai mai come
vestirti in queste giornate e continui a vestirti e spogliarti, poi vestirti di nuovo etc.). Ah, mi sono di-
menticata di raccontare una cosa successa a Saray… le é caduto l’asciugamano nel cesso dell’ostello
quello brutto (quello del 14 mixed dorm)!! Ah ah ah… Adesso, finalmente, abbiamo parlato un po’
d’inglese con la nostra nuova con-camerata. Dopo aver parlato parlato e parlato…ci dirigiamo in
cucina per la nostra cena a base di insalata e formaggio. Mentre ceniamo conosciamo 4 ragazze (sui
25 e più) di Milano, tra cui una che aveva i nonni a Magliano (per la cronaca io sto a Magliano), ma
dai!! Il mondo è minuscolo!! Finita la cena e fatte due chiacchiere con le biologhe (perché abbiamo
saputo studiano biologia) ci siamo avviate ad un nuovo giro di pubs. Nel primo c’era una coppia di
omini sulla 50ina (più o meno) che suonavano una bella musica irlandese. Decidiamo di fermarci e
di prendere un irish coffee. La preparazione del medesimo é minuziosa e l’aspetto, ma soprattutto
il gusto sono ottimi!! Però è anche una bomba di alcool!! Ho il sospetto che il whiskey caldo sia
più forte, ma non ne ho la certezza. Comunque… ci reggiamo ancora egregiamente in piedi e ci di-
rigiamo verso un’altro pub con musica fatta da un trio giovane, meno irlandese del precedente. Ci
facciamo mezza pinta di Guinness e poi in ostello (io crollavo dal sonno!).
Notte un po’ migliore, ma con i soliti rumori rompi-beeeep. Ora abbiamo fatto colazione e
usciamo a caccia di una visita alle Cliff of Moher. Culo! Trovato un bus tour per le Cliff, e l’autista
c’ha fatto un gran favore!! Ci ha contate come studentesse anche se non avevamo nulla per dimo-
strarlo e in più c’ha fatto uno sconto… risultato? Abbiamo fatto quasi un’intera giornata di Tour a
Capitolo IX – I prodotti: narrazioni
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15 € invece di 25!! Il tour era carino. In particolare, era super-carino il posto dove abbiamo fatto
colazione, un bar in un localino di pietra sulla riva, da cui si vedeva il Burren e la baia di Galway.
Interessanti le croci celtiche e tutta la visita del Burren (che significa “zona rocciosa” e se si visita si
capisce il perché…avete presente la cava di pietre dove lavora Fred Flinstone?? Ecco, più o meno
uguale!!). Rocce e sassi ovunque, paesaggio quasi lunare.
Abbiamo visto un Dohlmen, ma a me è piaciuto più il paesaggio che la tomba… un po’ delu-
dente. Poi le Cliff… spettacolari!! (apro una parentesi, per chi non sa cosa cono le Cliff… sono delle
rocce a strapiombo sul mare, presente la Tagliata dell’Argentario?? Tipo quella, ma più grande… è
un intero tratto di costa con rocce a strapiombo sul mare…). Ci è dispiaciuto non poterci avvici-
nare molto al bordo delle rocce, ma con il tifone che c’era era pericoloso…rischiavamo di volare
(letteralmente) in mare, e l’autista ci ha raccontato che é successo davvero che qualcuno sia stato
soffiato in mare dal vento forte!! Noi abbiamo avuto la fortuna di avere una bella giornata (ora non
immaginatevi il sole e il caldo dei tropici! Bella, ma è sempre Irlanda, tenetelo sempre presente!),
ma malgrado questo tirava un vento della madonna, era talmente forte che pure una come me
(che non è esattamente un peso piuma) veniva letteralmente (e dico sul serio) spinta!! Io e Saray ci
sbilanciavamo indietro e il vento (tanto era forte) ci sosteneva… roba da matti!!
Poi abbiamo pranzato nel ristorante delle Cliff (carissimo!!) ma siamo riuscite a mangiare (mi-
racolosamente) una zuppa di pesce a 5,95 e! Appena tornate a Galway abbiamo fatto la spesa, poi
io ho fatto delle lunghe chiamate a casa e al mio Cucciolo, che mi ha un po’ aggiornata sui cambia-
menti in patria… quando tornerò, dovrò mettermi in pari con i cambiamenti!! Argh….
Ci siamo cucinate una cena buonissima!! Pasta con pollo e pomodori a fette… fa molto Deutsch!!
Poi abbiamo fatto una partita a scacchi (con gli interventi di una coppia di americani esperti scac-
chisti), e nanna.
Solito casino la notte, ma cominciamo ad abituarci (leggi: Saray comincia ad abituarsi…io nn ci
riuscirò mai!!). Colazione e per fortuna ci hanno fatto lasciare i bagagli in ostello (dovevamo fare
il chek-out, ma siccome per le Aran partiamo solo nel pomeriggio tardi, non volevamo portarci
dietro gli zainoni, quindi abbiamo chiesto di poterli lasciare li). Giretto in centro e al Salmon Weir
Bridge (dove si vedono i salmoni risalire la corrente, ma siccome non é la stagione, niente salmoni
per noi… sigh), poi buonissimo pranzo a base di fish&chips in un ristorante chic, ma dai prezzi ok. Di
nuovo in centro, presa una bevanda al caffé, molto buona, poi sentita musica tradizionale in stra-
da… bellaaaaaaaa… comprato Cd, speriamo sia bello come l’esibizione!! Diluvia (tanto per cambia)
quindi ora siamo in ostello e tra poco andiamo alle Aran.
Dunque, ora dedico un intero capitolo al racconto di due figurette di merda per uscire dall’ostel-
lo con i nostri, ormai famosi, zainoni. Dovete sapere che lo spazio tra i letti (i due letti a castello vici-
ni alla porta) nel nostro dormitorio è di 20 cm circa. Ora visualizzate lo zaino di Saray, che con sacco
a pelo e copri-anti-pioggia (un sacchetto per proteggere lo zaino dalla pioggia) sarà grande come…
una piccola mucca (contate che pesa 15 kg e ha una larghezza di circa 40 cm, per non parlare dell’al-
tezza e della profondità)! Per uscire… le scene! Saray ha provato a passare tra i letti, ma accortasi
che non riusciva a passare si é sfilata lo zaino e ha cercato di sollevarlo e di farlo passare sopra i letti,
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potete immaginare che sollevare uno zaino di quel genere all’altezza di un letto a castello e farlo
passare dall’altra parte è tutt’altro che semplice, soprattutto quando la tua compagna di viaggio (io)
ha già superato l’ostacolo senza problemi e si sta sbellicando dalle risate nel vedere la scena. Alla
fine un ragazzo che era nella stanza (il nuovo camerato che avrebbe preso i nostri posti nella stanza)
ha avuto pietà di Saray e l’ha aiutata sorridendo. Superata questa prima difficoltà ci avviamo verso
la seconda trappola dell’ostello. Il nostro ostello ha una scala piuttosto stretta per uscire (altri 20
cm diciamo), noi cominciamo a scendere le scale, Saray davanti e io dietro, con gli zaini in spalla,
a metà scala (leggi: quasi alla fine) Saray si accorge che una cinghia del suo zaino si é infilata tra il
corrimano e il muro e non riesce a tirarla fuori. Quindi ci ritroviamo bloccate a “metà” scala con gli
zainoni a cercare di sfilare la cinghia che non vuole saperne. Alla fine Saray con uno strattone riesce
ad avere la meglio sulla stramaledetta cinghia, ma immaginate se non ci fosse riuscita! Saremmo
dovute entrambe andare in “retromarcia” risalendo le scale per sfilare la cinghia dove il corrimano
iniziava e, oltrettutto, avremmo rincontrato l’omino di prima (che si sarebbe fatto un’altra risata
vedendoci). Per fortuna ce la siamo cavata quasi bene. Dopo queste belle dimostrazioni dell’intelli-
genza umana siamo andate a prendere il bus e poi il traghetto per le Aran.
Il traghetto è stato emozionante. Prima di tutto c’erano delle belle onde alte e la barca ballava
che era una meraviglia, secondariamente abbiamo assistito ad un’esercitazione della guardia costie-
ra in elicottero (anche se fino alla fine non capivamo cosa stesse succedendo). Ora siamo all’ostello
delle Aran, dopo una scarpinata sotto la tempesta e progettiamo per domani. Notte non troppo
buona… molto casino da parte degli altri “ostellisti”. La mattina ci siamo alzate presto e siamo an-
date al supermercato per comprare il pranzo, ma era chiuso, quindi abbiamo fatto una passeggiata
in riva al porto, poi siamo tornate in ostello per la colazione. Siamo arrivate che c’era pane e burro
e niente marmellata, che (ovviamente) è arrivata insieme al porridge quando noi arrese al pane e
burro (quasi peggio che in galera) ce ne siamo andate. Grrrrr… Poi abbiamo preso le bici a noleggio
(10 € a testa) e abbiamo fatto un super-giro…io purtroppo ho beccato una bici da uomo (anche
se mi chiedo come faccia ad andarci un uomo su una bici così) e alla fine del giro avevo il sedere
a pezzi!! Sigh… Comunque, nel nostro giro abbiamo visto una spiaggia bellissima (da cartolina dei
tropici, però senza palme) con un gruppo di turisti pazzi che ha fatto il bagno…anche se la giornata
era talmente bella che se avessimo avuto costume e asciugamano l’avremmo fatto pure noi (beh…
magari non proprio il bagno, ma almeno un tuffo sì). Poi abbiamo visto le Cliff delle Aran, molto
belle anche perchè, diversamente dalle Cliff of Moher, siamo potute salire sul bordo delle Cliff e af-
facciarci sul mare, proprio un bello spettacolo, impressionante!! Ah, per salire sulle Cliff si passa da
uno stradello sterrato e in un punto c’erano dei bambini che facevano della musica irlandese molto
bravi, gli abbiamo dato qualche spicciolo. Tornate all’ostello abbiamo posato le bici, io con grande
sollievo e ringraziamenti da parte del mio didietro, e siamo andate a piedi al supermercato (dove
ho mangiato un gelato), abbiamo fatto un giretto di negozi di souvenir e una passeggiata in spiaggia,
poi di nuovo in ostello e tra poco traghetto. Ah, io e Saray abbiamo trovato due conchiglie a pettine
nello stesso momento e quasi grandi uguali, lei rosa e io verde… le conchiglie gemelle!!
Dunque… per prima cosa siamo andate al porto in bici, con i soliti zainoni in groppa e borse e
zainetti appesi alla meno peggio. La strada che collega il nostro ostello al porto è una stradina più
Capitolo IX – I prodotti: narrazioni
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o meno asfaltata lunga 2 km, ma cosa fondamentale, è in discesa, tutta, completamente in discesa.
Ecco… fare quella strada in bici, conce come eravamo con i nostri bagagli, è una mission impossible
o, per meglio dire, ha lo spiacevole probabile effetto di risultare nella nostra morte prematura,
causa: sfracellamento. Ah, oltrettutto le nostre bici non avevano i freni migliori del mondo (leggi:
non avevano freni). Comunque, Saray è quasi caduta, ha perso l’equilibrio e, non si sa come, si è
miracolosamente ripresa prima di spiaccicarsi a terra. Che culo!
Vabbè… riconsegnate le bici ci siamo sedute sul molo ad aspettare il traghetto e abbiamo as-
sistito ai bambini prodigio delle Aran. Noi eravamo lì, tranquille, vestite come degli eschimesi che
mangiucchiavamo qualcosa ingannando l’attesa. Ad un tratto ci accorgiamo che un gruppo di ra-
gazzotti del posto (avranno avuto tra i dieci e i tredici anni) sono in costume e ridono e scherzano
sul bordo del molo. A me e Saray vengono i br ividi di freddo solo a vederli, anche perché erano
le sette di sera, tirava un vento gelido della madonna e non c’era un raggio di sole che riuscisse a
passare lo strato denso di nuvole che copriva il cielo. Ad un tratto, un ragazzino sparisce dietro
alle scale che dal molo vanno in acqua, ma risale poco dopo, in apparenza, asciutto, tanto che
pensiamo sia sceso solo per impressionare i compagni, ma senza buttarsi veramente. Poi un trio
di questi ragazzotti ne afferra uno per i piedi e le mani e fanno come per buttarlo in acqua, ma
alla fine (dopo minuti di agonia da parte nostra) desistono. A questo punto io ho la meravigliosa
idea di dire a Saray che avrei dato 5 € al primo che si fosse buttato in acqua veramente. Ora, o i
bambinozzi avevano delle antenne da marziani e anche un traduttore incorporato e sentite le mie
affermazioni hanno agito di conseguenza, oppure il destino ha voluto punire la mia incredulità.
Fatto sta che un coraggiosissimo bambino prende la rincorsa e si butta in acqua dal molo!! Matto!
E dopo di lui tutti gli altri, a turno, si gettano in acqua, poi risalgono sul molo (dopo una nuota-
tina tonificante), non accennano ad asciugarsi o non danno il minimo segno di avere freddo, e
dopo aver goduto per un po’ della salutare brezza gelida, si rituffano, e così via, in continuazione!!
Fortuna che dopo un venti minuti é arrivato il traghetto e ci ha impedito di morire congelate al
solo assistere a questa scena.
Il traghetto è stato nuovamente impressionante perché abbiamo avuto onde ancora più gran-
di che all’andata e la barca ondeggiava talmente che sembrava ci dovessimo ribaltare! Anche se
qualcuno non era troppo contento di questo fatto perché si è sentito male, poveraccio! Un altro
spettacolo molto bello è stato vedere l’arcobaleno sul mare… molto suggestivo!
Arrivate al nuovo ostello di Galway abbiamo posato i bagagli, poi fish&chips per Saray e pollo
per me, una bevuta veloce e di nuovo in camerata per nanna. La mattina colazione e poi finalmen-
te ho fatto una bella doccia calda!! Ah…amo chi ha scoperto l’acqua calda!! Poi abbiamo fatto un
giro e una spesona che abbiamo utilizzato in ostello per cucinarci il pranzo. Ah… mentre erava-
mo in giro siamo riuscite a procurarci i biglietti per uno show di musica irlandese (Music at the
Crossroads) a 12,50 € invece di 25!! Che bello!! Non vediamo l’ora!
Dopo aver pranzato siamo scese in sala comune: io mi sono avviata prima perché Saray dove-
va fare un paio di cose in camera. Sono scesa al pianoterra dove c’è la sala comune (molto chic)
e visto che sulla porta della stessa c’era il dispositivo per la carta magnetica (come nella porta
d’ingresso e nella porta dei dormitori) ho tirato fuori la mia carta e l’ho infilata nella fessura a lei
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riservata, ma nulla succede. Non mi do per vinta e tento ancora girando la mia carta, ma di nuovo
nulla accade, tento di nuovo cambiando ancora il senso della carta e nulla avviene… disperata spin-
go la maniglia della porta e questa magicamente si apre. Entro e una ragazza che stava al computer
mi dice che stava cercando di dirmi che la porta si apriva normalmente, ma che io non la sentivo e
nemmeno la vedevo presa com’ero dai miei tentativi… figuretta! Poi siamo uscite a fare shopping
e io ho finalmente trovato un regalo per il mio Amore.
Dedico ora un “piccolo” spazio alla descrizione dell’ostello e dei nuovi rumori notturni.
Dunque…all’inizio (quando lo abbiamo prenotato prima di andare alle Aran e ancora non sapeva-
mo come era) eravamo molto entusiaste di questo ostello, ci sembrava di aver di nuovo trovato
i comfort e l’atmosfera del buon vecchio Abbey Court di Dublino, ma già la prima sera ci siamo
dovute ricredere. È vero che si poteva usare la cucina a qualsiasi ora (il che è molto comodo) e
che avevamo il bagno in camerata e non dovevamo uscire nel corridoio per farci una doccia, ma
i dormitori erano mixed e perdipiù degli otto fornelli della cucina solo 3 (a volte 4) funzionavano.
Funzionavano per modo di dire, perché occorrevano delle ore per riscaldare il cibo e se volevi far
bollire l’acqua della pasta potevi anche rinunciarci perché anche aspettando tutto il giorno l’acqua
si sarebbe sì scaldata, ma non avrebbe mai bollito!! Per raggiungere i dormitori poi dovevi attraver-
sare un labirinto che nemmeno Teseo per uccidere il Minotauro aveva dovuto attraversare. E non
parliamo di atmosfera perché non sanno nemmeno dove sta di casa! Il fatto è che questo ostello
è molto grande e di conseguenza piuttosto impersonale. La gente si fa abbastanza gli affari suoi
e chi è già in gruppo sta in gruppo e chi è da solo è diffidente e scansa gli altri, ma noi abbiamo
comunque avuto abbastanza fortuna e abbiamo sempre incontrato delle persone simpatiche e
socievoli nelle camerate.
Un altro dettaglio di questo ostello è la posizione; infatti, si trova in pieno centro, molto como-
do per uscire la sera, ma decisamente insopportabile per chi é sensibile (come me) ai rumori not-
turni e mattinieri. Ovviamente avendo la finestra giusto giusto che si affaccia sul “corso” di Galway
non puoi pretendere di avere silenzio prima delle tre di notte (anche se puoi avere la fortuna di
sentire un violino che ti concilia il sonno), ma uno crede che almeno la mattina, fino ad una cert’ora,
la città dorma silenziosamente. E invece no, lei non dorme e nemmeno te! I rumori sono tra i più
disparati, macchine e camion vari (che non si sa come la mattina possono entrare anche in un’area
pedonale), il vicino che decide di falciare l’erba del giardino alle sei del mattino, ma la cosa più
allucinante e fastidiosa riguarda un lavoro che viene svolto regolarmente tutte le sante mattine…
la sostituzione dei barili di birra. Questa operazione è lunga e mooolto rumorosa e abbiamo avuto
il piacere anche di vedere come si svolge, così da riportarne una fedele descrizione. I vari bar e pub
sono dotati (tutti senza eccezione) di uno scantinato dove vengono tenuti i vari barili di birra, che,
al giorno d’oggi, non sono più del bellissimo, delicato e silenzioso legno, ma dell’infrangibile e ru-
morossissimo metallo. L’operazione comprende tre persone, una nello scantinato, una nella strada
e una sul camion che ritira le botti vuote. La persona nello scantinato prende il primo barile vuoto,
lo scaraventa (e intendo dire scaraventa) dallo scantinato in strada (il che produce un rumore tipo…
butum bum bum tum), la persona in strada afferra il barile e lo tira (e di nuovo intendo dire tira) sul
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camion (il che produce di nuovo un rumore simile al precedente…bum tum tum bum) e infine la per-
sona sul camion posiziona il barile in modo ordinato sul camion (il che praticamente non produce
rumore paragonato ai precedenti). Questa operazione continua senza (ripeto: senza) sosta alcuna
tra un barile e l’altro e fino all’esaurimento dei barili vuoti (il che significa un 50, 60 barili a bar… e
quella via conta circa 20 bar nel giro di 100 metri). Potete quindi facilmente immaginare che non è
fattibile dormire in quell’ostello più di un paio d’ore a notte, a meno di essere uno Snorlax (per chi
non sapesse cosa é uno Snorlax, vi invito a guardare tra i primi pokemon inventati).
Dopo questo aggiornamento proseguo con il racconto. Dunque… dopo lo shopping pomeri-
diano siamo tornate nel nostro dormitorio per prepararci per andare a vedere il famoso spettaco-
lo di musica irlandese. Mentre ci preparavamo abbiamo conosciuto una nuova con-camerata del
New Jersey, piuttosto simpatica, con cui abbiamo fatto due chiacchere prima di andare via. < br />Per lo spettacolo ci siamo messe in due poltrone in primissima fila (praticamente sul palco) ed
é stato magnifico! Hanno suonato sia musiche (quindi reel e roba simile) che canzoni (vale a dire:
ballate) e per giunta sono stati bravissimi! Hanno introdotto ogni pezzo con una breve spiega-
zione e poi lo hanno suonato e, a volte, anche accompagnato da un ballo (tradizionale irlandese)
eseguito da delle ballerine professioniste. I musicisti erano mitici! Simpaticissimi e soprattutto
bravissimi, anche perché ognuno di loro suonava minimo sei strumenti diversi (anche se non con-
temporaneamente, come si può ben capire). Speciale era anche l’atmosfera, probabilmente favo-
rita dalla ridotta grandezza del teatro e dalla quasi inesistente distanza tra il pubblico e i musicisti.
Non sembrava di stare in un teatro ad ascoltare passivamente dei bravi musicisti esibire la propria
arte, ma sembrava di essere in strada o in un pub e di partecipare attivamente all’arte che veniva
creata. Il bello della musica irlandese o comunque della musica folkloristica in generale è che non
è distante da chi l’ascolta, non è irraggiungibile, ma è malleabile, si modifica e si modella sul pub-
blico sfruttando il pubblico e facendolo sentire partecipe, anche se ascolta e basta.
Insomma, lo spettacolo é proprio super!!
Tornate dallo spettacolo (verso le 10.30) abbiamo cenato, poi nanna, ancora ubriache della
buona musica.
La mattina colazione normale e in più full irish breakfast in un bar…abbiamo mangiato troppo,
tanto che io mi sono quasi sentita male e ora sono in camera che leggo e provo a fare un pisolo,
mentre Saray è andata a fare un giretto.
Niente pisolo perché troppi rumori (tanto per cambiare), quindi sono andata in cerca della mia
compagna dispersa, ma non ci siamo incrociate, quindi sono tornata in ostello con un nuovo bel
maglioncino. La “dispersa” l’ho trovata in camera a chiacchierare con la ragazza francese del no-
stro dormitorio, Octavie. Abbiamo fatto due chiacchiere tutt’e tre insieme, scoprendo, tra l’altro,
che lei ha 18 anni e che questo è il suo primo viaggio da sola (ma sola…sola).
Poi io e Saray siamo andate a cucinare la pasta. C’abbiamo messo un’ora (cronometrata) e la
pasta era pure un po’ scotta perché l’acqua ancora non bolliva! Grrrr…
Dopo la pasta ci siamo preparate e siamo uscite con Oktavie e due americani che poi ci hanno
lasciato a metà serata. Abbiamo bevuto una Guinness, poi un Irish coffee e infine un Bayleis, e
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abbiamo ascoltato dell’ottima musica irlandese nell’ultimo bar. Nel primo bar siamo state poco,
poi siamo andate in un secondo bar (che tutti ci avevano detto era super-alla-moda, ma non c’era-
vamo ancora mai state). Non siamo state contente di questo bar perché, prima di tutto ci hanno
chiesto la carta d’identità (anche se non hanno fatto problemi), poi non faceva musica irlandese e
infine perché facevano dei lavori nella zona del balcone alle 10 di sera, cosa che impediva di ascol-
tare bene la musica! E noi che ci lamentiamo dei lavori sulle strade fatti in estate in Italia!
Il terzo bar che abbiamo visitato ci ispirava fin da fuori perché sentivamo una bellissima musica
irlandese provenire dall’interno, ma abbiamo avuto (o per meglio dire, ho avuto) un piccolo intop-
po. Anche a questo pub ci hanno chiesto le carte d’identità. Senza esitare ho tirato fuori la mia e
l’ho mostrata al buttafuori che l’ha esaminata e mi ha guardata in modo sospetto, come per dire
“siamo sicuri che sei tu quella della foto?!”. Nonostante ciò mi ha lasciata passare. Sono rimasta
traumatizzata da quello sguardo malevolo per un buon 10 minuti, anche perché l’ha riservato solo
a me, Saray e Oktavie sono passate senza alcun problema. Vabbè… la musica mi ha risollevata e
abbiamo passato una serata magnifica!
Tornate in camera abbiamo riso un sacco perché Saray ha dormito con la borsa legata al brac-
cio per paura di essere derubata dei suoi averi e abbiamo immaginato di trovarla strangolata nel
suo letto la mattina seguente, abbiamo anche immaginato i titoli dei giornali…roba tipo: “Ragazza
si strangola per proteggere due euro e un cellulare d’epoca!”…povera Saray.
Oggi siamo in treno dirette a Dublino e Oktavie è con noi, anche lei doveva andare a Dublino.
Abbiamo cantato un po’ e abbiamo giocato a carte, a Uno e poi…a merda! Che ridere…c’era tutto il
treno che ci guardava male perché continuavamo a gridare a scuarciagola “MERDA!”, se conoscete
il gioco sapete perché bisogna urlare in quel modo e proprio quella parola… aha aha!
Arrivate a Dublino ci siamo separate dalla nostra nuova compagna dopo aver scambiato indi-
rizzo, poi ci siamo avviate al nostro nuovo ostello. L’ostello è carino, accogliente e pulito, abbiamo
posato gli zaini e siamo andate a fare una super-spesa per risparmiare. Infatti domani mattina si
parte per tornare a casa e visto che saremo in viaggio per un giorno e mezzo ci siamo comprate
pane, formaggio e salumi per evitare di spendere un sacco di soldi alle stazioni e all’aeroporto!
Dopo la spesa siamo tornate in ostello dove ci siamo riposate ed io verso sera ho sistemato l’al-
cool comprato (8 guinness e un whiskey) nello zaino. Questo perché (come chi viaggia molto in
aereo già saprà) il nuovo regolamento aereo non permette di portare liquidi in cabina, quindi ho
dovuto sistemare tutto nello zaino e pregherò affinché arrivino sani e salvi a casa.
Abbiamo cenato in un ristorantino carino, Saray ha preso il lamb stew (tipo zuppa di agnello)
e io una cosa di carne di pollo non meglio identificata; comunque il cibo era buono e alla fine ci
hanno anche regalato una cartolina a testa! Che carini!
Ah, mi sono dimenticata di dire che arrivate alla stazione di Dublino (la mattina) abbiamo chie-
sto del treno per il porto per la mattina seguente (che io avevo visto su internet) e ci hanno
detto che non esisteva (ma come?!) e che dovevamo andare dall’altra parte della città e pren-
dere il tram e poi il pullman (siamo matti?!) o altrimenti prende un taxi che ci conveniva (uhm…
meglio). Siccome però non ci fidavamo dell’omino della station (ricordo di quello di Milano?)
Capitolo IX – I prodotti: narrazioni
99
abbiamo deciso di chiedere ad un tassista la tariffa per andare dal nostro ostello al porto e, già
che c’eravamo, di chiedergli anche se la mattina presto passavano i taxi da quelle parti, o se era
meglio prenotarne uno. Così, camminando lungo una via principale per tornare all’ostello dopo
aver cenato, tenevamo gli occhi aperti per chiedere al primo tassista fermo tutte le informazioni
di cui avevamo bisogno, ma i tassisti sembravano essere svaniti nel nulla. Alla fine vediamo due
taxi fermi e decidiamo di chiedere a loro, io mi affaccio al finestrino per parlare col tassista, ma
nessuno è nella macchina, mi giro per dirlo a Saray e la trovo che chiede a due signori appoggiati al
muro proprio di fronte ai taxi: “Are you the taxi drivers?” e questi annuiscono, sono loro i tassisti.
Rispondono gentilmente e molto volentieri alle nostre domande e alla fine decidiamo che, dalle
loro risposte e da quello che ci ha detto l’omino della stazione, effettivamente ci conviene il taxi.
Tornate all’ostello andiamo di filato a nanna perché ci dobbiamo svegliare l’indomani alle 5.15
(della mattina vorrei sottolineare).
La sveglia suona puntuale e noi ci prepariamo il più silenziosamente possibile per non svegliare
tutto il dormitorio. Scese in strada ci accingiamo a fermare il nostro taxi, ma indovinate un po’? Ma
certo! Non ne è passato uno, o per meglio dire, non se ne é fermato uno! For se la nostra tecnica di
“ferma-taxi” non era D.O.C., o forse i tassisti si spaventavano vedendo i nostri enormi zaini, fatto
sta che c’eravamo ormai arrese all’idea di andare alla stazione a piedi e da lì prendere il tram e poi
il pullman. Quindi ci siamo avviate verso la stazione, ma finalmente la nostra buona stella si é fatta
nuovamente viva (come sempre quando siamo nei guai devo dire…) e un taxi mandato dagli Dei
è venuto in nostro soccorso e ci ha portate sane e salve (il che è tutto dire visto come guidano i
dublinesi, i romani in confronto sono dei grandi osservatori del codice della strada) al porto, dove
siamo ora. Assonnate aspettiamo il check-in.
Arrivate sane e salve a Holyhead (dopo un viaggio in un traghetto lussuoso) dove abbiamo
recuperato gli zaini (dovevamo fagli fare il check-in come in aeroporto) sani e salvi pure loro.
Abbiamo guardato per un treno per Crewe e, visto che dovevamo aspettare un’ora e mezzo, ab-
biamo deciso di prendere un cappuccino (da 1/2 litro! E non scherzo, c’era scritto sul bicchiere di
carta!) che Saray ha dovuto pagare con 50 €, ricevendo il resto in sterline, povera! Mentre sorseg-
giavamo il nostro cappuccino si sono presentate ai nostri occhi mostruose visioni! Una famiglia,
composta da 5 bambine, due bambini (o forse 3, non era proprio evidente) e la madre, dai vestiti
un po’ insoliti (leggi: assolutamente ridicoli). La madre vestita da battona (senza offesa, ma proprio
da zoccola era vestita!), la figlia più grande (13 anni) con top, jeans corti, stivali con la punta, tacchi
abbastanza alti e pitonati e i capelli tirati in sù con dei bigodini. La seconda in pigiama, con stivali
neri scamosciati con la zeppa e bigodini pure lei. Altre due in camicia da notte, scarpette lucide e
bigodini. Gli altri membri della famiglia erano vestiti in modo guardabile (leggi: non completamen-
te assurdo e ridicolo). Ci siamo sentite super-alla-moda dopo questo spettacolo stravagante. Ah…
oltretutto la figlia più grande l’abbiamo vista dopo andare scalza in bagno (immaginate le condi-
zioni igieniche del bagno pubblico di un porto…un party di germi e funghi)!!
Bah… abbiamo preso il treno per Crewe e abbiamo beccato la coincidenza (in ritardo di
mezz’ora) per poi arrivare a Bournemouth. Arrivate alla stazione cerchiamo un bus che ci porti
all’aeroporto, ma non ce ne sono (ah, alle dieci di sera circa), quindi becchiamo un taxi, il tassista è
100
gentile e non spendiamo molto. Arriviamo poco prima delle undici all’aeroporto. Tutte contente
di essere finalmente a destinazione (o per lo meno alla nostra prima tappa), varchiamo la soglia del
terminal parlando della fortuna che avevamo avuto e del fatto che ora ci aspettava solo una notte
in aeroporto (non troppo comoda, ma almeno al sicuro e all’asciutto) e poi saremmo finalmente
giunte a casa. Ma eravamo ignare della sorpresa che ci attendeva… mentre ci avviamo all’unica
panchina e già ci rallegriamo di avere compagnia (due ragazze, che poi scopriamo essere neoze-
landesi, e una coppia francese) da lontano sentiamo un addetto del terminal comunicare alle due
giovani neozelandesi che l’aeroporto chiude (eh?! Ma da quando?! Non è possibile! È uno scherzo,
vero?!). Ma ovviamente non era uno scherzo e allora dove andiamo? Beh, per ora restiamo dove
siamo, visto che chiude a mezzanotte, o se siamo fortunati anche mezz’ora dopo, poi o ce ne an-
diamo al freddo fino alle 3 del mattino, o ci nascondiamo nel bagno e speriamo non ci trovino. La
seconda opzione ci tenta da morire, anche perché fuori il tempo non è esattamente sereno, anzi
forse ci aspetta un diluvio universale! E poi un gruppo di ragazze fuori dall’aeroporto in una zona
desolata come questa può essere una preda molto buona (e non sto pensando a lupi o orsi, anche
se anche loro potrebbero essere un problema). Che gli Dei ci assistano!
Per fortuna gli Dei ci hanno assistito e, con nostra grande gioia, l’ultimo aereo è arrivato con
quasi un’ora di ritardo, quindi ci hanno buttati fuori verso l’una di notte. Abbiamo dormito (si fa per
dire) due ore fuori al freddo. Era una scena da vedere! Quattro ragazze sdraiate per terra proprio
davanti alla porta del terminal, usando come materasso il mio sacco a pelo e come coperta quello
di Saray (le due neozelandesi non erano munite di sacchi a pelo). Stavamo sdraiate vicine vicine
sia per scaldarci che per riuscire ad entrare nella superficie coperta dal sacco a pelo. Come se non
bastasse passavano un po’ di macchine e taxi che rallentavano proprio davanti a noi per osservarci
ben bene… forse volevano assicurarsi che ciò che vedevano fosse vero. Ad un certo punto è anche
passata la macchina della polizia e c’è venuto il dubbio che fosse illegale stare sdraiate così, ma,
per fortuna, non ci hanno detto nulla. Noi invece un po’ per la paura di altre macchine della polizia,
un po’ per l’agitazione di essere fuori e un po’ anche per il freddo, non riuscendo a dormire, alla
fine ci siamo messe a giocare a Uno tutte insieme. Alle 3 o poco più hanno riaperto il terminal e ci
siamo fiondate dentro a nanna. Alle 5 siamo state svegliate dalla gente del primo volo e dopo una
cioccolata calda e dei cookies, va meglio… e ora aspettiamo (tanto per cambiare).
L’attesa è stata snervante, ma alla fine abbiamo fatto il check-in. Eravamo (Io e Saray) tanto pre-
occupate di superare con i nostri zaini enormi il peso massimo consentito (15 kg con la Ryanair), ma
i nostri zaini pesavano nemmeno 14 kg, yessss…anke se li avevamo svuotati un po’ prima del check
in. Poi abbiamo passato il controllo, a me hanno fatto togliere le scarpe (poveretta la gente attorno,
sono morti soffocati) e dopo mi hanno anche fatto svuotare la borsa. A Saray che portava la nostra
borsa con la spesa hanno fatto buttare il formaggio e i salumi, ma le hanno fatto tenere il pane e i
cookies (e con che lo mangio il pane?)… mah, chissà perché. Ora aspettiamo di essere imbarcate.
Volo tutto ok, anche se siamo atterrate con una mezz’ora di ritardo, ma i bagagli sono arrivati
subito e, per fortuna, sani e salvi!! Yesss… meno male! Poi treno fino Pisa Centrale e da lì Intercity
Plus fino a Grosseto, dove abbiamo trovato Ele (la mia sorellona). Alle sei e mezza eravamo a
Grosseto e alle sette a casa… adesso il nostro viaggio può dirsi definitivamente concluso.
101
aPPendICe
I progetti di formazione per i volontari
dell’associazione l’altra Città
Anna Lisa Fumi
L’Associazione L’Altra Città è nata con lo scopo di affermare un’idea di volontariato orga-
nizzato come strumento per rendere le persone – i volontari e gli utenti dei servizi – capaci di
individuare i propri obiettivi e di reperire le risorse per raggiungerli. La formazione e l’orienta-
mento sono fin da principio lo strumento principale della sua azione culturale. In questi ultimi
anni, grazie allo stimolo del Cesvot, l’associazione ha avuto modo di progettare, coordinare
e gestire numerosi progetti di formazione per volontari, ed anche progetti di innovazione
sociale. L’associazione progetta per sé e per i suoi soci (ma anche per altre associazioni con
cui si condivono vision e mission), mettendo loro a disposizione strumenti, metodi e risorse
umane qualificate, relazioni per la costruzione di partnership e cofinanziamenti.
Di seguito si fornisce un elenco ragionato dei progetti realizzati direttamente o indiretta-
mente per il Cesvot.
La nascita delle organizzazioni socie
Coop
Solidarieta
è crescita
Aris
1998
1996
La strada
1994
Aise
1994
Coop
PortAperta
2002 2006
Coop
PortAperta
2006
L’Altra città
Nel mondo
2007
Ceis
1987
Querce
di Mamre
2006
Fondazione
l’Altra Città
2005
Avvocati
per niente
2008
Agape
2007
L’Altra
Città
1996
Temporali
102
Associazione on the road
Le Querce PasseggIate PsICogeografIChe e
di Mamre maPPe dI ComunItà
Marzo-Aprile 2008
descrizione del corso
La povertà così come la conosciamo è un prodotto dell’economia produttivistica, ovvero
del sistema economico che insieme ai beni e servizi di massa, produce scarsità. I poveri sono
coloro che non hanno mezzi di contrasto, perché l’unico mezzo risolutivo è di tipo culturale:
la capacità di scindere la nozione di necessario da quella di eccedente. Per questa via defi-
nire la povertà è un esercizio più complesso che attiene al grado di sviluppo delle capacità
individuali (empowerment). Certamente la povertà ha un contenuto oggettivo quando nega
l’accesso ai beni che garantiscono la piena espressione di sé e l’autonomia (materiale e rela-
zionale). Ma la povertà ha anche una dimensione comunitaria; è la carenza di reti di supporto
e di legami di fiducia; la dissipazione del capitale sociale.
finalità e obiettivi
La finalità del progetto è formare volontari capaci di leggere i fenomeni della povertà
– nell’accezione precedente – attraverso l’analisi della struttura della città, dei sistemi di con-
vivenza, percorrendo le strade fisiche e metaforiche dei quartieri urbani. In questo modo si
intende offrire alle organizzazioni di volontariato persone capaci di interpretare la città e
intervenire, proporre progetti e azioni di animazione socio-culturale. L’approccio scelto è
quello dell’empowerment individuale e di comunità. A partire dallo sviluppo di capacità nar-
rative e di scrittura, il racconto della città è uno strumento di cambiamento che, nel tempo,
genera una nuova identità di sé (come volontari) e della comunità
metodologie adottate
– Seminari
– Lezioni in aula
– Esercitazioni
– Laboratori
– Lavoro di gruppo
– Passeggiate psicogeografice e passeggiate di quartiere 
tipologia dei destinatari dell’attività
I destinatari del progetto sono 30 persone che operano o intendono operare nel settore
del volontariato. Volontari che hanno già approfondito una formazione sulla relazione di
aiuto e nuovi volontari che potranno migliorare la loro abilità di comunicazione. Il corso è
consigliato ai responsabili delle associazioni.
Appendice – I progetti di formazione per i volontari dell’associazione L’Altra Città
103
Ceis Centro
dIVersItà & IntegrazIone
Solidarietà
Marzo-Aprile 2008
di Grosseto
descrizione del corso
Il progetto è destinato ai volontari degli enti ausiliari del territorio regionale che svolgono
attività di volontariato nel sociale.  Nasce come risposta alla caratteristica di multietnicità
che sta delineando le nostre società moderne: sempre più numerosi sono i migranti che si af-
facciano al nostro mondo in cerca di migliori condizioni di vita  e sempre più le organizzazioni
stesse si trovano a fronteggiare nuove situazioni e nuove emergenze
La risposta che il progetto intende offrire va nella formazione di persone che già operano 
come volontari nel settore del sociale o che hanno intenzione di svolgere una simile attività,
per prepararle in modo specifico a svolgere l’attività di volontariato nelle associazioni che si
occupano prevalentemente di immigrazione.
Il progetto si articola su quattro fasi formative, dove ciascun corsista potrà apprendere
le conoscenze relative alle tematiche affrontate e sperimentarle, attraverso un tirocinio for-
mativo presso un’associazione locale che si occupa di immigrazione e partecipazione ad una
manifestazione, religiosa o civile, di una comunità di immigrati.
finalità e obiettivi
Il progetto è destinato ai volontari degli enti ausiliari del territorio regionale che svolgono
attività di volontariato nel sociale. Nasce come risposta alla caratteristica di multietnicità
che sta delineando le nostre società moderne: sempre più numerosi sono i migranti che si
affacciano al nostro mondo in cercar di migliori condizioni di vita  e sempre più le organizza-
zioni stesse si trovano a fronteggiare nuove situazioni e nuove emergenze.
La risposta che il progetto intende offrire va nella formazione di persone che già operano 
come volontari nel settore del sociale o che hanno intenzione di svolgere una simile attività,
per prepararle in modo specifico a svolgere l’attività di volontariato nelle associazioni che si
occupano prevalentemente di immigrazione.
metodologie adottate
– Lezioni in aula
– Esercitazioni
– Laboratori
– Lavoro di gruppo
tipologia dei destinatari dell’attività
Il progetto è destinato ai volontari del territorio regionale che già operano o hanno inten-
zione di operare in associazioni che si occupano di immigrazione.
104
Associazione 
Grossetana Genitori amICIzIa e dIntornI
Bambini Portatori Febbraio 2008
di Handicap
descrizione del corso
L’ ideazione del progetto è nata dalla frequente domanda dei volontari e genitori di ragaz-
zi diversamente abili sul come comportarsi in occasioni di manifestazioni e desideri riguar-
danti la sfera delle interazioni interpersonali compresa la sfera sessuale, che è un argomento
spesso sottovalutato e poco preso in considerazione, e che può creare disagio nelle persone
che interagiscono con i ragazzi diversamente abili e di conseguenza creando disagio anche
ai soggetti stessi, per la mancata inadeguatezza della “risposta” che un operatore può dare
al riguardo. Questo progetto ha le intenzioni di sopperire a tale inadeguatezza fornendo gli
strumenti ai volontari per capire i bisogni dei ragazzi e dare una risposta adeguata.
finalità e obiettivi
Il progetto intende formare il volontario nella teoria e nella pratica dell’aiuto potenzian-
done le capacità di relazione e comunicazione finalizzate alla comprensione dei bisogni delle
persone disabili nel vivere rapporti interpersonali in tutte le realtà, compresa la sfera sessuale
nel modo più naturale possibile.
metodologie adottate
– Seminari
– Lezioni in aula
– Lavoro di gruppo
– Circle time
tipologia dei destinatari dell’attività
I destinatari del progetto sono 25/30 persone che operano o intendono operare nel set-
tore del volontariato con ragazzi disabili. Volontari che hanno già approfondito una forma-
zione sulla relazione d’aiuto. Nuovi volontari che potranno migliorare la loro abilità di comu-
nicazione, responsabili di associazioni.
Appendice – I progetti di formazione per i volontari dell’associazione L’Altra Città
105 Associazione VolontarI In CerCa d’autore
L’Altra Città Ottobre-Novembre 2008
descrizione del corso
Il progetto si propone di rafforzare le capacità dei volontari di operare come animatori
in contesti quali comunità (case famiglia), centri giovanili, case di riposo, scuole. Il bisogno
manifestato dai volontari è quello di accrescere le competenze e le modalità con le quali si
avvicinano e si relazionano all’utenza, attraverso tecniche teatrali e narrative (psicodramma,
scrittura creativa, musica).
finalità e obiettivi
La finalità del progetto è aumentare la capacità degli operatori volontari di stringere rela-
zioni significative con gli utenti con i quali lavorano e allo stesso tempo  ricevere una maggio-
re soddisfazione rispetto alla propria attività di volontariato e al proprio ruolo. Un secondo
risultato atteso, indiretto, è la soddisfazione dell’utenza finale.
metodologie adottate
– Seminari
– Lezioni in aula
– Lavoro di gruppo
– Circle time
– Role playing
– Esercitazioni dimostrative o analogiche
tipologia dei destinatari dell’attività
Destinatari del progetto formativo sono 25 volontari già attivi o che intendono operare
nelle organizzazioni di volontariato e i responsabili delle associazioni: l’obiettivo della parte-
cipazione è l’aumento della consapevolezza del proprio ruolo come volontari e delle proprie
risorse personali da mettere in gioco e l’acquisizione di nuove tecniche da sviluppare nelle
attività delle associazioni.
106 InformazIone e orIentamento
Associazione
a soggettI sVantaggIatI
L’Altra Città
Marzo-Aprile 2007
descrizione del corso
Il progetto intende formare un gruppo di 15 volontari che operano o intendono operare in
attività di primo contatto presso sportelli di accoglienza e orientamento per immigrati, poveri,
senza fissa dimora, donne, portatori di handicap e in generale soggetti svantaggiati. In parti-
colare, attraverso un’azione formativa a carattere intensivo articolata su sei intere giornate di
lavoro, si propone di aumentare la capacità dei volontari di essere orientatori, ovvero di essere
in grado di attivare relazioni d’aiuto e offrire informazioni complete a persone in difficoltà.
Il percorso formativo, vista la novità e la complessità degli argomenti trattati, è struttura-
to in maniera da integrare la parte di aula con lo studio individuale e l’assistenza con strumen-
ti di Fad; si avvale, inoltre, dell’utilizzo di manuali prodotti dallo stesso soggetto proponente
e dai partner.
L’azione formativa si propone di raggiungere i seguenti risultati:
– maggiore efficacia degli sportelli di accoglienza (aumento dei contatti e della loro qualità)
– riduzione del burn out dei volontari e miglioramento delle loro condizioni lavorative
– incremento della capacità di monitoraggio e valutazione dei servizi di sportello da parte
delle organizzazioni e dei singoli volontari
– incremento delle capacità progettuali del volontariato.
finalità e obiettivi
a) incremento di conoscenze, competenze e attitudini professionali delle risorse umane da
impiegare nelle attività di primo contatto (informazione e orientamento)
b) incremento conoscenze e competenze specifiche dei volontari nelle seguenti aree:
– relazione d’aiuto e ascolto attivo
– lavoro di rete
– legislazione e servizi per soggetti svantaggiati (immigrati, senza fissa dimora, poveri,
donne straniere ecc.)
– tecniche di ricerca attiva del lavoro
– strumenti per la partecipazione
– metodologie qualitative per la rilevazione dei fabbisogni e l’analisi del contesto
metodologie adottate
– Seminario
– Lezione in aula
– Esercitazione
Appendice – I progetti di formazione per i volontari dell’associazione L’Altra Città
107
– Fad
– Lavoro di gruppo
– Lezione partecipata
tipologia dei destinatari dell’attività
I destinatari del progetto sono 15 volontari con esperienza nella relazione d’aiuto o già
attivi presso sportelli, oppure nuovi volontari che provengono da esperienze lavorative ana-
loghe (centri per l’impiego, consultori) e che intendono impegnarsi in attività di volontariato.
È richiesta una competenza informatica di base per l’accesso all’area Fad.
108
temPo lIbero ragazzI
Associazione aggiornamento per animatore
Tempo.Ra.Li. Volontario socio-culturale
Marzo-Aprile 2007
descrizione del corso
L’iniziativa che si prevede di realizzare mira a favorire l’incontro tra soggetti di diversa età
agendo sulla comunicazione. I volontari dell’associazione avvertono il bisogno di poter entra-
re in relazione diretta con gli adolescenti con l’ausilio di metodi e tecniche capaci di aggirare
gli ostacoli spesso frapposti ad una relazione franca.
finalità e obiettivi
La finalità è quella di fornire strumenti per una maggiore capacità di “presa” degli opera-
tori volontari sugli adolescenti con i quali essi lavorano e dunque una maggiore soddisfazione
rispetto alla propria attività di volontariato (raggiungimento degli obiettivi) Ci si attendono
anche risultati monitorabili nella soddisfazione dell’utenza finale indiretta (adolescenti), veri-
ficabile attraverso il loro diretto coinvolgimento nelle attività che gli operatori volontari pro-
porranno loro a conclusione del proprio percorso di aggiornamento. Obiettivi possono essere
anche rubricati come segue, in ordine ad una maggiore professionalizzazione degli operatori
volontari con ricadute anche sulle proprie attività lavorative oltre che su quelle volontarie:
– comprensione della personalità dei ragazzi
– assistenza dei ragazzi durante il loro sviluppo
– impostazione della linea educativa rispondente ai bisogni
– organizzazione dell’animazione educativa in vista della crescita armoniosa della personalità
– organizzazione delle attività della vita giornaliera della comunità e dei singoli minori
– organizzazione dei momenti di animazione della vita della comunità e dei singoli ospiti
con applicazione di tecniche varie
– rapporti interpersonali a monte e a valle e con i livelli di responsabilità 
– possibilità offerta ai corsisti di acquisire competenze in ordine all’applicazione di meto-
dologie e procedure di programmazione dell’offerta di servizi di animazione.
metodologie adottate
– Lezioni in aula
– Esercitazioni
– Lavori di gruppo
tipologia dei destinatari dell’attività
Volontari attivi o aspiranti volontari nel settore dell’animazione socioculturale, dell’edu-
cazione e dell’orientamento rivolti ad adolescenti.
Appendice – I progetti di formazione per i volontari dell’associazione L’Altra Città
109
Ceis Centro altro turIsmo
Solidarietà Viaggio, responsabili, viaggiatori solidali
di Grosseto Settembre-Ottobre 2008
descrizione del corso
Molte associazioni del territorio provinciale di Grosseto hanno avviato esperienze e colla-
borazioni con paesi in via di sviluppo. Si tratta di esperienze coinvolgenti, sia per i volontari più
attivi, sia per persone vicine al mondo del volontariato che in questo modo possono essere rese
partecipi delle finalità e dei metodi di lavoro delle associazioni di volontariato. A Grosseto, ad
esempio, le iniziative di solidarietà internazionale organizzate dal Ceis nelle missioni in Bolivia
e in India hanno avuto un notevole successo (oltre settanta persone coinvolte) e ampliato il
numero dei volontari che oggi sono impegnati con l’associazione. L’obiettivo dell’iniziativa
formativa è quello di creare figure intermedie tra le associazioni che operano in altri contesti
e le persone che intendono aderire ad esperienze di volontariato internazionale; queste figure
avranno compiti di supporto alle associazioni, provvedendo ad organizzare viaggi caratterizza-
ti dal presupposto e dal fine della solidarietà, dell’aiuto alle popolazioni locali anche attraver-
so lo sviluppo di microattività economiche e di crescita personale dei volontari.
Tali obiettivi saranno raggiunti attraverso un percorso formativo articolato in sei giornate. Si
intende in questo modo disporre di un numero di persone che siano capaci di trasformare le at-
tività all’estero delle organi zzazioni di volontariato in percorsi di crescita per nuovi volontari e
in occasioni di sviluppo micro-attività economiche per le popolazioni locali che li accolgono.
finalità e obiettivi
Lo scopo del progetto è garantire le competenze necessarie a raccogliere le occasioni di
viaggi solidali al seguito delle organizzazioni di volontariato e trasformarle in offerta struttura-
ta per tutti coloro che vogliono fare occasionali esperienze di volontariato nei paesi poveri.
Le persone formate dovranno essere in grado di conoscere la rete locale di volontariato
nelle delegazioni in cui operano e il quadro delle attività all’estero delle organizzazioni; do-
vranno individuare con i responsabili delle organizzazioni di volontariato quali sono gli spazi
per offrire ad altre persone la possibilità di seguire i volontari e partecipare al lavoro, quali
sono i possibili contatti con le aree di destinazione che possono garantire i servizi minimi di
accoglienza e predisporre un piano personalizzato per ogni viaggiatore.
Il piano personalizzato dovrà prevedere: le informazioni socio-culturali sui luoghi di de-
stinazione, la preparazione burocratica e culturale del viaggio, i compiti che potranno essere
svolti una volta arrivati a destinazione, , la capacità di comunicare attraverso racconti e note
di viaggio le esperienze vissute.
Nel medio periodo il risultato atteso è la crescita del numero di volontari internazionali.
metodologie adottate
– Lezioni in aula
110
– Videoconferenza
– Esercitazioni
– Laboratori
– Lavoro di gruppo
tipologia dei destinatari dell’attività
Volontari che si occupano di progetti internazionali, persone che hanno fatto esperienze
di campi internazionali, giovani che non hanno nessuna esperienza di volontariato.
Appendice – I progetti di formazione per i volontari dell’associazione L’Altra Città
111
Associazione ConosCersI Per glI altrI
La Strada Ottobre 2005 – Gennaio 2008
descrizione del corso
Il corso è concepito per volontari che sono stati già oggetto di qualche momento forma-
tivo e che intendono approfondire finalità e caratteristiche della relazione d’aiuto, miglio-
rando le loro abilità di comunicazione e la capacità di porsi nella relazione. Aiutare l’altro
significa anche conoscersi per l’altro; per questo il corso propone un’esplorazione su di sé e
sulle motivazioni al volontariato nella convinzione che si tratti di requisiti che arricchiscono
la capacità di dare aiuto.
Il progetto intende approfondire significati e finalità della relazione d’aiuto nel volonta-
riato facendo riferimento alle teorie psicologiche sul counseling, l’attività che scaturisce da
un contesto in cui una persona richiede o ha bisogno dell’aiuto di qualcuno per gestire una
situazione personale problematica.
finalità e obiettivi
Il progetto intende:
– formare il volontario nella teoria e nella pratica dell’aiuto potenziandone le capacità di
relazione e di comunicazione introducendolo alle abilità dell’ascolto empatico, della ri-
formulazione e della confrontazione.
– stimolare un percorso di crescita di consapevolezza sul sé e sulle motivazioni al volonta-
riato: il processo di autoriconoscimento delle implicazioni personali all’altruismo rende
più partecipe il volontario della dimensione interpersonale della relazione d’aiuto e pre-
viene il rischio di crolli psicologici da sindrome del burn-out.
metodologie adottate
– Lezioni in aula
– Esercitazioni individuali e di gruppo
– Laboratori
– Circle time
tipologia dei destinatari dell’attività
I destinatari del progetto sono persone che operano o intendono operare nel settore del
volontariato. Volontari che hanno già approfondito una formazione sulla relazione di aiuto e
nuovi volontari che potranno migliorare la loro abilità di comunicazione. Il corso è consiglia-
to ai responsabili delle associazioni.
112
Aise Associazione strumentI dI ParteCIPazIone
Insegnanti VolontarIato e PromozIone
Solidarietà deI dIrIttI dI CIttadInanza
Educativa Ottobre-Novembre 2005
descrizione del corso
Tra le finalità di qualsiasi tipo di volontariato dovrebbe essere presente con evidenza la pro-
mozione dei diritti di cittadinanza e della partecipazione dei cittadini alla vita sociale e politica. Il
volontariato, attraverso la pratica del dono, rende protagonisti delle proprie azioni e attraverso la
progettazione e l’attuazione di interventi “dal basso” riesce spesso ad incidere concretamente nel
tessuto sociale, agevolando la crescita della fiducia e quindi facendosi promotore di sviluppo.
Lo studio e l’apprendimento di strumenti per la partecipazione – un insieme di tecniche e
metodologie di progettazione, di ricerca e di azione provenienti da differenti ambiti discipli-
nari: dall’urbanistica alla psicoterapia – diventa fondamentale al raggiungimento delle finalità
suddette, che si possono perseguire sia continuando ad agire sugli individui (empowerment
dei soggetti) sia intervenendo sulle comunità (empowerment delle comunità), attraverso
azioni più innovative e complesse.
Il corso intende fornire ai partecipanti informazioni e competenze specifiche relativa-
mente ai principali strumenti di partecipazione per l’empowerment dei soggetti: brainstor-
ming, ascolto attivo, studio di casi, focus group, lavoro di gruppo e giochi di partecipazione;
e delle comunità: outreach e progettazione partecipata, european awareness scenario group,
giochi ed esercizi per la partecipazione, analisi di comunità.
Particolare attenzione sarà dedicata ai Circoli di studio intesi come strumenti per attivare
la partecipazione dei cittadini.
finalità e obiettivi
Si va diffondendo sempre più l’idea che i volontari debbano progettare e attuare i loro in-
terventi di prevenzione e aiuto “dal basso”, allo scopo di incidere concretamente sul disagio
che si intende risolvere. È difficile tradurre questo concetto in azioni concrete senza disporre
di adeguati e sperimentati strumenti. Si diffonde quindi il bisogno, specie nelle organizzazioni
più strutturate, di utilizzare questi strumenti di progettazione e intervento “dal basso”; così
come è diffuso il bisogno di comprendere meglio e quindi di “protocollare” alcune metodo-
logie che i volontari usano normalmente nella loro azione quotidiana senza tuttavia averle
mai analizzate e standardizzate.
Le associazioni, inoltre, manifestano il bisogno di radicarsi nel territorio attraverso la cre-
azione di legami stabili e attraverso l’espansione del numero dei volontari.
Lo scopo del progetto è incrementare la capacità di radicamento sul territorio e di coin-
volgimento dei cittadini attraverso l’utilizzo di strumenti di partecipazione.
Ci si attende una maggiore capacità di presa delle organizzazioni e dei singoli volontari
sul territorio.
Appendice – I progetti di formazione per i volontari dell’associazione L’Altra Città
113
Ci si attendono una maggiore capacità di coinvolgimento e di co-progettazione delle as-
sociazioni e degli enti locali.
Ci si attendono miglioramenti anche in ordine alle seguenti competenze ed abilità dei
volontari:
– comprensione delle dinamiche sociali di un territorio
– comprensione dei meccanismi di partecipazione e delle relative tecniche per attivarli
– capacità di coinvolgimento dei volontari e degli utenti fin dalle fasi di analisi del fabbiso-
gno e di progettazione
– capacità di risoluzione di situazione difficili.
Gli strumenti di partecipazione vengono sperimentat i da diversi anni in varie discipline
(urbanistica, sociologia, ecc.) e ambiti territoriali, normalmente da parte di strutture di ricerca
o enti locali. Con questa iniziativa si intende per la prima volta:
– dare un quadro sistematico degli strumenti di partecipazione intesi come strumenti di
empowerment dei soggetti e delle comunità;
– mettere le associazioni di volontariato in grado di utilizzare attivamente questi strumenti,
al pari delle università e degli enti locali, quindi di sperimentare nuove soluzioni proget-
tuali e protocollare le pratiche già in essere.
I contenuti del progetto affondano le radici nelle ricerche svolte dall’associazione L’Altra
Città (di cui Aise è socio fondatore) in collaborazione con l’associazione Pratika, le quali han-
no redatto un volume sugli strumenti di partecipazione (casa editrice Erickson).
metodologie adottate
– Lezioni in aula
– Esercitazioni
– Laboratori
– Lavoro di gruppo
tipologia dei destinatari dell’attività
Volontari attivi in interventi prosociali e di animazione socio-culturale del territorio (max 15).
114
sCrIVere Per ComunICare
Associazione Corso dI sCrIttura Per 
L’Altra Città una narrazIone Corretta
e resPonsabIle deI VolontarI
Maggio-Luglio 2005
descrizione del corso
La crescita della persona e delle comunità passa dall’uso della parola, dalla condivisione
dei significati che gli uomini e le donne, attraverso la lingua, attribuiscono al mondo. Per rac-
contarsi, per costruire la propria identità in relazione agli altri è necessario dominare alcune
fondamentali competenze linguistiche, senza le quali si innescano spesso quei processi di per-
dita di autostima che conducono all’isolamento, all’abbandono del dialogo con l’altro. La ca-
pacità di ascolto e di comunicazione dipende necessariamente dalle competenze linguistiche,
il cui incremento contribuisce notevolmente all’empowerment dei soggetti e delle comunità.
Per le organizzazioni di volontariato l’uso della parola scritta ha inoltre un forte valore
istituzionale, in quanto è attraverso la scrittura e quindi la narrazione delle proprie esperien-
ze passate (curriculum dell’organizzazione, relazioni e rendicontazione delle attività svolte),
presenti (corrispondenza con le altre organizzazioni, verbalizzazioni delle assemblee) e future
(progetti) che esse si relazionano con gli enti pubblici e con gli altri soggetti del territorio, ai
quali devono rendere conto del loro operato e della loro mission.
Il percorso formativo che si propone intende attivare le risorse dei partecipanti attraver-
so la creazione di un gruppo di scrittura e lettura creativa, per poi lavorare specificamente sul
miglioramento delle capacità di scrittura, sull’autovalutazione e sulla risoluzione di specifici
problemi in relazione alle situazioni comunicative e ai tipi testuali.
finalità e obiettivi
Il percorso formativo si propone di sviluppare le capacità relazionali dei volontari a parti-
re dalla crescita dell’autostima e di migliorare le capacità organizzative attraverso lo sviluppo
della capacità di comunicare e narrare (quindi rendicontare) la propria attività.
Obiettivi:
– far crescere l’autostima e le motivazioni:
– superare le inibizioni nei confronti della scrittura;
– rinforzare le abilità di ricezione e produzione di testi scritti;
– sviluppare la consapevolezza di sé in relazione agli altri;
– incoraggiare e preparare i volontari al lavoro di gruppo;
– conoscere e saper utilizzare i principali strumenti di comunicazione;
– conoscere saper utilizzare i principali tipi testuali utilizzati all’interno delle associazioni
(lettera, verbale, comunicato, relazione).
Appendice – I progetti di formazione per i volontari dell’associazione L’Altra Città
115
metodologie adottate
– Lezioni in aula
– Laboratori di scrittura e lettura creativa di gruppo
– Simulazioni
– Laboratori di informatica
tipologia dei destinatari dell’attività
Volontari attivi all’interno di organizzazioni e associazioni.
116
ho Così tante storIe
Associazione aggiornamento per volontario
L’Altra Città socio-culturale
Gennaio-Febbraio 2005
descrizione del corso
Il progetto si propone di rafforzare le competenze di approccio e di relazione di ani-
matori volontari che operano in contesti quali: comunità (case famiglia), in strutture degli
enti locali (centri giovanili) o parrocchie. Essi avvertono l’esigenza di rafforzare non soltanto
alcune competenze specifiche, ma soprattutto le modalità con le quali si avvicinano e si re-
lazionano agli adolescenti. In virtù di questo si è pensato di impostare un percorso formativo
centrato sulla metodologia narrativa servendosi di professionisti della rete di Pratika che ha
ideato e fondato già da anni questo approccio, perfezionandolo poi nell’approccio con le
differenti utenze. Il percorso formativo intende dunque operare per fornire una metodologia
completa che poi si declini e possa essere piegata alle dinamiche affettive, sociali, di crescita,
interpersonali degli adolescenti incontrati (cfr. almeno: Batini, Zaccaria, Per un orientamento
narrativo, Angeli, 2002; idem, Foto dal Futuro, Zona, 2002).
finalità e obiettivi
La finalità è quella di fornire strumenti per una maggiore capacità di “presa” degli opera-
tori volontari sugli adolescenti con i quali essi lavorano e dunque una maggiore soddisfazione
rispetto alla propria attività di volontariato (raggiungimento degli obiettivi).
Ci si attendono anche risultati monitorabili nella soddisfazione dell’utenza finale indiretta
(adolescenti), verificabile attraverso il loro diretto coinvolgimento nelle attività che gli ope-
ratori volontari proporranno loro a conclusione del proprio percorso di aggiornamento.
Obiettivi possono essere anche rubricati come segue, in ordine ad una maggiore profes-
sionalizzazione degli operatori volontari con ricadute anche sulle proprie attività lavorative
oltre che su quelle volontarie:
– comprensione della personalità dei ragazzi
– assistenza dei ragazzi durante il loro sviluppo
– impostazione della linea educativa rispondente ai bisogni
– organizzazione dell’animazione educativa in vista della crescita armoniosa della persona-
lità
– organizzazione delle attività della vita giornaliera della comunità e dei singoli minori
– organizzazione dei momenti di animazione della vita della comunità e dei singoli ospiti
con applicazione di tecniche varie
– rapporti interpersonali a monte e a valle e con i livelli di responsabilità 
– possibilità offerta ai corsisti di acquisire competenze in ordine all’applicazione di meto-
dologie e procedure di programmazione dell’offerta di servizi di animazione.
Appendice – I progetti di formazione per i volontari dell’associazione L’Altra Città
117
metodologie adottate
– Metodi narrativi e partecipativi
– Role play
– Case history
– Brainstorming
tipologia dei destinatari dell’attività
Volontari che operano in contesti di parrocchie, centri di accoglienza (di enti locali), case
famiglia.
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Aise Associazione natI Per leggere
Insegnanti animazione e promozione
Solidarietà della lettura
Educativa Ottobre-Dicembre 2004
descrizione del progetto
La stimolazione e il senso di protezione che genera nel bambino il sentirsi accanto un
adulto che racconta storie già dal primo anno di vita e condivide il piacere del racconto è
impareggiabile. Il beneficio che il bambino trae dalla lettura a voce alta, operata in famiglia
in età prescolare, è documentato da molti studi; favorisce il successo scolastico in quanto i
bambini iniziano a confrontarsi con il linguaggio scritto attraverso il quotidiano contatto con
la lettura mediato dai loro genitori.
La qualità di queste esperienze precoci influisce sul loro linguaggio e sulla capacità di
comprendere la lettura di un testo scritto all’ingresso a scuola. L’incapacità di leggere a scuo-
la è causa di disagio che porta a frustrazione e riduzione dell’autostima e può contribuire ad
aumentare il rischio di abbandono scolastico.
finalità e obiettivi
Il progetto Nati per leggere si propone di formare, attraverso attività seminariali, circoli
di studio e di autoapprendimento, project work condotti all’interno di strutture per l’infanzia,
volontari che siano in grado di promuovere presso i genitori e praticare direttamente con
efficacia la lettura ai bambini di età compresa tra 0 e 11 anni.
metodologia
– Seminario
– Lezioni in aula
– Lavoro di gruppo
– Project work mirati alla realizzazione di prodotti formativi e informativi (quaderni didat-
tici, supporti audio, materiali per la sensibilizzazione)
tipologia dei destinatari dell’attività
Volontari che operano in ambito educativo. I destinatari delle azioni formative sono vo-
lontari che operano con il target interessato o che, più in generale, si occupano di animazione
socio-culturale, educazione e formazione.
Appendice – I progetti di formazione per i volontari dell’associazione L’Altra Città
119
Ceis Centro
luCIgnolo
Solidarietà
di Grosseto Maggio-Luglio 2004
descrizione del corso
Il corso si propone di formare volontari che intendono impegnarsi in attività con ragazzi/e
dell’età considerata pre-adolescenza (8-13 anni ca), che sempre più, attraverso l’influenza dei
media e la complessità delle relazioni familiari, affettive e sociali, assume caratteristiche pro-
prie, differenti dall’adolescenza come anche l’infanzia. Questa delicata fascia d’età si è andata
a stagliare in una in un panorama che vede l’adolescenza protrarsi oltre i 35 anni. In questo
contesto di fasi “amplificate” val la pena, approfondire le dinamiche e le risorse di un momen-
to del ciclo della vita, che potrebbero essere estremamente prezioso ai fini della prevenzione
del disagio e del rischio di condotte devianti.
finalità e obiettivi
Il corso intende fornire competenze teoriche e pratiche di lettura dei contesti nei quali i
volontari si troveranno ad operare; ciò li metterà in grado, attraverso le esperienze pratiche
e il lavoro svolto con il gruppo, di proporre ai ragazzi risposte adeguate e creative capaci di
rompere una monotonia di ruoli, che spesso inibisce una comunicazione autentica ed effica-
ce, utile allo sviluppo affettivo e relazionale del minore.
metodologie adottate
– Seminari
– Lezioni in aula
– Esercitazioni
– Lavoro di gruppo
destinatari
Volontari impegnati in associazioni che gestiscono ambiti educativi, inoltre educatori vo-
lontari di ludoteche o cooperative sociali.
120
PeoPle raIsIng
Associazione Coltivare e crescere
L’Altra Città le risorse umane
Gennaio-Marzo 2004
descrizione e finalità del corso
Il progetto formativo nasce dall’esigenza di formare figure interne al volontariato in grado
di programmare e gestire le politiche per i volontari dal momento della ricerca a quello della
formazione e della motivazione. La ricerca e la gestione delle risorse rappresenta per le orga-
nizzazioni di volontariato un punto critico e fondamentale per la vita e il perseguimenti degli
obiettivi di solidarietà e di fronte ad un’offerta varia relativamente alla ricerca e alla gestione
delle risorse finanziarie (fund raising) altrettanto non si può dire certo rispetto alla ricerca e
alla gestione delle risorse umane (people raising). Per tale ragione l’associazione proponente
ritiene fondamentale proporre un corso che permetta di iniziare ad affrontare la gestione dei
volontari in modo organico.
metodologie adottate
– Lezioni in aula
– Esercitazioni
– Studio dei casi
– Lavoro di gruppo
destinatari
Il corso si rivolge a chi all’interno delle organizzazioni di volontariato si occupa o si occu-
perà della gestione dei volontari, principalmente i responsabili di associazioni di volontaria-
to, ma anche altri volontari che per interesse  e competenze spendono tutto o in parte del
servizio occupandosi delle politiche di accoglienza, socializzazione e formazione degli altri
volontari operanti nell’associazione.
Appendice – I progetti di formazione per i volontari dell’associazione L’Altra Città
121
Ceis Centro la memorIa della terra
Solidarietà Progetto di recupero umano e territoriale
di Grosseto Ottobre-Novembre 2003
descrizione e finalità del corso
Attivo dal 1987 a Grosseto, il Centro Italiano di Solidarietà (Ceis) nel 1999 ha trasferito nei
locali destinati ai custodi di Ponte Tura due fasi del programma terapeutico, l’accoglienza e il
reinserimento. Dal 2000 il Ceis ha cominiciato ad affiancare a quest’opera di recupero umano
una feconda attività di recupero territoriale, dalla quale sono nati progetti culturali mirati
alla prevenzione del disagio sociale e al miglioramento della qualità della vita nel territorio
grossetano. Ne è nata una rete di soggetti istituzionali e del terzo settore, tutti interessati a
valorizzare in vario modo l’area urbana e periurbana compresa tra Ponte Tura e la Casa Rossa,
il cui significato storico e simbolico di principio e fine della bonifica grossetana comincia ad
essere considerato un patrimonio dell’intera comunità.
Ora quella rete informale di soggetti vuole trasferire alla comunità, appunto, le informa-
zioni e le competenze necessarie al pieno godimento di questo patrimonio, con l’obiettivo
di riunire aspetti sociali e culturali, perché fare volontariato sociosanitario non significhi sol-
tanto offrire servizi agli utenti ma anche incidere sulle modalità di convivenza tra i cittadini
di una stessa comunità.
metodologie adottate
Le metodologie adottate sono l’attività seminariale – incontri tematici – e il project work:
una serie di iniziative volte alla realizzazione di materiali didattici e informativi da concorda-
re direttamente con i partecipanti.
destinatari
Destinatari dell’inziativa sono tutti quei volontari che operano nell’area interessata, so-
prattutto nel settore culturale, ai formatori e agli insegnanti.
122
master unIVersItà del VolontarIato
Associazione Corso di formazione per il volontariato
L’Altra Città della Provincia di grosseto
Gennaio-Aprile 2002
descrizione e finalità del corso
Questo progetto propone un percorso formativo:
– trasversale a tutto il volontariato;
– che diffonda e favorisca la cultura della progettualità interassociativa;
– interdisciplinare;
– di formazione continua;
– a numero chiuso.
finalità e obiettivi
Scopo di questo progetto formativo è dare una logica continuazione al bagaglio di espe-
rienze che l’Università del Volontariato, come corso propedeutico, ha dato ai partecipanti,
organizzando quindi dei moduli specifici ed innovativi che possano essere seguiti anche sin-
golarmente per soddisfare da una parte un aggiornamento di ciò che è stato fatto preceden-
temente ma, anche un primo approccio di livello superiore per nuove utenze già inserite in
una realtà di volontariato specifico.
Il corso è finalizzato alla preparazione di figure capaci di trasferire parte delle conoscenze
e delle metodologie acquisite all’interno delle associazioni di volontariato.
Appendice – I progetti di formazione per i volontari dell’associazione L’Altra Città
123
Ceis Centro dal dIVerso al dIVersIVo
Solidarietà Progetto di recupero territoriale e umano
di Grosseto Novembre-Dicembre 2000
descrizione e finalità del corso
Dall’area di Poggio Cavallo nell’inverno del 1829-30 iniziavano i lavori di scavo del primo
canale Diversivo dell’Ombrone. Cominciava così la bonifica della pianura grossetana, un gran-
de investimento pubblico voluto da Leopoldo II di Lorena per il recupero igienico-sanitario
e lo sviluppo economico della terra di Maremma. Di quell’evento centrale per la nascita e lo
sviluppo della comunità di Grosseto e del suo territorio, rimangono soltanto due targhe com-
memorative (abbandonate all’incuria) ed un confuso ricordo nella memoria dei cittadini.
In quei medesimi luoghi, laddove alloggiavano i custodi delle cateratte di Ponte Tura, ora il
Ceis svolge la sua attività di recupero rivolta ai tossicodipendenti. Inoltre i terreni circostanti
sono affidate alle cure di una cooperativa sociale agricola che si occupa del reinserimento nel
mondo del lavoro dei tossicodipendenti usciti dal programma terapeutico.
Su questa idea del duplice recupero, territoriale ed umano, è stato elaborato un proget-
to – ancora in corso d’opera – con l’obiettivo di formare sei volontari sulla progettazione
di azioni aventi come riferimento i temi della valorizzazione storica, naturale, lettereraria e
solidaristica del territorio del Diversivo.
Tre incontri pubblici intendono ora coinvolgere la comuità locale e avviare un processo di
riappropriazione dell’area del Diversivo e della sua memoria. Nell’occasione sarà presentato
il sito internet che raccoglie i risultati delle ricerche, integrando aspetti naturalistici e cultu-
rali di una serie di percorsi o passeggiate che dalla Steccaia s’irradiano nella pianura.
metodologie adottate
Tre seminari tematici (workshop).
124
glI autorI
andrea Caldelli, economista ambientale ed esperto di economia della cooperazione, ha
lavorato come progettista e ricercatore presso la società Eco&eco di Bologna occupandosi
di sviluppo sostenibile in diversi Parchi Naturali italiani. Ha lavorato come consulente di
organizzazioni pubbliche e cooperative sui sistemi di accountability ambientale e sociale
per conto della società di SCSAzioninnova di Bologna ed è stato direttore amministrativo
della cooperativa sociale Uscita di Sicurezza di Grosseto. Ha lavorato per due anni per la
delegazione di Grosseto del Cesvot come progettista per le associazioni aderenti. Dal 2006
è il coordinatore dell’Associazione l’Altra Città e si occupa di sviluppo delle organizzazioni
del terzo settore con attività di consulenza, progettazione e formazione. Come volontario
presta servizio per l’Aise, l’associazione l’Altra Città Nel Mondo e per il Centro di Solidarietà
di Arezzo di cui è consigliere di amministrazione. Da luglio è stato nominato vicepresidente
della delegazione di Grosseto del Cesvot. È coautore per la casa editrice Erickson dei libri
Oggi vado volontario (2005) e Narrazione e sviluppo dei territori (2007). Ha inoltre curato i
volumi Diritti che Migrano e Quaggiù dell’India (Pensa 2007). Condirige la collana editoriale
“Educazione e ricerca sociale”, edizioni Pensa Multimedia di Lecce. Come volontario ha co-
ordinato diversi progetti di volontariato internazionale in India e in Kenya
sara Ciacci, laureata in Filosofia indirizzo Psicologico e Scienze Sociali ha acquisito il diplo-
ma di Master primo livello in “Dirigenza dei Servizi Culturali, Socioeducativi e Scolastici” e
si è specializzata in Adolescentologia presso il Dipartimento di Pediatria dell’Università di
Firenze, dove insegna Adolescentologia come professore a contratto. Ha lavorato come Co-
ordinatore del settore educativo della Cooperativa Portaperta di Grosseto e a Prato come
esperto di formazione presso la Fil Spa. Attualmente lavora per l’agenzia formativa dell’asso-
ciazione L’Altra Città e dove svolge attività di supporto alla direzione nella  progettazione,
coordinamento progetti, orientamento/consulenza individuale e di gruppo. Oltre a nume-
rosi articoli su riviste specializzate, ha pubblicato: L’età dell’ansia. Breve guida all’adolescen-
za (Pensa 2005), L’educazione nutrizionale pediatrica dalla nascita all’adolescenza: principi e
pratica (Piccin 2005), Accompagnare gli adolescenti (Erickson 2007).
fabio Pietro Corti, formatore multimediale, master in Progettista e gestore di formazione
in rete, fa parte del gruppo dei fondatori dell’agenzia formativa l’Altra Città , per la quale
coordina i servizi di orientamento nelle scuole. È esperto in animazione di gruppi di adole-
scenti. Collabora come volontario alle attività dell’associazione Aise. È coautore del volume
Gestire gruppi in formazione (Erickson 2007) e ha collaborato al volume L’orientamento nar-
rativo a scuola (Erickson 2008).
anna lisa fumi, laureata in Scienze del Servizio Sociale, è specializzata in rendicontazione e
amministrazione di progetti europei. Dopo aver svolto il servizio civile e attività di volontaria-
Gli autori
125
to nel servizio Sportello Povertà Estreme di Grosseto e con l’Associazione Grossetana Genitori
Bambini Portatori di Handicap, nel 2004 ha partecipato alla costituzione dell’agenzia forma-
tiva dell’Altra Città, della quale è attualmente coordinatrice. Ha coordinato e rendicontato
numerosi progetti di formazione finanziati dal Cesvot e dalla Provincia di Grosseto (Fse).
simone giusti, dottore di ricerca in Italianistica, si occupa di educazione degli adulti, di orien-
tamento e di educazione interculturale. Ha insegnato letterature comparate all’Università de-
gli Studi di Cassino e attualmente insegna alla Ssis Toscana. Dirige l’agenzia formativa dell’as-
sociazione L’Altra Città di Grosseto dal 2004. È condirettore della rivista «Per leggere». Dirige
con Federico Batini la collana “Comunità e persone. Sviluppo, formazione e orientamento”
per le Edizioni Erickson, con Paola Giangrande e Andrea Caldelli dirige la collana “Educazione
e Ricerca Sociale” per le edizioni Pensa Multimedia. Ha affiancato i volontari del Ceis fin dagli
anni Ottanta, poi, dopo aver studiato e vissuto a Firenze, a Lecce e a Ginevra, al suo ritorno a
Grosseto ha ripreso la sua attività a fianco di don Enzo Capitani e dei suoi collaboratori. Nel
2002 ha scritto e pubblicato il libro Progetto e racconto di un’altra città (Edizioni Pensa), nel
quale delinea tra l’altro i motivi e le ambizioni della sua attività di volontario. Tra le sue pubbli-
cazioni più recenti: La congiura stabilita. Dialoghi e comparazioni tra Otto e Novecento (Franco
Angeli 2005), Linea meridiana. Editoria, critica, scuola e letteratura (Unicopli 2005). È coautore
di Narrazione e invenzione: manuale di lettura e scrittura creativa (Erickson 2007), A scuola di
intercultura (Erickson 2007), L’orientamento narrativo a scuola (Erickson 2008).
andrea guarguaglini è formatore e consulente di orientamento costruttivista, counselor
degli stati di coscienza, consulente della comunicazione a orientamento analitico-transa-
zionale, master practictioner in Pnl. Ha lavorato per due anni con l’Associazione “Rondine
Cittadella della Pace” di Arezzo come tutor dello Studentato Internazionale e responsabile
dell’Ufficio Cult ura. È stato consigliere della Ong livornese Centro Mondialità Sviluppo Re-
ciproco. Lavora come consulente aziendale esperto di Sistemi di Gestione per la Qualità.
Collabora con l’agenzia formativa dell’associazione L’Altra Città di Grosseto e con Pratika di
Arezzo. È coautore del volume Gestire gruppi in formazione (Erickson 2007).
francesca maiorino, psicologa clinica e di comunità  iscritta all’Ordine degli Psicologi del-
la Toscana, specializzanda in psicoterapia ad orientamento sistemico-relazionale, collabora
con l’agenzia formativa l’Altra Città  come esperta consulente di orientamento nella pro-
gettazione e realizzazione di interventi di orientamento scolastico e professionale e come
formatrice su tematiche inerenti l’orientamento e la comunicazione. Nell’ambito della psi-
cologia forense, in qualità di esperta, svolge consulenze tecniche di parte a tutela dei minori
e per il risarcimento del danno biologico psichico e del danno esistenziale. Durante gli studi
ha collaborato in alcuni progetti di ricerca all’Università La Sapienza, Irccs “Santa Lucia” e
Università  Cattolica del Sacro Cuore di Roma ed è coautrice di articoli di psicologia clinica
e psicopatologia dello sviluppo pubblicati nella rivista “World Psychiatry”.
126
fabio sciarretta, laureato in mediazione linguistica con master in didattica della lingua ita-
liana per stranieri, da alcuni anni si occupa di orientamento e formazione per l’Altra Città
di Grosseto. Attualmente, è operatore di orientamento nell’ambito del progetto “Everest
– Agenzia di Orientamento”, rivolto a soggetti che vivono in situazione di svantaggio. È co-
autore del volume Strumenti narrativi per il successo formativo (Erickson 2008). Come vo-
lontario sostiene le attività delle associazioni Aise e Le Querce di Mamre. (Documento PDF – 2 Mb)

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