IL PROGETTO UOMO DEVE CONTINUARE

Un saluto a don Mario Picchi

Martedì 1° giugno sono stati celebrati a Roma i funerali di don Mario Picchi, fondatore del Ceis di Roma, il primo dei tanti Centri Italiani di Solidarietà che dagli anni 70 a oggi hanno arricchito la vita sociale e culturale del nostro Paese. Per coloro che hanno contribuito, seguendo la sua fondamentale lezione, a realizzare l’esperienza del Ceis di Grosseto e degli altri Ceis italiani, si tratta certamente di una perdita significativa. Don Picchi, che aveva presieduto Federazione Italiana delle Comunità Terapeutiche fino al 1994, ha lasciato un segno indelebile nella vita degli operatori, dei volontari e dei tanti uomini e donne che hanno cercato – spesso con successo – di liberarsi dalla schiavitù della tossicodipendenza. A don Picchi dobbiamo, noi italiani, la nascita di comunità terapeutiche “aperte”, capaci cioè di proteggere i loro ospiti per un periodo di tempo limitato e, quindi, di favorirne il cambiamento. Ma sempre per restituirli al loro contesto sociale, che nel frattempo deve anch’esso cambiare, diventare più accogliente a capace di ascolto.

Per don Picchi la persona tossicodipendente era una persona che aveva scelto – per un motivo qualsiasi – la strada della dipendenza e della schiavitù. Si trattava, dunque, attraverso il programma terapeutico, di aiutare questa persona a prendere coscienza della possibilità e dell’opportunità di fare altre scelte. Se uno ha avuto la forza di scegliere una volta – egli pensava – dobbiamo dare per scontato che abbia le risorse per scegliere ancora. E poi dobbiamo fare in modo che questa persona, così capace di cambiare e di dare un senso alla sua vita, ritorni nella sua famiglia, nella sua città, laddove può continuare a dare il suo contributo critico di persona libera e capace di scegliere.

Consiglio a tutti di leggere il suo libro più importante, “Progetto Uomo”, che è alle fondamenta del programma terapeutico del Ceis. A rileggerlo oggi si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un visionario che ha saputo dare concretezza ad un progetto culturale ambiziosissimo, capace di calare la cultura umanista degli anni Sessanta e Settanta nella pratica quotidiana dei volontari e degli operatori che si trovavano e si trovano ancora ad affrontare l’insensatezza della dipendenza. Ma non abbiamo forse bisogno, ora come quarant’anni fa, di fiducia, speranza e solidarietà?

don Enzo Capitani

Presidente dell’associazione L’Altra Città

 
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